N.03
Maggio/Giugno 1991

Una Comunità di Accoglienza vocazionale missionaria

 

Un po di storia

Già da tempo ci ponevamo questa domanda: “come far sperimentare ai nostri giovani, almeno in parte, quella che sarà la missione di domani in vista di un discernimento vocazionale?”. Un po’ tutti gli Istituti Missionari hanno questa difficoltà. Il nostro campo di lavoro abituale non è qui, in Italia, ma lontano da qui, in un altro paese e in un altro contesto.

Come realizzare allora il “vieni e vedi” che vorrebbe essere alla base di una comunità di accoglienza vocazionale? Non è possibile infatti far sperimentare concretamente ai giovani “qui” la concreta realtà di una missione “lontano da qui”. Un Istituto religioso o secolare che opera “qui” può facilmente dire a un giovane “vieni e vedi” ma questo è meno facile per un Istituto missionario. Si può far fare a una giovane una “esperienza in missione” ma, se vuol essere qualcosa di più di una semplice “vacanza impegnata” richiede in genere precise condizioni: tempi abbastanza lunghi; apprendimento di una lingua, inserimento in una concreta attività. Questo viene fatto per alcuni casi ma non è possibile per molti giovani. Abbiamo allora pensato di dare almeno ai giovani la possibilità di fare una esperienza missionaria incontrando qui in Italia quella che, ormai da vari anni, si chiama “La missione che viene a noi”, la realtà cioè di tante persone del terzo mondo che, per svariate ragioni, arrivano sul nostro suolo.

È un fenomeno di crescenti proporzioni che non ha ancora trovato adeguate soluzioni a livello politico ed ecclesiale ma che appare inarrestabile e quindi degno di essere preso in considerazione.

Da più di 20 anni la nostra Congregazione di Missionari Comboniani aveva aperto a Roma un centro di accoglienza per queste persone, un centro chiamato in origine ACSE (azione comboniana studenti esteri). Questo centro ha mobilitato notevoli energie a livello di diocesi e di volontariato e continua ad occupare due nostri confratelli a tempo pieno.

Si è quindi pensato di affiancare a questo lavoro di tipo assistenziale anche una attività di accoglienza vocazionale e, finalmente, dopo tante discussioni e proposte, si decise quattro anni fa di aprire una nuova comunità che avesse una duplice finalità:

a) una finalità di servizio: cioè la continuazione del servizio ACSE aggiungendovi quello di una assistenza ai carcerati del terzo mondo (sono centinaia nelle prigioni romane);

b) una finalità di accoglienza vocazionale che sarebbe stata garantita soprattutto dalla presenza di un padre che avrebbe avuto come compito principale quello di accogliere e accompagnare i giovani ivi inviati.

Questa nuova comunità ha ora sede a Roma in viale Tirreno, 38.

 

 

 

Come funziona

La comunità è ora composta da tre religiosi, una comunità – tipo per noi, anche in missione. Due di essi si dedicano completamente all’attività di accoglienza e assistenza presso il Centro ACSE. Il terzo, che è anche superiore della comunità, si dedica in parte all’assistenza dei carcerati del terzo mondo e all’accoglienza vocazionale dei giovani desiderosi di fare una esperienza missionaria.

I giovani che arrivano qui sono in genere inviati da uno dei nostri centri di animazione vocazionale presenti in Italia.

Arrivando in comunità, essi partecipano alla vita della comunità e alle attività del centro ACSE, dove passano in genere tutta la mattinata e talvolta anche il pomeriggio. Hanno così la possibilità di incontrare numerose persone che vengono dal terzo mondo, di ascoltare i loro problemi, di rendersi conto di che cosa comporta venire loro incontro; iniziano a percepire le difficoltà di una lingua diversa e di tutta una cultura diversa che sta dietro a una lingua o a un colore della pelle diverso.

Il vivere inoltre accanto a missionari completamente impegnati in attività concrete (molto simili a quelle di missione) permette loro di rendersi conto di quello che può significare la vita di una concreta comunità missionaria, con le sue luci e ombre, i suoi momenti belli e la routine di ogni giorno.

Vi sono quindi tutte le condizioni per fare una buona esperienza di tipo missionario e per fare un discernimento in ordine a una scelta vocazionale. Ma in realtà, le cose non sono così semplici.

 

 

 

Valutazione e difficoltà

Non è possibile fare una valutazione vera e propria a pochi anni dall’inizio di questo esperimento ma è già possibile rilevare alcune difficoltà e aspetti positivi utili a una valutazione.

Ci sembra, tutto sommato, che la scelta sia stata buona, nel senso che si sono create le condizioni per una esperienza significativa in ordine a una scelta vocazionale. Concretamente, chi ha fatto questa esperienza, l’ha trovata positiva e a qualcuno ha servito per decidere di entrare o continuare nel nostro Istituto.

Il problema viene invece dallo scarso numero di giovani disponibili a fare una esperienza del genere, prima di entrare in una nostra comunità formativa.

I giovani vengono in genere inviati dai nostri centri di promozione vocazionale che chiamiamo GIM (Giovani Impegno Missionario) e sono in genere giovani studenti o lavoratori. Ora sono pochi quelli che di fatto possono permettersi di assentarsi un mese o più dalle loro attività ordinarie per “decidere se entrare o meno in un Istituto”.

D’altra parte una semplice presenza saltuaria, a qualche weekend o settimana estiva, non permette di fare una esperienza significativa di comunità in ordine a un discernimento vocazionale.

Dobbiamo riconoscere che non è ancora stata trovata (da noi almeno) una formula intermedia tra una attività di animazione vocazionale (incontri, ritiri, ecc.) e una struttura formativa vera e propria (postulato, noviziato).

La maggior parte dei giovani seguono l’iter classico del passaggio diretto da un centro di animazione vocazionale, o da un accompagnamento spirituale personale, a una struttura formativa vera e propria che, per noi, è il postulato.

Questo vuole dire forse inutilità della comunità di accoglienza? È presto per dirlo. Per noi rappresenta ora non una struttura alternativa ma una struttura complementare alle classiche strutture formative.

Si discute anche se il postulato non debba essere un po’ di più sullo stile comunità di accoglienza, cioè “più inserito nella realtà del mondo e della missione” ma è difficile conciliare attività formative (scuola e studio) con attività di servizio missionario vero e proprio. La comunità di accoglienza rimane quindi una fase di passaggio in ordine a una comunità formativa e soprattutto in ordine a una scelta definitiva.