La Gerusalemme bolognese
Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio (Ap 21,3).
La storia del complesso monumentale di S. Stefano a Bologna abbraccia più di 1500 anni durante i quali si avvicendano dominazioni romane, longobarde, franche. Si tratta di un insieme di edifici sacri i cui strati più antichi sono pre-cristiani e il cui aspetto attuale risale ai restauri di Rubbiani, nei primi anni del ‘900. I bolognesi parlano di “sette chiese”: tale cifra non coincide esattamente con il computo degli ambienti, ma collega S. Stefano con le “sette Chiese” d’oriente menzionate dall’Apocalisse. La storia intricata e lentamente stratificata che traspare dalle pietre di S. Stefano fa di questo luogo sacro un vero memoriale della storia locale; il capoluogo emiliano si comprende come sintesi di quelle sette Chiese a cui si rivolge il veggente dell’Apocalisse. Il combattimento apocalittico è una “liturgia cosmica” che si conclude con la discesa sulla terra della Gerusalemme Celeste ed è proprio questo l’appellativo più usato dalle fonti per designare S. Stefano. Le spoglie di S. Stefano protomartire sostarono in questo luogo nel V secolo quando, già su un tempio dedicato a Iside, S. Ambrogio fece erigere un sacello per la venerazione dei santi Vitale e Agricola, co-patroni di Bologna insieme a S. Petronio. Fu proprio quest’ultimo che, reduce da un viaggio in Terrasanta a metà del V secolo, decise di riprodurre i luoghi costruiti da Costantino sul Sepolcro di Cristo, invertendone però l’ordine di accesso, presumibilmente a scopi catechetici come è attestato in altri complessi monumentali simili come per esempio quello di Aquileia. Il primo luogo di accesso è la Rotonda-sepolcro, a seguire l’atrio di mezzo e infine la basilica-martyrium.
Successivamente, come ricorda un trattato franco della fine del IX secolo, il complesso basilicale si trasforma in una meta di pellegrinaggio nota come Jerusalem bononiensis: il pellegrino che nell’alto medioevo giunge nel capoluogo emiliano è chiamato a compiere la stessa esperienza delle donne davanti alla tomba vuota al mattino di Pasqua. Dopo le Crociate del XII secolo, l’intero quartiere in cui è inserita S. Stefano viene rivisitata secondo i luoghi della passione e morte di Gesù Cristo per trasformare la città di Bologna in una Gerusalemme alternativa. Ci soffermiamo ora su due elementi in particolare: una croce in marmo e un affresco.
Sulla facciata della chiesa del Crocifisso, il più recente degli edifici che compongono l’intero complesso, c’è una croce al cui centro spicca una mano dall’indice e medio alzati: il gesto della Parola. Tale iconografia esprime in sé i pilastri della fede cristiana: “Egli è il Verbo che si fece carne” (Gv 1,14); “fu obbediente fino alla morte e alla morte di Croce” (Fil 2,8). Salendo sulla croce, Gesù prende la parola in difesa dell’umanità, ma in luogo di un’arringa vengono pronunciate solo poche parole, quelle decisive, che parlano di dono, di perdono, di promessa, di compimento. La croce è il Nome di Gesù – che viene infatti scolpito nel legno sulla sua testa – ed è tutto ciò che si può dire di Lui nell’ottica della “Parola della Croce” paolina: “La parola della Croce è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano è potenza di Dio”. In altre parole, chi non è disposto ad accogliere la croce nella propria vita, non potrà comprendere il senso del sacrificio di Cristo, al contrario, per chi abbraccia la propria croce senza fuggirla, la Croce di Cristo diventa benedizione potente perché orienta tutte quante le croci umane dando loro un senso. Tale croce benedicente è posizionata al di sopra dell’arco di ingresso in cui a lettere annerite si può leggere la scritta “sancta sanctorum”, vale a dire il centro del tempio di Gerusalemme in cui può entrare solo il sacerdote una volta all’anno per invocare il nome di Dio. Se, dunque, la chiesa del Crocifisso coincide con il luogo più santo del tempio, ciò significa che tutta la città di Bologna è concepita come tempio e che, pertanto, la missione del cristiano è quella di uscire dalla città per annunciare il Vangelo. Quella appena espressa è la visione teologica della Gerusalemme Celeste nel libro dell’Apocalisse al capitolo 21: il luogo dove si può incontrare Dio non è più un luogo sacro separato dalla città, ma è la stessa città degli uomini.
L’affresco di nostro interesse è un lacerto che si trova nella parete destra del Martyrium, è stato posizionato in questo luogo nel corso del 1900 e rappresenta una insolita Madonna incinta del XIII secolo di cui non si conosce l’autore. Le fattezze di Maria sono molto dolci: la Madre di Dio è immortalata con la mano destra appoggiata sul ventre e quella sinistra lungo il corpo; tiene stretto un libro: la Torah. La posizione stessa delle mani suggerisce il messaggio, ovvero che il Verbo si è fatto carne del grembo di Maria ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Maria è la tenda del Tempio, la tenda del Cielo che permette l’incontro con il Dio che salva.