I giovani e l’identità cristiana
I giovani oggi sono immersi, frammentarizzati, in un mare di esperienze, portati a cogliere le molteplici opportunità che tornano di proprio gradimento, alla ricerca di gratificazioni istantanee, rifuggendo da ciò che è impegno, valore duraturo, scelta definitiva. Preferiscono vivere alla giornata, senza progetti di largo respiro, con un’identità flessibile nelle varie circostanze. Non vogliono precludersi alcuna esperienza, abili nel destreggiarsi tra le tante opportunità, modellandosi sulla lunghezza d’onda delle diverse situazioni, all’insegna dell’eclettismo come modalità d’adeguamento a una realtà differenziata. Non è che siano privi di buone aspirazioni e di valori positivi, ma rivelano una personalità non ben strutturata, piuttosto “spaesati” e disorientati, perché faticano a trovare un centro unificatore delle proprie attività, a trovare quei valori prioritari che servono a mettere ordine nelle varie esperienze di vita. E la religione e la fede possono divenire riferimento efficace agli effetti della maturazione della personalità, come bussola orientativa sicura nelle scelte di vita. Ora noi qui, partendo dalla situazione socio-culturale nella quale i giovani si trovano a vivere, vogliamo mettere a fuoco l’identikit del giovane che riflette nella sua struttura di personalità “frammentaria” l’estrema differenziazione del sistema sociale, articolato in tante realtà sociali, e vogliamo offrire una proposta pedagogica di formazione umana e cristiana, che dia la possibilità al giovane disponibile di realizzare un progetto di vita cristiano e conseguire una personalità matura, sia pure con un’identità flessibile, aperta alle molteplici esperienze, ma radicata prioritariamente sulla dimensione di religione e di fede.
Giovani alla ricerca della propria identità nella società complessa
Negli ultimi decenni a livello di sistema sociale è avvenuta la perdita di “centro”: è venuta meno la comunità del villaggio con al centro il campanile cui erano legati tanti valori tradizionali. In pratica sono entrate in crisi le agenzie tradizionali (la Chiesa, la famiglia) ed è venuto a mancare un sistema di valori-guida della vita unanimemente riconosciuti (vedi il primato della vita, il valore primario della persona…). La società si è complessificata attorno a molti centri, a molte agenzie sociali e si fa difficoltà a “ridurre a unità” i disparati messaggi che da essa provengono. E in questa società che si è strutturata in modo “policentrico”, la comunità ecclesiale si trova a convivere con altre agenzie sociali ed offre prodotti sempre di più difficile commercializzazione[1]. Va notato che la perdita del centro, a livello di sistema sociale, si riflette poi a livello di persona come fenomeno di perdita di un centro esistenziale: si è passati infatti da un tendenziale monocentrismo esistenziale (con la parrocchia “centro” unico) a un tendenziale policentrismo esistenziale, caratterizzato dal fatto che l’individuo deve fare i conti con più gruppi di appartenenza e di riferimento, non sempre concordi nella loro proposta. Orbene il giovane di fronte al sistema sociale differenziato, con tante agenzie sociali, tende a praticare la pluriappartenenza, a fare molte esperienze. In lui più che la logica della composizione, dell’unitarietà di riferimento, prevale l’atteggiamento eclettico proprio di chi, anziché avvertire l’esigenza di ordinare le varie esperienze e i vari modelli culturali, tende a modellarsi diversamente a seconda degli ambienti e delle circostanze, riportando un’identità non ben unificata, alquanto frammentata. Egli esercita il meccanismo del “bricolage”: seleziona e compone a piacere vari elementi culturali, sceglie i gruppi in cui identificarsi e le opportunità di realizzazione personale, senza compromettersi con impegno sodo e duraturo, evitando di totalizzarsi su di un’unica esperienza, conseguendo una concezione di vita un po’ a “puzzle”, con una personalità non ben integrata, fragile. Non si attua la scelta di un valore fondamentale in grado di unificare la personalità. Praticamente nel nostro tempo non c’è un’agenzia sociale prioritaria e coordinatrice delle altre ed è venuto a mancare un valore perno, capace di riorganizzare e dare ordine ai vari valori e ideali ricercati. Il non avere un centro di gravità unico, il passare da un’opportunità all’altra, lo sperimentare quotidianamente molteplici forme di esperienza e appartenenza, poco amalgamate fra loro, può portare a un senso di “spaesamento” interiore, a uno sfilacciamento, a uno sbriciolamento del proprio essere[2]. Si realizza la situazione di “frammentazione”, descritta da Erikson[3], estremamente viva dentro la società attuale. I giovani, pendolari tra diversi stadi e condizioni, alla presa con tante esperienze, però hanno bisogno di “localizzarsi”[4], di assestarsi, di trovare un punto d’appoggio su cui radicare l’unità interiore.
E nella situazione di “frammentazione dell’io” la religione personalizzata, la fede convinta possono costituire il centro essenziale di riferimento in grado di dare senso alle varie esperienze dell’io, organizzandole e armonizzandole secondo una scala gerarchica valoriale, conseguendo così una concezione organica di vita. Si può ipotizzare un modello di giovane con l’identità flessibile che trova il suo equilibrio in un’esperienza policentrica, al centro della quale s’erge significativa e prioritaria l’esperienza religiosa in grado di illuminare e qualificare tutta l’esperienza umana secondo una visione cristiana dell’esistenza. La fede viene a mobilitare dinamicamente tutta la personalità del credente a livello cognitivo, affettivo, comportamentale, dando origine ad atteggiamenti, a modi di essere, di conoscere, di sentire, di valutare e di operare ispirati dalla fede: questa diviene l’anima del vivere e dell’operare dei credenti[5]. Si dà in tal modo il giovane credente che tende a considerare la fede come pietra portante del proprio progetto di vita, così che egli viene a collegare e a sviluppare nella sua vita le motivazioni psico-fisiologiche (le esigenze biologiche), quelle psico-sociali (le esigenze sociali) e quelle razionali-spirituali secondo la prospettiva della integrazione, in modo che le motivazioni razionali-spirituali figurino prioritarie, in grado di coordinare e orientare le altre a servizio dell’ideale cristiano[6]. In termini catechistici si può dire che un cristiano è maturo, quando è ricco di ideali spirituali, morali religiosi e sa collocare Dio, Gesù Cristo, il prossimo al primo posto nella vita, sopra gli interessi materiali e quelli sociali.
E quale il luogo adatto per la definizione e crescita dell’identità cristiana, per la maturazione della propria fede, del proprio progetto di vita cristiano?
La comunità cristiana: luogo per la definizione e crescita della identità cristiana
Come abbiamo visto sopra, è venuta meno quella “civiltà parrocchiale”, quel mondo antico, unitario e compatto, costruito attorno al campanile, attorno a una fede cattolica, condivisa da tutti, ma non per questo si sono chiusi gli spazi del Vangelo e i luoghi dove si può radicare la fede e da dove si irradia la fede. Luogo di riferimento sicuro per la maturazione umana e cristiana è la comunità cristiana e più concretamente la comunità parrocchiale. Se nella nostra epoca emerge sempre più la differenziazione sociale con la “frammentazione” della personalità, la comunità ecclesiale diviene “grembo generatore” di personalità cristiane, di identità forti, incentrate sulla fede. Nella comunità, attraverso cammini di iniziazione cristiana o di “reiniziazione cristiana”, viene data al giovane la possibilità di porre al centro del proprio progetto di vita i valori evangelici che gli permettono di raggiungere quel baricentro interiore che garantisce equilibrio e stabilità nelle varie situazioni. È importante che il giovane, indaffarato in mille cose diverse, trovi nella comunità occasioni, momenti che gli permettano di rientrare in se stesso per fare il punto della situazione, per fare unità, per recuperare il centro di gravità permanente, la propria identità e dignità cristiana, per vivere la via della “teshuvah”, tanto cara al mondo ebraico[7]. E nella società che si va scristianizzando urge il rilancio della parrocchia, quale realtà religiosa che convive con altre agenzie sociali: non più “centro” della vita della società, ma capace di porsi come realtà significativa per i valori morali e religiosi che propone. Una parrocchia, radicata al territorio, la quale si muove nell’orizzonte di una “pastorale integrata”, che entra in collaborazione con le parrocchie vicine, con le varie realtà ecclesiali operanti sul territorio: comunità religiose, associazioni, movimenti laicali; una parrocchia concepita come “comunità di comunità”, come organismo articolato in piccole comunità, in vari gruppi ecclesiali in grado di educare alla vita cristiana, quali laboratori della fede dei giovani, fucine idonee per la forgiatura di personalità cristiane, palestre di preghiera, virtù e santità.
Invero in parrocchia, nei gruppi, attraverso l’ascolto della Parola, la preghiera, la catechesi, la celebrazione eucaristica, l’esercizio della carità, viene data la possibilità di coltivare la fede, di approfondire l’esperienza spirituale che è “cristiforme e trasformante”: è un processo in crescendo che porta a riflettere il volto di Gesù e a sintonizzarsi col suo modo di pensare, agire, sentire; “è sintesi attiva”: conversione della mente e del cuore e oblazione di sé a Dio e al prossimo, come scrive Godin[8]. Oggi pastoralmente si avverte particolarmente la necessità per i giovani, con fede debole, segnati dal clima del pensiero debole, con punte di analfabetismo religioso, di dare spazio dentro la comunità parrocchiale e nei vari gruppi all’“auditus fidei”, che permette di entrare in possesso dei contenuti della Rivelazione, e all’“intellectus fidei”, cioè all’attività speculativa che la teologia e pure la catechesi mettono in atto per raggiungere l’intelligenza della verità e della fede[9]. La “lectio divina”, il contatto assiduo con la Scrittura, le lezioni di teologia e di catechesi, gli incontri di spiritualità, le celebrazioni… sono tutti momenti da favorire come opportunità per l’“auditus fidei” e per l’“intellectus fidei”, per la maturazione di una fede adulta e pensata, sapendo che “la fede, se non è pensata, è nulla”[10]. Va notato che dibattere in comune le problematiche inerenti al rapporto fede-ragione, dubitare, riflettere insieme sull’atto di fede, sulle verità da credere, contribuisce a maturare nei giovani delle convinzioni e decisioni che fan sentire il loro effetto nella vita. Se poi alla proposta del tema della fede e dei valori cristiani vengono fatte seguire esperienze di fede, di preghiera, di carità, si dà un’interiorizzazione più incisiva del cristianesimo (“s’impara facendo”, provando sulla propria pelle quanto viene proposto). Si viene a costituire una positiva circolarità: la fede che comprende (la proposta teorica, la teologia, la catechesi…) aiuta la fede che vive, la vita vissuta del credente, ma a sua volta la fede che vive giova alla fede che comprende. È bene sottolineare che la proposta valoriale cristiana deve camminare di pari passo con la scelta preferenziale del metodo esperienziale, così che il soggetto impegnato in esperienze di fede, di preghiera, di servizi caritativi ha la possibilità di provare sulla propria pelle la bellezza della verità e la gioia della vita donata: così i valori teoricamente proposti vengono con più efficacia metabolizzati e vengono a crescere forte l’identità cristiana.
È opportuno poi che la parrocchia proceda alla educazione alla fede in una logica di educazione alla vita, così da permettere lo sviluppo e la maturazione della personalità a livello umano e cristiano. Occorre appassionare alla vita, alla bontà, alla verità, alla responsabilità, al lavoro ben fatto, alla vita di fede e di carità. Si deve educare ad una genuina qualità della vita coniugata con una vita di fede e di carità che sfocia poi, pian piano, naturalmente in una decisione vocazionale, che porta a un impegno nella Chiesa e nella società. Infatti la qualità della vita e la vita spirituale particolarmente curata divengono il terreno fertile per lo sviluppo del “seme” della vocazione. Ed è da un cammino di fede e di carità deciso che maturano le vocazioni di ogni genere e quelle di speciale consacrazione.
E, come conclusione, ai giovani sopra visti che vivono nella civiltà complessa e che adottano lo stile della pluriappartenenza senza impegnarsi in scelte rilevanti e identificazioni totalizzanti, possiamo augurare di andare alla questione essenziale della vita cristiana: alla scelta di Cristo, pietra angolare della esistenza cristiana: Cristo diventi centro unificante e qualificante l’identità di quanti hanno il coraggio di mettersi alla sua sequela, spendendo il talento della vita a favore dei fratelli. In pratica l’attenzione alla Parola di Dio e la disponibilità al Cristo che chiama attraggono il credente in un movimento di fede e di carità oblativa, così da renderlo capace di fare della propria vita un’offerta al Padre e ai fratelli. Certo che nel nostro tempo, nel quale molti rivelano un’identità debole, è opportuna una compagnia educativa che aiuti nel cammino di maturazione umana e cristiana e nel discernimento della propria vocazione: un accompagnamento individuale, mediante la direzione spirituale, e un accompagnamento da parte di un gruppo, di una comunità, stimolo, appoggio, ricca di valori cristiani, ambiente promettente per l’elaborazione e attuazione del proprio progetto di vita, imperniato su una chiara identità cristiana..
Note
[1] H. CARRIER, Psico-sociologia dell’appartenenza religiosa, LDC, Torino 1988, pp. 168-181; G. CAMPANINI, Il tempo della secolarizzazione e il tempo della fede, in O. SVANERA (a cura di), Il tempo tra inquietudini e responsabilità, Ed. Messaggero, Padova 2000, pp. 15-34.
[2] G. MILANESI, I giovani nella società complessa, LDC, 1989, pp. 45-51; G. CAMPANINI, ibidem; C. FIORE, Etica per giovani, LDC, 2003, pp. 30-36; Cfr. Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia (a cura di C. BUZZI, A. CAVALLI, A. DE LILLO), il Mulino, 2002; AA.VV., Giovani lasciati al presente, Indagine Censis, F. Angeli, 2003.
[3] E. ERIKSON, Infanzia e società, Armando, Roma 1963, pp. 244-246.
[4] N. DAL MOLIN, Verso il Blu, Messaggero, Padova 2001, pp. 102-108; F. GARELLI, I pendolari dall’identità flessibile, in “Vita Pastorale” n. 7/2000, pp. 116-119.
[5] E. ALBERICH, L’opzione educativa per la maturità religiosa, in “Orientamenti pedagogici”, 47 (2000), pp. 477-483.
[6] Cfr. A. RONCO, Personalità matura, in AA. VV., Chi è l’uomo maturo, OARI, Varese 1971, pp. 45-54.
[7] N. DAL MOLIN, Parrocchia. Voglia di comunità, in ‘Vocazioni’, gennaio 2004, pp. 19-21; idem, op. cit.
[8] A. GODIN, Psicologia delle esperienze religiose, Il Desiderio e la realtà, Queriniana, Brescia 1983, pp. 188-189.
[9] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Fides et ratio (1998), nn. 64-66.
[10] Ivi, n.79.