La porta
Un viaggio attraverso la Sacra Scrittura
La porta è un elemento essenziale in qualsiasi costruzione: permette l’ingresso e l’uscita. In questo Anno Giubilare della Speranza, intraprenderemo un percorso nel significato profondo della “porta” nella Sacra Scrittura. Vedremo come la sua interpretazione si evolve da un semplice oggetto fisico — la porta di una città — al suo significato più trascendente: Gesù Cristo stesso.
Potrebbe sembrare che una porta non vada oltre la sua funzione utilitaristica. Tuttavia, nell’Antico Testamento, lo spazio intorno alla porta della città era un punto nevralgico della vita urbana. Era un luogo di grande importanza culturale, sociale e giuridica. Nel Nuovo Testamento, l’immagine della porta si svincola dall’architettonico per personificarsi in Gesù, il culmine della rivelazione divina. Così, tutti i significati che la porta aveva nell’Antico Testamento si possono vedere realizzati in Cristo.
In questo Anno Giubilare, dove le quattro grandi basiliche di Roma aprono le loro Porte Sante per concedere l’indulgenza, siamo invitati a comprendere la porta non solo come la destinazione del nostro pellegrinaggio, ma come un passo fondamentale per iniziare qualcosa di nuovo.
La porta nell’Antico Testamento: un simbolo di sicurezza e vita
In primo luogo, la porta è sinonimo di sicurezza. Rimanere fuori da essa espone al pericolo. Nell’Antico Oriente, le si attribuiva persino un valore magico, come protettrice di coloro che si trovavano all’interno. Per oltrepassarla, bisognava aprirla, sia bussando sia abbattendola con la forza.
In secondo luogo, la porta era il cuore della vita cittadina. Era il principale punto di incontro (1 Sam 9,18; 2 Sam 3,27; 19,9) dove si concludevano affari, si scambiavano beni e si dibattevano questioni pubbliche (Gb 29,7; Lam 5,14). Le porte delle città bibliche spesso disponevano di spazi annessi per il deposito, il che le rendeva veri centri di sviluppo, crescita e scambio culturale.
Inoltre, la porta fungeva da luogo di giudizio dove gli anziani si riunivano per risolvere dispute e amministrare la giustizia. Un esempio vivido lo troviamo in Rt 4,1-12, dove Booz convoca gli anziani alla porta per deliberare sul suo diritto di prendere Rut in sposa. Ci sono riferimenti a questo ruolo giudiziario anche in Dt 21,19 e Ger 1,15.
Così, la porta non era semplicemente un accesso, ma un vitale punto di convergenza per i cittadini. Di fatto la sua sola menzione poteva riferirsi all’intera città dato che era il suo unico accesso naturale. Sotto questa luce, possiamo comprendere Eb 13,12 che segnala che Gesù morì “fuori della porta”, indicando cosí che il suo sacrificio avvenne fuori dalle mura di Gerusalemme.
Al di là della sua funzione fisica, la capacità di attraversare la porta senza impedimenti simboleggiava la libertà della persona. Gli schiavi non potevano oltrepassarla senza il permesso del loro padrone, mentre i cittadini lo facevano liberamente, forgiando una solida identità di figliolanza con la città. Con quest’atto si manifestava, in qualche modo, che erano “figli” dell’urbe.
In sintesi, la porta nell’Antico Testamento è intrinsecamente legata alla città e alle sue diverse dinamiche: commerciali, giudiziarie o di mero transito. Oltrepassarla come uomo libero, come “figlio della città”, aggiunge un significato che trascende il puramente fisico.
La porta nel Nuovo Testamento: Gesù Cristo, la salvezza
Nel Nuovo Testamento, l’immagine della porta acquista un significato completamente nuovo e si incarna nella persona di Gesù.
Innanzitutto, la porta è sinonimo di salvezza. Gesù stesso lo annuncia mentre insegnava lungo la via per Gerusalemme: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno” (Lc 13,24; cf. anche Mt 7,13-14). La salvezza è associata a una porta angusta, difficile da trovare e da attraversare, che esige uno sforzo, una ricerca sincera e il desiderio di abbandonare la comodità.
Questo stesso senso della porta come via di salvezza risuona nel discorso escatologico di Mt 24,33, dove si annuncia che il Figlio dell’Uomo sarà “alle porte” quando avverranno certi segni grandiosi. Questo allude all’immediatezza della venuta gloriosa del Signore (Gc 5,9), che segnerà l’inizio di un cielo nuovo e una terra nuova. In modo simile, in Ap 3,20, il Signore si presenta alla porta e bussa, desiderando che gli apriamo per poter entrare e cenare con noi. Questo sottolinea la piena libertà di ogni individuo; il Signore non irrompe, ma attende il nostro invito.
Riprendendo Lc 13,24-25, troviamo la prosecuzione dell’idea di figliolanza. Il Signore chiuderà le porte in un determinato momento e non servirà a nulla averlo conosciuto superficialmente. La porta della salvezza sarà aperta per quei figli di Dio che desiderano attraversarla quando la trovano. Per questo, possiamo anche dire che il Battesimo è la porta di ingresso agli altri sacramenti. A partire dalla nostra figliolanza divina, possiamo partecipare alla grazia di Dio; ma se non entriamo per quella prima porta, il cammino non può continuare.
In un passaggio del quarto vangelo, Gesù si identifica direttamente con la porta (Gv 10,9). Egli assume tutti gli aspetti e i significati della porta di cui abbiamo parlato, rendendoli realtà nella sua persona. Egli è la porta attraverso la quale l’essere umano può salvarsi e trovare il suo vero nutrimento.
Vedere Gesù come porta è particolarmente interessante per un altro motivo. Normalmente, attraversando la porta di un edificio, non ci si ferma lì; la si varca per addentrarsi e dirigersi verso la propria destinazione. La porta è, quindi, uno strumento di accesso, non un fine in sé. In modo analogo, sebbene non identico, possiamo intendere Gesù come porta. Egli è colui che ci permette di entrare nel suo Regno, ma sempre ci guiderà verso suo Padre. Questo non implica sminuire il Figlio, ma riconoscere che tutta la missione di Gesù Cristo è condurci a Dio Padre. Perciò, Cristo rimane come la porta che ci dà accesso per entrare e uscire e, così, trovare il Padre.
La Porta Santa del Giubileo: un passo verso l’eternità
Tutto ciò possiamo applicarlo alla Porta Santa del Giubileo in ciascuna delle quattro basiliche maggiori di Roma. Attraversare la Porta Santa non è solo il culmine di un pellegrinaggio, con tutto lo sforzo che comporta. Significa qualcosa di molto più profondo: ci si aprono le porte della vita eterna.
È, certamente, un atto simbolico, ma prefigura il nostro ingresso nella città eterna, la Nuova Gerusalemme celeste, “dove non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno” (Ap 21,4). In quel momento, le porte si apriranno definitivamente affinché come figli di Dio possiamo entrare nel suo Regno di giustizia, di pace e di gioia (cf. Rm 14,17).
Pertanto, la potente immagine della porta, nella Sacra Scrittura, conduce sempre verso il nostro Signore Gesù Cristo, l’unico attraverso il quale possiamo raggiungere la salvezza. L’Anno Giubilare è un momento di grazia speciale per avvicinarci di più a Lui, per fare penitenza per i nostri peccati e accogliere la sua misericordia. Mettersi in cammino e attraversare la Porta Santa è, in essenza, addentrarsi nella via della salvezza.