N.05
Settembre/Ottobre 2022

Elaborare

«Un’espressione del discernimento è l’impegno per riconoscere la propria vocazione. È un compito che richiede spazi di solitudine e di silenzio, perché si tratta di una decisione molto personale, che nessuno può prendere al nostro posto. Quando si tratta di discernere la propria vocazione, è necessario porsi varie domande. Non si deve iniziare chiedendosi dove si potrebbe guadagnare di più, o dove si potrebbe ottenere più fama o prestigio sociale, ma non si dovrebbe nemmeno cominciare chiedendosi quali compiti ci darebbero più piacere. Per non sbagliarsi, occorre cambiare prospettiva e chiedersi: io conosco me stesso, al di là delle apparenze e delle mie sensazioni? So che cosa dà gioia al mio cuore e che cosa lo intristisce? Quali sono i miei punti di forza e i miei punti deboli? Seguono immediatamente altre domande: come posso servire meglio ed essere più utile al mondo e alla Chiesa? Qual è il mio posto su questa terra? Cosa potrei offrire alla società? Ne seguono altre molto realistiche: ho le capacità necessarie per prestare quel servizio? Oppure, potrei acquisirle e svilupparle? Queste domande devono essere poste non tanto in relazione a se stessi e alle proprie inclinazioni, ma piuttosto in relazione agli altri, nei loro confronti, in modo tale che il discernimento imposti la propria vita in riferimento agli altri» (Cf. Francesco, Christus vivit, 283-286). 

La vocazione e il suo discernimento è esito di elaborazione. Il termine porta con sé l’immagine del lavoratore diligente, di colui che si applica con zelo, si prende cura consapevole dell’importanza dell’opera di cui si sta occupando. Essa, infatti è l’opera di Dio, la costruzione della vita stessa, la salvezza, l’impresa egli stesso sta compiendo fin dagli inizi della creazione e della redenzione. Elaborare, rielaborare non è frutto di una sorta di dubbio metodico che rischia di impantanare la vita e la storia anziché farla crescere ma è il paziente lavoro, fermo e coraggioso di chi è consapevole della necessità di conoscere i fili per poterli tessere, riconoscere le resistenze per saperle sciogliere, accettare che una via non sia la migliore per sé o per l’altro, fosse anche la più desiderata. È l’opera del discernimento, della sua seria elaborazione, che deve impegnare non soltanto la persona che si sente chiamata ma anche la comunità, il presbiterio, l’altra persona che l’accoglie e con la quale si intende donare la vita a vicenda; è un’opera impegnativa, ma è un lavoro per il quale dedicarsi è decisivo, per compiere il bene.