L’animazione vocazionale nella parrocchia
L’ormai ventennale cammino della pastorale vocazionale unitaria in Italia è stato sin dal suo inizio ispirato ad una scommessa, una sorta di “punto fermo” che ha trovato sintesi efficace e lapidaria nel n. 46 del Piano Pastorale per le vocazioni: “Il punto di partenza della pedagogia vocazionale si trova ordinariamente in comunità cristiane sensibilizzate mediante la parola di Dio, i Sacramenti, la preghiera, l’impegno apostolico”[1].
Strada facendo, possiamo ritenere che questa scommessa è diventata di un’evidenza solare, persino ovvia e scontata per alcuni. Per molti, purtroppo, resta ancora oggi una novità. Per altri addirittura una chimera.
In questa scommessa, come in un mare a volte limpido, a volte torbido e limaccioso, si trovano così a confluire i sogni di una Chiesa locale esuberante di carismi e vitalità, ma anche problemi annosi, che rischiano di sclerotizzare l’unitarietà della pastorale vocazionale: mi riferisco all’armonica integrazione e conoscenza tra le diverse categorie vocazionali, al rapporto clero-religiosi, al coinvolgimento di tutti in un piano pastorale (generale e vocazionale) per la Chiesa locale, ad una progettazione “tutta ministeriale” di ogni parrocchia, alla giusta dialettica tra piccoli gruppi e grande comunità, ecc.
Non è questo l’ambito d’attenzione in cui si sviluppa questo studio. Era pur tuttavia necessario richiamarne l’orizzonte, perché – solo all’interno di quella che è in fondo l’ecclesiologia del Vaticano II – è credibile l’animazione vocazionale di cui qui si parla.
Un corpo che si rigenera
Perché l’animazione vocazionale in parrocchia? È un interrogativo, questo, a cui si è soliti dare risposte deduttive, frettolose, nel migliore dei casi funzionali: “occorrono forze per il ricambio”, “la parrocchia non deve solo chiedere ma anche dare”, “immaginiamo una Chiesa senza prete”. Perciò “rimbocchiamoci le maniche, preghiamo, diamoci comunque da fare”. Al tirar delle somme, poi, risulta che, mentre le varie forme di partecipazione (consiglio pastorale, attività catechetica, consiglio economico, animazione dei gruppi, ecc.) hanno avuto dopo il Concilio adeguato sviluppo, la corresponsabilità vocazionale continua a far da “cenerentola” in un progetto di vita parrocchiale.
In realtà un progetto non respira se è fondato su di un criterio semplicemente funzionale, dimenticando… le ragioni della bellezza: intendo l’armonia e la vitalità che devono ispirare la crescita di ogni autentica comunità cristiana, pena l’atrofizzazione di alcune sue membra e la strumentalizzazione di altre. Ogni comunità parrocchiale dovrebbe sentire connaturale questa tendenza all’armonia e al rinnovamento, quella che si realizza nella molteplicità delle funzioni, nella giusta integrazione tra giovani, adulti e anziani, tra sapienza e novità, tra anima e corpo, nella reciproca capacità di donarsi… È un elemento, questo, che accomuna la parrocchia ad una persona armonicamente sviluppata, agile, in salute e perciò capace di riprodursi, di educare e di proporre vita.
Una rivoluzione copernicana
Solo un cambio di mentalità, una vera e propria “rivoluzione copernicana” nello Spirito può convertire a questo criterio “induttivo” e a tutte le sue conseguenze. Solo la consapevolezza della propria responsabilità e lo spettro della propria sterilità, possono davvero far diventare “carne della propria carne”, questo problema per il parroco, per un consiglio pastorale, per i catechisti, per il popolo di Dio di una determinata parrocchia e per i tanti ministeri che la animano.
Una simile conversione-vocazione deve essere maturata già dal parroco, che – al di là dei tentativi fatti e magari andati a vuoto – deve sapersi chiedere: cosa vuole il Signore da me, alle prese con queste persone e con il problema-vocazione, un problema che deve diventare anche il loro oltre che il mio? Sono davvero convinto che la vocazione è in una persona ciò che la “ruota maestra” è in un orologio (S. Alfonso) e che come tale ogni persona ha diritto di essere aiutata a scoprirla? Avverto ancora il fascino ideale della mia vocazione o la vivo in modo troppo riduttivo o addirittura sacrificata ad altri idoli? Nella liturgia come nella catechesi, nella carità come nella confessione, mi sforzo di comunicare la fede, identificandomi col popolo che mi è affidato e con le persone che lo compongono?
Un’altra convinzione deve animare la vita del parroco e dei suoi più stretti collaboratori: la parrocchia intesa davvero come “chiesa per tutti”, della quale tutti partecipano, ognuno a modo suo: “non solo gli entusiasti della fede e gli impegnati della cultura o della politica, ma anche gli uomini stanchi della vita, i dubbiosi e gli incerti, i cristiani incoerenti e quelli superstiziosi, gli ignoranti e gli handicappati mentali”[2], tutti – e a qualunque età – coinvolti col problema vocazione. Una chiesa perciò “dove si predica nel linguaggio del contadino e dell’operaio, e si cantano canzoni amate anche dalle casalinghe che leggono TV-Sorrisi e Canzoni”[3].
A proposito di linguaggio: è qui che si avvia il… motore della dinamica vocazionale. Solo chi è capace di sintonizzarsi con l’universo mentale della gente, con i suoi problemi, con i bisogni veri e profondi che animano l’uomo e la famiglia, può dare una risposta. Solo chi è capace di far sperimentare la salvezza in quanto tale, può calare nel cuore di chi ascolta delle domande, e soprattutto la voglia di… riprendere il discorso. Anche qui occorre una rivoluzione interiore, che faccia estendere il linguaggio vocazionale a tutto il vasto campo della vita e del senso che la muove. In poche parole, dal secolarismo e dal senso di vuoto che esso produce, nasce una sfida per la nostra pastorale, perché essa sia più sapienziale e maggiormente rapportata all’esistenza.
All’interno di questa attenzione di fondo, un accento particolare merita la pedagogia dell’incontro, quella che aiuta la persona a vivere la sua fede come dialogo vivente e quotidianamente rinnovato con una persona altrettanto vera, il Cristo. È davvero il caso di chiedersi: questa pedagogia, presente in quasi tutte le pagine del vangelo, lo è altrettanto nelle nostre parrocchie e nei progetti pastorali?
Ristabilire le priorità
È vero: “i preti sembrano sempre di premura, assorbiti da mille pensieri, chiamati dappertutto da mille attese (…). Danno l’impressione di avere così tante cose da fare da dimenticarne sempre qualcuna e di passare la giornata rincorrendo infinite urgenze”[4]. E ciò potrebbe dirsi di tutte le persone di buona volontà che donano la loro vita “a tempo pieno”.
Ma il rischio è dietro l’angolo, si chiama efficientismo, managerialità: cose che fanno a pugno con uno stile di vita attento alla vita dei ragazzi. Certo, la vita è diventata maledettamente complessa, senz’altro più complessa che ai tempi di Gesù, ma il modello del pastore resta fisso nei secoli: “conosce le pecore una per una” (Gv 10,3.14). E perché questo accada, il pastore “perde” tempo, intere giornate, al sole o con le nuvole, su prati verdeggianti o su strade polverose. Anche qui una domanda: passando in rassegna le agende dei nostri pastori (e collaboratori), non è forse il caso di ristabilire certe priorità? Non è forse in questo “stare tra la gente”, in questo “perdere tempo” con i ragazzi e giovani, il nodo del problema vocazionale?
Occorre soprattutto inventare con fantasia quegli spazi, quei momenti in cui l’attenzione alle persone sia visibile e sistematica, anche… a fondo perso: un esempio è l’oratorio, un altro è il camposcuola, la visita alle famiglie, ecc. Ma ciò che conta è che questo stile di attenzione alle persone innervi tutto ciò che in parrocchia già si fa normalmente: la catechesi, la preghiera, la carità, la celebrazione dei sacramenti… Favorire la crescita e l’animazione personalizzata nei piccoli gruppi, come anche il saper prolungare una confessione ad… una seconda puntata di dialogo e direzione spirituale: sono tutti accorgimenti di un pastore sapiente, capace di appassionarsi alla storia unica ed affascinante di ogni persona che l’avvicini, in grado soprattutto di defilarsi al momento giusto, per cedere il ruolo assoluto e insostituibile che compete a Cristo, buon Pastore.
Note
[1] CEI, Vocazioni nella Chiesa Italiana. Piano pastorale per le vocazioni, n. 46.
[2] DIANICH S., Una Chiesa per vivere, Paoline, Cinisello Balsamo 1990, p. 61.
[3] ibidem.
[4] MARTINI. C.M., Il futuro dei nostri figli. Pensieri ad alta voce per dieci sere d’inverno, Centro Ambrosiano, Milano 1990, p. 28.