Il giovane e il tempo. Come i giovani di oggi vivono il tempo e che cosa la Domenica può dire ai giovani di oggi
«La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”.
Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv 20,19-20).
…Da quel momento la Domenica, il giorno del Risorto, continua a ripetere la parola “Pace” sulle inquietudini, solitudini, ricerca di senso, voglia di vita e di festa che abita nel cuore dei giovani.
Parlare del tempo[1] è come voler estrapolare dal vissuto dei giovani quel filo rosso che mette insieme i pezzi dell’esistenza in cui loro stessi sono immersi, molto spesso senza saperlo o senza riconoscerlo.
L’educatore vocazionale sa bene come è molto rischioso conoscere i giovani, e in questo caso come essi vivono “il tempo”, solo attraverso sondaggi e ricerche. Non sono le statistiche ad aiutarci a conoscere ciò che abita il cuore dei giovani che personalmente accompagniamo, e cosa li muove a gestire in un certo modo i minuti, le ore, i giorni a loro affidati con il dono della vita. I giovani in astratto non esistono e generalizzare fa sempre correre il rischio di non incontrarli nella loro verità.
Nel discernimento vocazionale, soprattutto, non ci si rivolge genericamente a “dei giovani”, ma si accompagna “quel” giovane a discernere la volontà di Dio e a riconoscere come, proprio nel “tempo”, vi è l’opportunità continuamente offerta per ascoltare la proposta del Signore, rispondere a quanto chiede, fare della propria vita un dono d’amore. Perciò se ci riferiamo a quanto viene detto sui giovani, o se ci soffermiamo a far emergere alcune caratteristiche di come loro gestiscono il tempo, è solo per cercare poi di avere quelle attenzioni rispondenti all’oggi per personalizzare il cammino educativo. Questo permetterà di rileggere e integrare qualche dato, verificato nella particolare e unica storia del singolo giovane, non omologabile con nessun’altra storia. Soprattutto aiuterà a saper stare in mezzo a loro, con quella novità di vita che viene dall’incontro con il Risorto, che “si ferma in mezzo a loro” e non scansa la loro condizione di fragilità, paura, fatica, non senso… proprio come ha fatto con i discepoli in quella sera del primo giorno dopo il sabato (cfr. Gv 20,19-20).
Il desiderio è di guardare il modo in cui i giovani vivono il tempo con quella passione educativa che sa cogliere opportunità anche dove sembra non ci siano, e di lasciare che anche la Domenica raggiunga con la sua originalità la vita dei giovani e sia realmente «il giorno della risurrezione, non solo memoria di un evento passato ma celebrazione della viva presenza del Risorto in mezzo ai suoi»[2].
Porte chiuse ma… con appuntamento
Porte chiuse: sembra essere questa una prima resistenza a far breccia in quel «modello antropologico di “uomo senza vocazione”»[3], che non conoscendo il senso della propria esistenza non può conoscere neppure il significato del tempo. Oggi, adulti e giovani, si scontrano con uno scorrere del tempo sempre più impietoso, da rincorrere per stare al passo con tante cose da fare, che riempiono la vita ma non riescono a darle senso. «Mi sento come una trottola impazzita che, messa in moto, continua a girare sfiorando luoghi, persone, situazioni, impegni…», mi diceva una giovane proprio poco tempo fa. Le “tante cose da fare”, se non hanno un orientamento, o non sono sostenute da una motivazione forte, costringono il tempo ad essere quel contenitore sempre più stretto in cui dover far rientrare di tutto un po’.
In modo particolare il tempo dei giovani oggi sembra aver perso il sapore della scoperta di ciò che qualifica il vissuto dandogli una direzione e un orientamento. Il moltiplicarsi di opportunità, il poter saltare dall’una all’altra cosa indifferentemente, il sapere che certe possibilità o si colgono subito o potrebbero anche non presentarsi un’altra volta, il misurare la bontà o meno di quanto si fa dalla gratificazione immediata che ne deriva e dall’emozione forte che si sperimenta, il non riuscire a vivere relazioni autentiche perché si è sempre troppo di corsa e distratti per vedere i bisogni reali di chi si incontra… sembrano aver di fatto cancellato le parole “progetto”, “futuro”, “scelta”, “vocazione”, “impegno” dal vocabolario giovanile, per introdurvene altre che dicono bene il vuoto e la chiusura in cui si è costretti a vivere.
La Domenica, giorno del Signore, può essere fatta incontrare al giovane anche come opportunità per rimettere ordine nel caos di tanti segmenti slegati, per trovare ciò che unisce e non ciò che frammenta i vari aspetti del proprio vivere. Essa, per il fatto stesso di esserci come certezza e significato del tempo cristiano, è invito ad entrare in quel tempo di grazia che irrompe nel quotidiano, lo fa essere tempo del Signore, e per questo da celebrare. La Domenica dice che il tempo è già stato per sempre liberato dalla tirannia del presente e qualificato dalla presenza del Signore “per sempre” in mezzo ai suoi (cfr. Mt 28,20): ciò che si fa, trova nuovo significato proprio perché vissuto in Lui. Il “giorno del Signore” è come un appuntamento offerto gratuitamente in cui si è invitati ad entrare così come ci si trova, con la propria tristezza o la propria gioia, con la delusione per quanto vissuto o con l’entusiasmo per i propri successi faticosamente conquistati.
Porte chiuse ma… dentro una storia
Porte chiuse quelle di una cultura in rapido cambiamento in cui l’unica cosa certa sembra essere l’incerto. È come avere la sensazione di non sapere da dove si viene e dove si stia andando. Ai giovani è sottratto il dono della memoria, e di conseguenza il senso della storia. Ma è anche come se fosse stata bruscamente chiusa la porta alla speranza per il domani. Lì dove manca memoria del passato e il futuro è riconosciuto solo come noiosa ripetizione del presente, o preoccupante minaccia sulle occasioni possibili oggi, è difficile poter far scelte di vita autentiche e durature. Al posto della progettualità ci si lascia portare dal destino, e a volte il ricorso a magia e superstizione aiutano ad esorcizzare ciò che non si può conoscere e non si sa attendere.
In questa cultura di rapido cambiamento, la “mentalità digitale” porta spesso a vedere sul display dell’orologio della vita, solo quella frazione di tempo che è consentito vedere, senza sapere che le lancette del tempo indicano una storia già passata, carica di memoria, e introducono dentro un futuro, carico di speranza[4]. Il pulsare del separatore tra l’ora e i minuti non può che provocare un forte senso di angoscia, come essere alle prese con un controllore che sta lì a spiare se ce la si fa o meno.
A questo riguardo la Domenica ha molto da dire alla vita del giovane. Il memoriale della morte e risurrezione del Signore, che si celebra in modo pieno nel giorno del Signore, introduce in una storia di salvezza da cui si è già stati generati, da cui sempre si è vivificati, e in cui si è abilitati a vivere quanto celebrato. Celebrare il mistero pasquale non è mai vuota commemorazione di un fatto del passato. È l’esperienza concreta nell’oggi di Colui che «mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). Solo questa esperienza ridona senso al presente e apre al futuro. Nel giorno del Signore, viene liberata la personale capacità di amare: essa diventa concreto stile di vita che ridona senso al tempo. La memoria cristiana non è ricordo di un passato lontano, ma è il «farsi presente dell’evento unico e definitivo della salvezza nell’oggi degli uomini, memoria vivente, pericolosa e trasformante. Nella fede si realizza l’incontro che cambia la vita»[5]. Quando Gesù ripete ai suoi “fate questo in memoria di me” (Lc 22,19) non invita a ripetere un rito, ma ad entrare nel dinamismo del suo modo di amare, per lasciarsi amare e darsi fino in fondo per amore. È questa la buona/bella notizia che dovrebbe con forza risuonare in ogni Domenica e arrivare a far vibrare le corde dell’esistenza di ogni cristiano, e dei giovani in particolare: «siamo amati, perdonati, immersi in un infinito abbraccio. Non in astratto, né in modo anonimo, ma nel vissuto originalissimo e inconfondibile che ci riguarda e nel concreto della storia di ieri, oggi e domani»[6].
Questa profonda dimensione vocazionale della Domenica non può essere trascurata da nessun educatore alla fede. Celebrare il mistero pasquale significa che ogni cristiano «prende parte ed entra nello stile del dono di Gesù, diventando come Lui pane spezzato per l’offerta al Padre e per la vita del mondo. L’Eucaristia diventa così sorgente di ogni vocazione cristiana. Colui che vi prende parte accoglie l’invito-chiamata di Gesù a fare “memoria” di Lui, nel sacramento e nella vita, a vivere “ricordando” nella verità e libertà delle scelte quotidiane il memoriale della croce, a riempire l’esistenza di gratitudine e di gratuità, a spezzare il proprio corpo e versare il proprio sangue. Come il Figlio»[7]. Celebrare in questo modo il giorno del Signore è possibilità di incontrare la personale storia di salvezza in cui, mentre si ritrovano le radici del proprio passato, ci si incammina in un futuro custodito nel cuore di Dio e manifestato nel fare di ogni giorno un’opportunità di dono di sé.
Porte chiuse ma… per essere aiutati ad uscire
Porte chiuse sono anche quelle del tempo usato dai giovani per entrare in contatto con il mondo intero ma attraverso il clic del proprio computer rimanendo comodamente a casa, o entrando negli internet point o nelle chat room. Molto tempo utilizzato per navigare e troppo poco per solidarizzare con storie vere che interpellano e gridano aiuto!
Il mondo virtuale dice l’imbarazzo di esporsi fino in fondo, l’evitare il contatto “faccia a faccia”, l’entrare in un mondo dove è possibile dire tutte le bugie e tutte le verità che si vogliono, e dove si può chiudere in qualsiasi momento, o eliminare e “buttare nel cestino” con un solo clic, ogni contatto che non serve più. Perdere il contatto con l’altro, diverso da sé, ma reale, rischia di far perdere contatto anche con la propria realtà personale.
Quello di oggi è un tempo che si spazializza sempre più e in cui è possibile ritrovarsi simultaneamente “in linea” con i posti più impensati del globo. Se c’è molto di positivo in tutta questa possibilità, c’è anche molto di pericoloso, perché si rischia di non essere mai dove si deve essere, o di essere qui ma anche lì, di non ritrovare se stessi, di rimanere in superficie nella relazione con sé, con gli altri e di conseguenza anche con Dio. Il giorno del Signore pone un interrogativo serio su questa realtà, e annuncia ciò che da sempre è un segno eloquente per tutti.
Niente di virtuale nella Domenica, ma possibilità reale di incontrarsi, di comunicare, di ascoltare una Parola che precede e rinnova, di rispondere coralmente, di chiedere insieme aiuto, di assumere le proprie responsabilità, di farsi solidali con i fratelli e di essere segno di quanto celebrato!
La Domenica non è visione più o meno appassionante di un reality show, ma è ritrovarcisi dentro da protagonisti. Nella Celebrazione del giorno del Signore nessuno può venire improvvisamente scartato, ma ciascuno si scopre atteso e valorizzato perché irrepetibilmente amato da Colui che fa Eucaristia. E se può accadere che qualcuno non riesca a coinvolgersi, la conseguenza è che tutti ne rimangono profondamente più poveri.
Per questo la Domenica è realmente il giorno della comunità, radunata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito. Dire “giorno della comunità” è evidenziare subito un profondo significato vocazionale. La Domenica è sinfonia di tutte le vocazioni presenti in essa, che nella diversità di carismi e ministeri, manifestano e testimoniano l’unico Corpo di Cristo.
Fare comunità non è semplice somma di solitudini individuali che si incontrano, ma esperienza di essere chiamati insieme (con-vocati). Per questo la Domenica è giorno del Signore ma è nello stesso momento “giorno della Chiesa”[8]. In questa comunità con-vocata, Dio continua a parlare come si fa con amici e in modo instancabile chiama alla comunione con sé[9]. Ma nello stesso tempo offre la possibilità di «rispondere a questo dialogo di amore ringraziando e lodando»[10] insieme, e anche riconoscendo, insieme, le fatiche e gli incidenti di percorso nel cammino della testimonianza.
Da questo dialogo-risposta nasce il vero ricominciare: un più autentico movimento verso l’altro, il bisogno di vivere quanto gratuitamente ricevuto, e sentirsi così inviati soprattutto verso i più poveri, i malati, le persone più sole, chi non ha potuto – o non ha voluto – celebrare il giorno del Signore. Chi è stato nutrito alla Mensa della Parola e del Pane, può a sua volta farsi parola e pane per altri perché lì ha ricevuto «la forza di trasformarsi a sua volta in dono»[11]. La Domenica è il giorno per vivere concreti spazi di servizio, di attenzione all’altro, di solidarietà, di vera carità, di visibilità del dono vocazionale ricevuto. In quell’“andate” che conclude ogni celebrazione vi è un preciso mandato che apre al dono di sé.
Timorosi ma… raggiunti dalla pace
Il risorto, entrando nel luogo dove si trovavano i discepoli, pronuncia la parola “pace” (cfr. Gv 20,19). Oggi dove potrebbe ripeterla in quegli “spazi di vita” in cui i giovani più temono? Accenno, tra le molte possibili, a tre realtà: il tempo vuoto, la paura del “per sempre”, la notte.
Tempo libero o tempo vuoto?
Anche per il giovane, al di là della frenesia del districarsi tra le mille cose da fare, rimane del tempo cosiddetto “libero”. Esso, in termini positivi è lo spazio per lo svago, il gioco, le relazioni amicali, la distensione, lo sport, il contatto con la natura… Più realisticamente per molti giovani (e meno giovani), il tempo libero porta il cupo nome di “tempo vuoto”. Soprattutto la Domenica, in cui si è liberi dallo stress dello studio o del lavoro, rischia di presentarsi per molti come un problema in più, che assume i contorni della noia, della solitudine, dello sprofondare nell’angoscia e nella depressione esistenziale[12]. Non sono pochi i giovani che temono l’arrivo della Domenica perché troppo diversa da tutti gli altri giorni.
Quello che dovrebbe essere goduto come tempo di riposo e di rigenerazione delle energie fisiche, spirituali, psichiche, per qualcuno è una minaccia, o un tempo in ogni caso da riempire… non importa come. Da qui anche il bisogno di trasgressione portata all’eccesso, quasi per scaricare la rabbia di un “vuoto” subito.
La Domenica, nella sua verità più profonda lancia una parola di speranza nella vita del giovane. Essa parla di opportunità di rigenerare la vita e di entrare in quello stesso sguardo contemplativo di Dio, che dopo la creazione non si è riposato perché troppo stanco, ma ha fatto spazio alla possibilità di gustare quanto aveva creato, soprattutto ha voluto compiacersi dell’uomo e della donna creati a sua immagine e somiglianza. Da allora non ha mai smesso di riconsegnare ad ogni uomo e ad ogni donna quella bellezza originaria[13]. Aiutare perciò i giovani a trovare nel giorno del Signore la possibilità di fare spazio all’interiorità per incontrarsi con se stessi, per scoprire quell’immagine e somiglianza primordiale, di sentire la propria vita avvolta da quello sguardo di compiacimento del Signore e di riconoscere nei propri doni, talenti, capacità di amare, quella bellezza originale… è accogliere il dono che la Domenica stessa offre. Molte possibilità di organizzare itinerari vocazionali nel giorno del Signore, sono accompagnati anche da questa benedizione domenicale!
Un “per sempre” da paura!
C’è decisamente bisogno di pace nel cuore dei giovani per riuscire ad accogliere in pienezza il dono della vita, trovare il proprio originale modo di amare e per poter rispondere a quanto il Signore chiede. Nel bagaglio delle paure che i giovani possiedono vi è quella della definitività delle scelte. Fare scelte definitive significa credere che il tempo porta in sé lo spazio dell’eternità e ogni scelta consente, nell’oggi, l’incontro tra tempo ed eternità. Troppo abituati ad essere provvisoriamente impegnati in molte cose, ai percorsi accademici brevi, ai lavori con contratti a termine e alla flessibilità tra vari impieghi, all’instabilità delle relazioni, all’“usa e getta” nelle cose e con gli altri, molti hanno innescato il criterio della reversibilità delle scelte, che durano “finché me la sento”. Ma è il valore della fedeltà a dare consistenza alle scelte personali, a far trovare il senso della rinuncia in ciò che non è in sintonia con l’opzione fondamentale, a dare credibilità al futuro, a far sperimentare la presenza del Signore in ogni momento della vita.
La Domenica restituisce al giovane il valore del “per sempre”: quello di Cristo è un dono senza ritorno, sempre offerto, sempre nuovo. Proprio nella celebrazione della Pasqua settimanale la Chiesa continua ad incontrarsi con la fedeltà di Cristo alla storia, a celebrare quelle «promesse di Dio diventate SÌ in Gesù Cristo» (cfr. 2Cor 1,20) e non smette di indicare che la risurrezione è «l’asse portante della storia, al quale si riconducono il mistero delle origini e quello del destino finale del mondo»[14].
Questa notte sempre più notte o chiara come il giorno?
Spazio di vita sempre più giovane è quello della notte[15]. Essa inquieta e scomoda non poco il mondo degli adulti, che ancora non sanno pienamente leggere dentro questa esperienza quale domanda profonda emerga dalla vita di chi la vive.
Rompere con dei ruoli sociali prestabiliti, magari incasellati nel bravo ragazzo/a, studente modello, lavoratore impegnato… sentire la forza di essere insieme e occupare uno spazio non controllato dagli occhi degli adulti… respirare quella sorta di fascino e di mistero proprio del buio, in cui tutto può fare più paura ma anche può essere più intimo e affettivamente caldo… vibrare per dei minuti che sembrano più lunghi sapendoli esclusivamente per sé… abitare un mondo attorno che si ferma e dorme, e dove finalmente si può vivere e divertirsi… sapersi insieme a compagni di avventura che si incontrano per lo stesso motivo e sono più disponibili ad accettarsi reciprocamente, con cui è possibile parlare, fare silenzio, ascoltare, anche se i discorsi non hanno tanto spessore… potersi sfogare attraverso il ballo, il movimento, il contatto fisico… rivela il bisogno di trovare il proprio spazio, e di liberarsi dai tanti stereotipi sociali.
Certo la Domenica è il giorno del sole, è pieno giorno! Anche la Domenica però è memoria di una “notte”, che ha per sempre liberato la vita. Se riuscissimo ad aiutare i giovani ad entrare in quel massimo capovolgimento degli schemi umani dove il peccato non è l’ultima parola ma lo è il perdono, dove non viene mai calato il sipario con la parola morte, ma è sempre spalancato l’orizzonte della vita, dove la più originale “trasgressione” è quella che il Vangelo annunciato e il Corpo e Sangue dato per amore producono giorno per giorno, certamente anche le notti in cui i giovani si sentono a loro agio, diventerebbero chiare come il giorno e il loro impegno a favore di una vita diversa, sarebbe assunto come stile di vita.
Per far questo però anche noi educatori, dobbiamo attraversare le “notti dei giovani” non con verità moraleggianti, ma con l’annuncio del Vangelo che sa trasformare i desideri assopiti nel cuore in impegno per realizzarli.
Mani e costato in cui specchiarsi
Se molte esperienze vissute possono lasciare ferite profonde dentro la vita di tutti, e in particolare di tanti giovani, nuovamente la Domenica ci ricorda che Gesù si manifesta mostrando le sue mani e il costato feriti (cfr. Gv 20,20), quasi per fare da specchio e per riconoscersi in quelle mani e in quel cuore. Il suo amore fino alle fine indica pure da quale via passa la vera guarigione. Nella Domenica si celebra quell’amore senza ritorno: mentre viene offerto gratuitamente il balsamo della guarigione, viene consegnato l’olio della consolazione da versare su chiunque fatica a sentirsi amato e a riamare. Anche questa potrebbe essere una sfida da mettere in mano ai giovani appassionati di vita.
E i discepoli gioirono al vedere il Signore
Il tempo vissuto dai giovani porta il nome anche di festa! Non è la ciliegina sul gelato, o un colpo d’ala per riscattare la realtà! Proprio per il loro essere giovani, i giovani hanno una naturale capacità di vivere la festa, di esprimere la gioia, di appassionarsi per ciò che credono importante, di coinvolgersi fino in fondo quando si sentono chiamati in causa o si sentono protagonisti. Nelle manifestazioni in cui loro sono particolarmente coinvolti, sanno persino esprimere una certa ritualità: allo stadio, nei concerti, o nelle GMG, c’è una liturgia della vita che li fa essere se stessi, li fa stare bene insieme, li fa essere uniti per una causa comune. La Domenica, e in essa la celebrazione eucaristica, dovrebbe portare il calore di una festa. Essere insieme per fare eucaristia, cioè per imparare a dire GRAZIE per quanto ricevuto gratuitamente, è andare a rendere festivi ed eucaristici gli incontri e le giornate quotidiane.
La familiarità per vivere la festa, i giovani l’hanno come dono naturale, ma qualcuno deve risvegliare questo dono e aiutare a farlo crescere mettendolo in circolo. Il grigiore di certe celebrazioni, la stanchezza per alcuni momenti di catechesi o di momenti aggregativi, probabilmente sono ancora una contro-eucaristia. Tutti noi educatori, abbiamo sufficienti responsabilità e motivi validi per provvedere prima che sia troppo tardi.
La gioia dei discepoli è scaturita dalla presenza del Risorto in mezzo a loro, e questo è un dato certo in ogni nostra celebrazione. È importante ripartire da lì per aiutare a ritrovare quei semplici “perché” da porre a fondamento di ogni espressione di gioia!
Conclusione
Quanti rimandi della Domenica al tempo dei giovani! E quanti appelli vocazionali da valorizzare per aiutare a vivere nel tempo la vocazione personale! Rimane però aperta una domanda che non ha semplici soluzioni: come appassionare i giovani al giorno del Signore? Alcune semplici indicazioni da verificare nella personale esperienza.
– La Domenica non è un precetto da osservare ma un dono da ricevere. È necessario uscire dalla formalità del precetto per ritrovare modi giovani per vivere il giorno del Signore. Meno ritualismo e più celebrazione della Vita, donata gratuitamente e ricevuta con gratitudine. Solo questa può muovere le fibre della vita, non con l’emozione di un momento ma con il coinvolgimento di tutta l’esistenza. La Domenica è un bene prezioso di cui non si può fare a meno!
– È necessario aiutare i giovani a porsi una semplicissima domanda: “C’entra qualcosa con la mia vita il Giorno del Signore?”. In base a come ci si impegna a rispondere, il tempo non rimane più quello di prima. Soprattutto la vita ritrova un senso e la voglia di essere vissuta proprio nel tempo!
– Dalla Domenica si trova il coraggio di mettere in circolo il gusto di un tempo celebrato. Esso è un passato ricco di memoria grata per quanto ricevuto, un presente in cui vi è la continua possibilità di restituire l’amore ricevuto, un futuro in cui si rinnova continuamente la possibilità di rispondere all’amore donando tutto se stessi. È questa la scuola sempre aperta di Domenica, in cui il Maestro e Signore ha dato l’esempio.
– La Domenica rimane sempre punto di arrivo di tutto il vissuto personale, di una comunità, di un territorio. È stato più volte sottolineato come essa aiuti a vivere il dispiegarsi dei giorni e del tempo. Però sarebbe un tempo incompleto se non fosse punto di partenza per vivere realmente, attraverso quella forza della risurrezione propria del Giorno del Signore, ogni giorno come “giorno del Signore” e viva testimonianza di Lui nel tempo e nella storia.
La creatività dell’educatore vocazionale, appassionato della vita del Signore e della vita dei giovani, non mancherà di continuare a costruire ponti tra il tempo dei giovani e il giorno-tempo del Signore, perché ci sia appello, risposta, decisione.
Note
[1] Per l’approfondimento della tematica: M. POLLO, I Labirinti del tempo. Una ricerca sul rapporto degli adolescenti e dei giovani con il tempo, Franco Angeli, Milano 2000; ID., Il vissuto giovanile del tempo, in “Note di Pastorale giovanile”, 3 (2000), 12-38.
[2] GIOVANNI PAOLO II, Dies Domini. Lettera apostolica sulla santificazione della Domenica (DD), 31.
[3] PONTIFICIA OPERA PER LE VOCAZIONI ECCLESIASTICHE, Nuove vocazioni per una nuova Europa, Documento finale del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa (NVNE), 11c.
[4] Cfr. A. MANENTI, Vivere gli ideali / 2. Fra senso dato e senso posto, EDB, Bologna 2003, 191-208.
[5] B. FORTE, La teologia come compagnia, memoria e profezia, San Paolo, Cinisello Balsamo 1987, 3.
[6] F. LAMBIASI, Tempo dell’uomo e tempo di Dio, in R. TONELLI, J. M. GARCIA, (a cura di) Giovani e tempo. Tra crisi, nostalgie e speranza, LAS, Roma 2000.
[7] NVNE 17/d.
[8] DD 35.
[9] DV 2.
[10] DD 41.
[11] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XXXVII GMPV, 14 maggio 2000.
[12] Cfr. “Se Vuoi”, Dossier Giovani e tempo libero, 3/97.
[13] Cfr. DD 11.
[14] DD 2; cfr. GIOVANNI PAOLO II, Novo Millennio ineunte, Lettera apostolica al termine del grande giubileo dell’anno duemila, 35.
[15] Cfr. M. POLLO, I giovani e la notte, in “Note di Pastorale” 4 (1998), 51-64.