Pazienti nell’attesa
“Dov’è dunque ora ciò che io attendo?” (Gb 1715). Che cosa potevano desiderare così ardentemente i giusti, se non la venuta di Dio, giusto e giustificante, che volontariamente sarebbe disceso fino a condividere le pene del genere umano, e così a liberare i prigionieri dalla morte mediante la sua giustizia? Essi non cessavano un istante di attendere con ardente affetto la sua venuta. Sapevano che un giorno sarebbe venuto, ma supplicavano che venisse presto. Perciò Giobbe non si limita a dire: Dov’è dunque ciò che io attendo?, ma dice: “Dov’è dunque ora ciò che io attendo?”. Precisando “ora”, esprime l’ardente desiderio che colui che un giorno verrà, venga subito.
Egli continua: “E la mia pazienza chi la considera?”. Ha espresso il desiderio di essere redento presto, mentre vive ancora nella carne, e di essere richiamato dagli inferi al cielo. Certo erano pochi gli uomini che come lui si interrogavano sul destino della vita presente e sul ritardo dopo la morte. Era una doppia prova che i giusti dovevano affrontare prima della venuta del nostro redentore. Così Giobbe può dire: “E la mia pazienza chi la considera?”.
È vero, c’è chi considera la sua pazienza, ma siccome Dio non esaudisce subito, si direbbe che non la considera abbastanza. Infatti la redenzione del genere umano, che è venuta alla fine dei tempi, a coloro che vissero all’inizio del mondo sembrava in ritardo, perché erano separati da un lungo spazio di tempo dalla ricompensa dei beni celesti, come conferma la Verità quando dice”Molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro” (Lc 10,24). Così ora Giobbe che dice: “E la mia pazienza chi la considera?” esprime i voti di un ardente desiderio. Ciò non vuol dire che Dio non consideri la pazienza dei giusti, ma sembra che non la consideri, perché non appare subito secondo il desiderio dei giusti e, prolungando i tempi, differisce la grazia del suo piano salvifico. Giobbe può dire: “Chi considera la mia pazienza?” perché se il tempo per chi dispone il piano è breve, per chi ama è lungo.
(Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe, XIII, 51-52)
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