N.05
Settembre/Ottobre 2025

Momenti che ci cambiano

Il potere trasformativo dei passaggi della vita

Nel corso della vita, alcune esperienze si impongono come autentici momenti di passaggio: eventi che attraversiamo come soglie, che ci portano a confrontarci con una realtà che cambia in modo profondo e irreversibile. Non sempre tali trasformazioni derivano da fattori esterni: spesso è il modo in cui questi eventi risuonano dentro di noi a determinare la portata del cambiamento, influenzando la nostra visione del mondo e, talvolta, rivoluzionando la nostra identità.

Alcuni passaggi sono attesi — come la nascita di un figlio o il pensionamento — mentre altri irrompono inaspettati, come una malattia, un lutto o una separazione. Ogni esperienza lascia un segno che può essere vissuto come crisi o come rinascita. Ma cosa rende un momento di passaggio realmente trasformativo? Quando interrompe gli schemi con cui abbiamo costruito la nostra identità: abitudini, ruoli, legami e relazioni. Questo può avvenire in modi traumatici, come una perdita, o in modi evolutivi, come un matrimonio o l’avvio di una nuova carriera. Il cambiamento autentico nasce nello spazio che si crea tra ciò che non è più e ciò che ancora non è. Non si limita alla dimensione esterna, ma implica una rielaborazione profonda della nostra identità e del significato che attribuiamo a noi stessi e al mondo. Come sottolineato da Erikson (1959), lo sviluppo dell’identità umana è un processo continuo che si compie attraverso transizioni psicologiche cruciali, molte delle quali costituiscono veri e propri passaggi esistenziali, necessari alla maturazione del Sé[1]. Perché un evento diventi trasformativo, deve toccare l’identità profonda della persona. La psicologia, e in particolare Viktor Frankl, ha indagato a lungo il legame tra cambiamento e ricerca di significato. Secondo Frankl (1946), dare senso a difficoltà e dolore non solo aiuta a superare la sofferenza, ma trasforma la crisi in una risorsa di crescita. Non basta affrontare una crisi: occorre integrarla nella nostra storia così da far parte del nostro percorso di evoluzione. Frankl osserva che anche in situazioni di estremo dolore, come la prigionia nei campi di concentramento, l’essere umano può trovare un significato profondo nella sofferenza, avviando una trasformazione interiore[2]. In questo processo, la simbolizzazione — cioè la capacità di attribuire un significato a un’esperienza, trasformandola da semplice fatto in un elemento integrato nella propria storia personale — è decisiva: se un evento non viene simbolizzato, rischia di restare un trauma o un fatto esterno. La simbolizzazione può essere interiore — tramite riflessione e autoanalisi — oppure favorita da un percorso terapeutico o spirituale. In molte culture, tale funzione è svolta dai rituali collettivi che forniscono una cornice condivisa per attraversare i passaggi di vita. Nel mondo contemporaneo, molti rituali che un tempo accompagnavano eventi significativi sono andati perduti. La scomparsa di queste strutture simboliche ha reso più difficile attribuire un significato condiviso a momenti di cambiamento, lasciando spesso sole le persone che devono affrontare esperienze complesse come lutti, matrimoni o pensionamenti. Turner (1969) descrive questi passaggi come momenti liminali: fasi sospese tra un prima e un dopo, prive di una chiara guida culturale o sociale[3]. In assenza di rituali, la soglia del cambiamento rimane un’esperienza soprattutto interiore, che richiede uno sforzo personale di elaborazione e integrazione.

Le neuroscienze contemporanee hanno messo in discussione l’idea di un’identità statica, mostrando come essa sia un costrutto dinamico, soggetto a trasformazioni continue anche a livello neurobiologico (Siegel, 2012; Pally, 2000). La neuroplasticità, ossia la capacità del cervello di modificare la propria struttura in risposta all’esperienza, rimane attiva per tutta la vita, anche se con modalità diverse in base all’età. Durante l’infanzia e l’adolescenza, la plasticità è massima: i cambiamenti emotivi e relazionali plasmano in profondità le reti neurali, influenzando identità, memoria e regolazione emotiva[4].

Ma anche nell’età adulta esperienze intense — un trauma, un cambiamento esistenziale o una nuova relazione significativa — possono riorganizzare il cervello. Ciò dimostra come i momenti di passaggio non trasformino soltanto la nostra vita interiore, ma determinino anche a livello biologico.

Ogni fase della vita è costellata di passaggi che ridefiniscono la nostra identità.

 – Infanzia: l’ingresso nel linguaggio e il primo distacco dalle figure di attaccamento.
 – Adolescenza: i cambiamenti del corpo e la ridefinizione del proprio posto nel mondo.
 – Età adulta: matrimonio, carriera, genitorialità, cambiamenti professionali.
 – Vecchiaia: esperienze di perdita, malattia, riflessione sul proprio valore.

Come sottolineato da Erikson (1959), questi passaggi si intrecciano in un processo continuo di definizione e ridefinizione del Sé[5]. La stessa esperienza — come un licenziamento — può essere vissuta come frattura traumatica o come apertura a nuove opportunità, a seconda del contesto, del supporto emotivo e della capacità di rielaborazione.

La psicologia positiva evidenzia come, dopo eventi traumatici, molte persone possano sviluppare una crescita post-traumatica: una maggiore consapevolezza di sé, un rafforzamento delle relazioni e una visione più profonda della vita. La resilienza non è solo capacità di resistere, ma anche di trasformarsi attraverso la difficoltà. Pratiche come scrittura, meditazione, preghiera, psicoterapia o esperienze spirituali sostengono la rielaborazione e la crescita. Tedeschi e Calhoun (2004) sottolineano come queste attività aiutino a trovare significato nei passaggi difficili, trasformando la crisi in risorsa[6].

Molti studiosi parlano di soglie esistenziali, momenti che ci costringono a confrontarci con noi stessi, richiedendo riflessione e disponibilità al cambiamento. Vivere questi passaggi richiede tempo, silenzio, ascolto e il coraggio di andare oltre. Non tutti sono consapevoli di queste soglie: alcune rimangono nell’ombra, altre diventano ferite. Dare ad esse un nome e un significato restituisce dignità ai cambiamenti che ci formano e riempie il vissuto di nuova vitalità.

Come scrive Jung: «Ciò a cui resistiamo, persiste. Ciò che accettiamo, ci trasforma»[7]. È proprio nei momenti in cui tutto vacilla che impariamo ad essere profondamente umani.

 

 

[1] E. H. Erikson, Identity and the Life Cycle, International Universities Press, 1959.

[2] V. E. Frankl, Man’s Search for Meaning, Beacon Press, 1946.

[3] V. Turner, The Ritual Process: Structure and Anti-Structure, Aldine Transaction, 1969.

[4] B. Kolb, & I. Q. Whishaw, An Introduction to Brain and Behavior, Worth Publishers, 1998.

[5] E. H. Erikson, Identity and the Life Cycle, International Universities Press, 1959.

[6] R. G. Tedeschi, & L. G. Calhoun, Posttraumatic Growth: Conceptual Foundations and Empirical Evidence, Psychological Inquiry, 2004.

[7] C. G. Jung, Memories, Dreams, Reflections, Vintage Books, 1961.