N.02
Marzo/Aprile 2006

Sui passi di Tommaso per portare speranza

Un cronista impietoso e distaccato avrebbe potuto descrivere così quella sera del famoso primo giorno dopo il sabato, che fanno vedere sempre in TV, come se fosse Telepace. 

«Non è ancora conclusa la giornata più confusa per quel manipolo di sprovveduti e impauriti che sono gli apostoli dopo che gli è stato ammazzato il capo. E’ una giornata strana, si rinnovano le voci, chi dice di aver visto la tomba vuota, chi racconta di averlo incontrato di persona, di avergli parlato, sono quasi tutti a raccontarsi una speranza difficile a crescere. E’ troppo lo sforzo del cuore per passare da quella tremenda visione del Calvario, da quel grido finale, da quell’invocazione più disperata che fiduciosa, che avevano udito anche da lontano, dove si erano nascosti: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, per passare dicevo, alla notizia, all’entusiasmo di Pietro e Giovanni, alla concitazione di Maria di Magdala che dicono, che squarciano il dubbio e aprono a una nuova certezza, ma stavolta piena, definitiva, perché nel cuore lentamente affiorano le parole di Lui, che parlavano di risurrezione e che per troppo tempo erano rimaste incomprensibili». 

A sera sono lì a farsi crescere l’uno con l’altro la speranza e arriva Lui: “Pace a voi”. Non è una rimpatriata dopo qualche grave incidente, ma è un inizio di vita nuova: “Adesso tocca a voi essere quel che io sono stato e sono per voi. Vi do il mio Spirito, che vi cambia dentro radicalmente e vi do il mio cuore, vi trasmetto il mio miracolo di perdono. D’ora in poi sarete voi ad avere le chiavi del cuore, potrete distruggere il peccato, cosa che solo Dio può fare”. Ma non c’è Tommaso. E’ fuori ancora disperato, ancora chiuso nella sua desolazione. Entra, li vede tutti esaltati, gli si fanno attorno, non smettono di riferirgli con gli occhi, con il cuore, con il sorriso l’esperienza profonda del Risorto. E lui: “a quel che dite, neanche se mi ammazzate ci credo. Siete tutti esaltati. E’ un’euforia collettiva che vi siete dati per sopravvivere, per eccesso di disperazione.” Qualche tempo dopo in piazza avrebbero detto, circa questo entusiasmo degli apostoli, che erano già ubriachi di buon mattino. Ma otto giorni dopo Lui, Gesù, il Cristo, ritorna e guarda subito Tommaso: “Volevi mettermi il dito nel posto dei chiodi? Volevi puntarmi la mano nello squarcio della lancia? Eccomi. Tommaso, il tuo dito e la tua mano sono ancora puntati sulle mie piaghe? Fai pure. Che credevi? Che mio Padre si lasciasse intimorire dalla cattiveria degli uomini? Che il suo piano di salvezza fosse legato a quattro chiodi e ad una lancia? Guarda che non c’è stata nessuna tragica congiuntura sfortunata che mi ha messo nelle mani della soldataglia, non è che non ho calcolato bene i tempi. Non sono vittima dell’ignavia di Pilato, né del tradimento di Giuda. Credevi che tutto fosse poggiato sulla vostra coerenza, sul coraggio di Pietro, sui vostri piani vocazionali, sulle vostre preoccupazioni rituali, sui vostri noviziati e sulle vostre paranoie? Credi che mio Padre non abbia messo in conto paura e fragilità, tradimento e superficialità? Se immergi la mano nel costato puoi trovare quel cuore da cui è partita tutta questa storia unica di amore, puoi toccare con mano quel retroscena trinitario che da sempre ha deciso l’amore di Dio fino alla croce. Non fermarti alla croce. Non è la croce che conta, ma il nostro amore di Padre, Figlio e Spirito Santo che sta su quella croce”. Noi siamo la fotocopia di Tommaso: duri a capire, lenti a credere, accartocciati sulle nostre false sicurezze, appassionati alla verità tanto da credere di averne la chiave, incapaci di fidarci. Da una parte Gesù che ama, capisce, si offre; dall’altra noi con la nostra dialettica, i nostri dubbi, i nostri continui ripensamenti, le emozioni contrastanti che oggi ci portano a credere e domani a rifiutare, con il velo pesante dei nostri comportamenti errati, che ci tolgono la visione della verità, con le nostre fughe per non pensare, con le nostre fasciature fatte di ricchezze ed egoismi, con le nostre intelligenze sviate. E Tommaso è lì a rappresentare tutti noi. “Sei proprio ancora tu! Ma come hai fatto? Non ci posso credere! Ci vedo bene? Ma che senso ha tutto questo che vedo? Che cosa dice alla mia vita furibonda? E alla mia ostinata disperazione? Anche Tommaso vede un corpo, non vede neon o pale d’altare, incensi o candele, ex voto o santoni: vede un corpo martoriato che lo chiama ad andare oltre. Non è una bocca aperta fino alle orecchie dalla meraviglia che conta, ma è un cuore che riconosce e legge dentro il segno e molto oltre, nel mistero, la presenza di Dio. 

E’ un attimo intenso quello di Tommaso. La verità gli scoppia dentro: “mio Signore e mio Dio”. E’ fede pura, non è soprattutto e solo constatazione. Tommaso però era tenace: aveva dubbi, ma li voleva risolvere. Faceva fatica a credere, ma non ha esitato ad affrontarne la fatica. Si era tirato fuori dalla festa, dal primo giorno dopo il sabato, ma ha fatto di tutto per rientrarci e non lasciarla mai. Il cristiano sa di poter contare su questa esperienza determinante, che gli mette a disposizione, oltre ogni sforzo razionale o immaginazione, la sorgente della speranza. Tutti i nostri ragionamenti, considerazioni, stimoli culturali, tutte le nostre offerte di speranza devono poter contare sull’esperienza del Risorto, altrimenti il nostro essere cristiani non porta nessuna novità alla vita dell’uomo. Ogni chiamata viene dal Crocifisso Risorto e porta al Crocifisso Risorto. Il Crocifisso Risorto è il nome della speranza cristiana. Le due parole, crocifisso e risorto, unite inscindibilmente ci dicono la portata, la consistenza, la vocazione, la struttura della speranza cristiana. A quella morte è capitato qualcosa di inedito. In questa compresenza di crocifissione e risurrezione ci sono tutti i drammi umani, tutte le ricerche, talora le sconfitte e le disperazioni, le debolezze e le piccole vittorie, le ansie e i martirii, la tenacia nella debolezza, la progettualità e l’accoglienza del dono, la fatica di capire la chiamata e la gioia di rispondervi. 

Diventa allora importante riuscire a strutturare la vita del cristiano attorno all’esperienza del Risorto e nello stesso tempo tradurre in linguaggi culturali comprensibili, nella vita e nella società, l’umanità nuova che il cristiano incarna nel vivere in sé, e nel mondo delle sue relazioni, la fede pasquale. Ci sono una sorgente, un fondamento da cercare e una testimonianza da offrire. Sono gli interrogativi ineludibili che ci stiamo facendo come Chiesa, in preparazione al Convegno Ecclesiale di Verona.