Sale della terra (Mt 5,13)
L’artista giapponese Motoi Yamamoto crea installazioni con grani di sale marino: con esso ricama trini e merletti, stende migliaia di petali di ciliegio, scolpisce le minute onde della risacca… Terminata l’esposizione, i visitatori raccolgono il sale e lo ributtano in mare restituendolo a chi lo ha donato. Un simile circolo virtuoso si comprende all’interno dello shintoismo dove il sale funziona da simbolo di purificazione e di lutto.
Può sembrare strano, ma ogni gruppo umano attribuisce a questa minuta sostanza cristallina significati simbolici diversi, decifrabili solo conoscendo i riferimenti culturali derivanti da usanze storicamente condizionate. Anche Gesù, quando connota l’identità dei suoi discepoli («Voi siete…») come sale e luce, si affida a immagini di cui conosce la carica evocativa presso chi lo sta ascoltando. Sa che esse sanno evocare situazioni, suscitare connessioni, indurre a decisioni. Il suo modo di argomentare “aperto” dà grattacapi ai biblisti contemporanei; al tempo stesso, permette loro di moltiplicare le ipotesi interpretative: il sale ha il potere di conservare gli alimenti; lo si usava come aggiunta ai cibi sacrificali per gli dèi; i soldati romani lo ricevevano come paga ecc. Nel nostro caso, conta il fatto che nei detti parabolici di Gesù spicca la sproporzione esistente tra la piccolezza degli oggetti evocati e la grandiosità dei loro effetti, come succede con il pizzico di lievito o con il chicco di grano o con la scheggia di sale. Per essere efficaci, essi devono addirittura sparire. Il profeta di Nazaret, quanto meno agli inizi della sua predicazione, nutriva la convinzione che l’annuncio del Regno, benché affidato a un gruppo marginale, avrebbe riscosso un’accoglienza entusiasta da parte dei suoi destinatari in virtù della forza insita nel messaggio stesso.
Quando il detto venne raccolto dalla comunità di Matteo e confluì nel vangelo omonimo, ricevette un’ambientazione letteraria precisa che modificò la coloratura semantica iniziale. Seguendo immediatamente al programma di vita disegnato dalle Beatitudini, ad essere sale e luce è chiamata la comunità cristiana in quanto tale. Essa deve immettere sapore e sapienza nel contesto in cui vive testimoniando la validità dello stile di vita inscritto nelle Beatitudini, anche e soprattutto quella secondo cui «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno…». La saldatura tra l’ultima beatitudine e il doppio detto parabolico, da una parte, previene la comunità da ogni trionfalistica presunzione: dev’essere imprescindibile ma invisibile. Dall’altra, le rammenta di agire come il sale, non come lo zucchero: dev’essere solubile ma mordace. In caso contrario, agirà contro natura: perciò, se sarà insipida, riceverà la punizione degli stolti.
Con l’immagine della luce si inserisce un’altra dimensione, quella della visibilità. Per Gesù, la luce simboleggiava la nuova speranza che sorgeva attraverso il suo annuncio circa il regno di Dio in arrivo. Il suo orizzonte era Israele. Per l’evangelista Matteo la luce ora sprigiona dai suoi discepoli, incaricati di partecipare al ministero gesuano di annuncio e di liberazione. A loro, in virtù del mistero pasquale, è affidata la medesima missione ma oltre i confini di Israele, verso ogni popolo. Di nuovo va evidenziata la sproporzione tra mezzo e risultato: la sommessa fiammella taglia la volta di oscurità. In scala più ampia: il centro abitato, immerso nel buio, brilla grazie a una schiera di lucciole.
Tutto ciò non serve a esaltare la qualità morale dei credenti in Gesù, ma «risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli». Fare opere buone in vista della santificazione del nome di Dio è un luogo comune nella letteratura e spiritualità ebraica. La testimonianza resa da una comunità ispirata (d)alle beatitudini non punta a che gli altri applaudano la sua probità, ma fa sì che riconoscano la fonte del loro particolare stile di vita nel Padre che è nei cieli. La vocazione della comunità cristiana è sì quella di sciogliersi per dare sapore, di manifestarsi per illuminare, ma per essere trasparenza della gloria paterna di Dio.