N.06
Novembre/Dicembre 2025

Dulcis in fundo

«Il dolce giunge alla fine» dicevano gli antichi per dire che la parte migliore del pasto viene al suo termine per lasciare al palato un buon ricordo, un sapore delizioso e prolungato. 

E per questa ottima ragione, solo al termine di questo – incompleto – excursus sui ‘modi’ della preghiera e del discernimento, arriviamo a parlare della celebrazione eucaristica. 

Sono finiti già da molto i tempi nei quali riscuoteva un certo successo l’indicazione data in parrocchia, ai ragazzi e alle loro famiglie, dall’educatore o dal catechista di prendere parte alla messa domenicale, ritenendolo un momento insostituibile e indiscutibile per dare l’avvio ai percorsi di iniziazione alla vita cristiana, alla preparazione ai sacramenti o semplicemente alle attività in oratorio. 

Se abbia funzionato o meno, in termini di crescita autentica nella fede, la proposta (!) rivolta ai bambini e ai giovani, di obbligata partecipazione alla celebrazione eucaristica parrocchiale, non sappiamo dirlo in modo convinto. Ma il sospetto che l’obbligo, appunto, abbia trasformato la sperata partecipazione in sola presenza per poi produrre distanza e infine assenza, lo abbiamo tutti.

La prassi della disaffezione ai momenti liturgici ci impone una riflessione a partire dalla nota e applaudita espressione del Concilio Vaticano II che, nella Costituzione Dogmatica Lumen Gentium  (11) definisce «il sacrificio eucaristico fonte e apice di tutta la vita cristiana» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1324) e che i nostri tempi sembrano smentire. Qui non vogliamo smentire, vogliamo piuttosto inverare la forza di questa affermazione, rovesciandone la prospettiva in un percorso forse impervio ma non per questo meno interessante. 

Lo sappiamo, la celebrazione eucaristica è, con vivida certezza, il luogo privilegiato dove l’incontro con il Signore Gesù, nell’assemblea convocata e riunita, nella Parola proclamata e nell’offerta consacrata, si fa concreto e vero e di questo non dubitiamo; ma lo abbiamo dato così tanto per scontato che abbiamo da lungo tempo trascurato uno stile mistagogico nella pastorale – anche vocazionale – al punto che le nuove generazioni con difficoltà conoscono o comprendono segni e simboli liturgici e rituali che sono divenuti (solo per loro?) espressioni insensate di un culto lontano e inutile. 

In ultima analisi celebrare potrebbe non aiutare, se non ostacolare, l’incontro atteso.

E la questione non riguarda la liturgia in sé, sì da doverne ripensare forme e modi o, al contrario, dover recuperare stili celebrativi del passato. 

No, ma riguarda, come al solito, l’annuncio del Vangelo, della persona di Gesù, il Figlio di Dio.

Possiamo dire, con papa Leone, che «Si tratta di porre Gesù Cristo al centro e aiutare le persone a vivere una relazione personale con Lui, per scoprire la gioia del Vangelo» (Leone XVI ai Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, 17 giugno 2025).

Non di rado ascoltiamo parole come «Credo che Dio c’è, ma alla Chiesa no, non credo. Prego a modo mio ma a messa non ci vado, non mi serve a niente» (Martina di Roma, 21 anni). Quanti come lei?

L’accompagnamento spirituale, volendo rispondere al grande desiderio di ricerca di Dio che i giovani manifestano, non può essere ingenuo proponendo la messa come punto obbligato di partenza, fonte e origine del cammino; sembra opportuno riconoscere che la nostra Martina ha ragione e non solo: vuole pregare e incontrare il Signore e ha diritto a scoprire che la celebrazione eucaristica ‘serve’ a questo e le serve davvero. Forse il percorso è ancora da inventare ovvero da rispolverare nella pastorale di sempre, ma è urgente che la ricerca vocazionale torni nel suo alveo celebrativo ed eucaristico che solo le dà senso e orientamento. 

I figli e le figlie di Dio sono, in forza del loro Battesimo, chiamati a gustare la festa dell’Eucaristia come vero rendimento di grazie per l’incontro avvenuto, e allora sì, ancora cercato.

Eucaristia culmine che ci riporta alla fonte. 

«All’inizio dell’essere cristiano», ricordava a tutto il popolo di Dio Benedetto XVI «non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus Caritas est, 1).

Dobbiamo occuparci di questo incontro, della possibilità, di ogni possibilità concreta, quotidiana, feriale in cui indicare l’Agnello di Dio, Colui che è da seguire e da cui solo possiamo imparare ad amare e a vivere. Accompagnare, seguendo Lui, non porta in altra direzione se non verso l’Eucaristia, celebrata, gustata e adorata. 

Allora il sacrificio eucaristico sarà veramente fonte, «sorgente ed epifania di comunione. Principio e progetto di missione» (cf. Giovanni Paolo II, Discorso in occasione dell’inizio dell’anno dell’Eucaristia 2004 – 2005): principio e progetto di vocazione, aggiungiamo noi.

Senza dubbio Dio agisce come vuole, raggiunge l’anima dei suoi figli sorprendendola come un dono di grazia nel modo che solo Lui conosce e sono tanti i ragazzi e le ragazze che, esposti all’Eucaristia in un momento di preghiera e di adorazione, sperimentano un’attrazione viva capace davvero di trasformare il cuore di pietra in un cuore di carne. 

Ma l’incontro con il Signore nel Santissimo Sacramento non è e non può essere solo un tempo emotivamente forte quindi, per sua natura, breve; può e deve diventare sempre di più una stabile, fedele e felice relazione che la celebrazione eucaristica aiuta, valorizza e fa crescere.

Diventi l’incontro con quella dolcezza che lascia il suo sapore fino alla fine.