N.03
Maggio/Giugno 2023

Preparare le strade dell’Unigenito

Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate (Ml 3,1)

Forse nessuno come Guido Reni ha saputo dare la sensazione di un movimento sospeso, di un punto nel tempo che tocca l’eternità: la mente corre alla Strage degli innocenti, all’Assunzione di Genova, all’Atalanta e Ippomene. E anche qui, nella stupenda Annunciazione del Quirinale (1610), Reni sceglie di rappresentare l’episodio a metà del suo corso, nel punto più delicato e decisivo. La Beata Vergine Maria ha già udito il saluto dell’arcangelo Gabriele, già ha saputo che concepirà un figlio, lo darà alla luce e lo chiamerà Gesù. Ma com’è possibile questo, dal momento che è vergine e tale intende rimanere? Il quadro prende vita nell’esatto momento in cui l’arcangelo le spiega: lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e sarà chiamato Figlio di Dio (Lc 1, 35). 

 

La mano destra di San Gabriele si protende sicura verso l’alto, a indicare lo Spirito Santo che sta scendendo in forma di colomba su Maria; dalla colomba si diparte un sottile raggio di luce che si fa strada, quasi scostando la coltre di nubi, fin quasi a sfiorare l’aureola della Madonna. Il rigore della composizione triangolare è addolcito dal meraviglioso accordo di toni ocra e dorati che fanno vibrare all’unisono il cielo, l’angelo e il viso della Vergine. È come se un fuoco invisibile ardesse dentro la pala e riscaldasse le figure con il medesimo calore. Le nubi allora diventano quasi il fumo che si sprigiona dal fuoco, impregnandosi di luce: una vera “ombra che abbaglia”, dice benissimo Bellori l’ombra della potenza dell’Altissimo. 

Un sottile diaframma di queste nuvole ossimoriche, luminose, separa ancora per poco (o già congiunge per sempre?) lo Spirito Santo e la Sua Sposa: è il chiaroscuro in cui la grazia sta per incontrare, anzi ha già incontrato, la libertà della Sua creatura prediletta, per mezzo del messo celeste. Nell’accordo dei lumi si specchia perciò l’accordo della volontà della donna, dell’angelo e di Dio, in perfetto contrappunto alla disarmonia introdotta dal peccato originale. La danza dei putti, in alto, sancisce la ritrovata pace fra cielo e terra che si compie per mezzo dell’Incarnazione di Gesù Cristo, nuovo Adamo. 

La nuova Eva, raggiante e modesta insieme, ha la medesima posa dell’Umiltà che Reni affresca proprio accanto alla pala d’altare; qui però l’astratta virtù dell’Umiltà si fa donna, si fa Maria. È modello e allo stesso tempo esempio concreto. È piena di grazia, è Madre di Dio; eppure non esibisce la sua dignità di regina, si definisce ancella del Signore e si comporta come tale. Ecco allora che il suo manto celestiale, dopo aver ricoperto quasi interamente il rosso regale della sua veste, ricade sopra un solido inginocchiatoio, appoggiato a un altrettanto solido pavimento piastrellato. 

Lo sguardo della Madonna è sommessamente rivolto verso il basso, verso i gigli che le porge l’arcangelo a confermarne la purezza. “Particolarmente divoto alla purità della Vergine” era il committente del quadro, Papa Paolo V, come riferisce Bellori. L’Annunciazione è in effetti la pala d’altare della cappella privata che il pontefice fece costruire per sé al Quirinale. Sappiamo inoltre che l’inginocchiatoio personale del papa era proprio sul lato destro dell’altare. Quando egli pregava, dunque, veniva a trovarsi dal lato della Madonna dipinta, di cui riprendeva la posa e il punto di vista: quasi un esercizio, fisico e spirituale, che aiutava il papa a coltivare l’umiltà e la purezza. Umiltà e purezza che devono fiorire in ogni cristiano tanto più se sacerdote e Vicario di Cristo – perché la sua vocazione, la sua personale annunciazione, porti frutto, il frutto dell’albero della Vita: Cristo stesso.

Questo frutto ci è dato ogni giorno, perché lo accogliamo e siamo assimilati a Lui, nel sacrificio della Santa Messa, che si svolge proprio sotto la pala d’altare. Se prolunghiamo la linea verticale dello stelo con i gigli, giungiamo al tabernacolo, dove il Signore è realmente presente e riposto come in un nuovo grembo. Nella Messa di S. Pio V, in vista della quale pala e altare sono stati realizzati, il crocifisso posto al centro dell’altare si sovrappone allo stelo dipinto e lo prolunga, rendendo il collegamento fra pittura e liturgia più manifesto. 

Il cartiglio posto sopra il quadro cita alla lettera l’orazione colletta della domenica della II settimana di Avvento: Excita, Domine, corda nostra ad præparandas Unigeniti tui vias: ut, per eius adventum, purificatis tibi mentibus servire mereamur. Nel Messale di S. Pio V, il Vangelo del giorno di quella domenica è Mt 11, 2-10, che si conclude significativamente con queste parole: Ecce ego mitto angelum meum ante faciem tuam, qui praeparabit viam tuam ante te.

Al papa, come ad ogni sacerdote che celebri la Santa Messa a quell’altare, rivolto verso il tabernacolo e il quadro, si rende così manifesto che egli è chiamato a partecipare alla missione dell’angelo, della Vergine e di Cristo; a preparare le strade al Signore, anticipandone e affrettandone il ritorno; a essere lui stesso un incrocio – una croce – che Dio può attraversare per annunciarsi all’uomo e salvarlo.