Lorenzo Lotto. Crocifissione
Crocifissione
Lorenzo Lotto. Crocifissione
Artista
Il pittore Lorenzo Lotto nasce a Venezia nel 1480. Diventerà uno dei principali esponenti del rinascimento veneziano del primo cinquecento insieme al Giorgione, a Tiziano e a Palma il Vecchio. Sviluppa la sua arte tra Treviso, Bergamo e le Marche. Nel 1507, proprio nelle Marche, a Recanati, lavora a una pala dedicata a San Domenico e da quel momento la sua presenza in quella regione si lega alla produzione di importanti opere, tra le quali ricordiamo l’”Annunciazione” del 1534 e la “Crocifissione” di Monte San Giusto del 1529-30. Quest’ultima, commissionata dal Vescovo Niccolò Bonafede, rappresenta sulla tela l’espressione pittorica del rinnovamento spirituale che si sta sviluppando all’interno della Chiesa Cattolica, dopo Lutero. Il suo modo di guardare la condizione umana, la vicinanza all’esistenza dei marginali, dei poveri, influenza la sua arte. La capacità di rappresentare la realtà, l’attenzione per i particolari, i comportamenti e la psicologia dei singoli danno vita a personaggi presi dalla quotidianità, figure a volte malinconiche ma sempre con lo sguardo dolce e sereno.
Nel 1509 Lotto viene chiamato a Roma da Papa Giulio II per decorare con altri artisti, le sale del palazzo apostolico. La sua esperienza romana dura poco e termina improvvisamente, forse per non cedere a compromessi e limitazioni; rafforza però il suo modo di esprimersi attraverso la pittura, con un linguaggio, uno stile e una ispirazione propri, rifiutando ogni imposizione, mantenendo sempre le proprie caratteristiche. Lorenzo Lotto continuerà a esprimere e trasmettere, attraverso le sue opere, i valori e i sentimenti che lo hanno ispirato fino alla sua morte (1556/57).
Opera
Questa grande pala del Lotto è considerata la crocifissione più spettacolare e tragica che l’arte italiana del Rinascimento abbia prodotto. Forse per le grandi dimensioni, per i livelli e gli spazi in cui sono collocati i personaggi, oppure perché il Lotto ha saputo ben rappresentare lo stato d’animo dei protagonisti. All’osservatore sembra di entrare nel dipinto, come se fosse partecipe dell’evento, soprattutto con i personaggi in primo piano.
L’opera può essere suddivisa in tre parti: la prima raggruppa le persone in primo piano, la seconda è relativa ai personaggi sotto la croce e l’ultima, che occupa quasi la metà della tela, che rappresenta Gesù con i due ladroni, resi bene in evidenza da un cielo scuro e minaccioso.
L’opera è ricca di personaggi, ognuno con ruolo, atteggiamento e stato d’animo definiti.
Fu commissionata dal vescovo Niccolò Bonafede, raffigurato inginocchiato sull’estrema sinistra. Il Lotto non amava raffigurare i committenti nelle proprie tele, ma qui ha fatto una eccezione. Gran parte dell’opera è stata realizzata in Veneto, la parte relativa al committente è stata ultimata nelle Marche.
Gesù in croce
Al centro della tela c’è Gesù. Raffigurato agonizzante, ha da poco ricevuto il colpo con la lancia. Il Lotto ha voluto innalzare queste croci in modo esagerato, sembrano irraggiungibili. Forse per meglio evidenziare i personaggi e distinguerli. Gesù, con le braccia allargate in modo smisurato, sembra voler abbracciare tutti coloro che sono sotto la croce, incluso l’osservatore. Gli occhi di Gesù sono chiusi, il capo reclinato verso il basso. Il corpo e soprattutto il volto mettono in evidenza l’immenso dolore di quest’uomo crocifisso, ma anche tutta la sua dignità nel viverlo. Gesù è al centro e domina la scena, composto, inerme, pacificato, a differenza dei due ladroni che si contorcono e si agitano per liberarsi dei legacci ai piedi.
I due ladroni: Tito e Dimaco
Tito rappresentato a destra di Gesù e Dimaco a sinistra, si differenziano per il movimento delle gambe. Tito sembra interagire con Gesù lo guarda e sembra che voglia raggiungerlo, camminare verso di lui. Abbiamo presente ciò che dice a Gesù: “ricordati di me quando sarai nel tuo regno” e Gesù che risponde “oggi sarai con me nel paradiso”. Il suo corpo è illuminato, come quello di Gesù, e sembra già prefigurare la risurrezione.
Dimaco, invece, con il volto inghiottito dalle tenebre, divincola le gambe con un gesto di ribellione; inveisce contro Gesù con strafottenza e arroganza. Il suo sguardo, nella penombra, dice tutto il suo dramma e la sua solitudine.
I personaggi sotto la croce
Il centurione Longino
Longino è rappresentato in sella a un cavallo bianco, forse per creare lo spazio per isolarlo, per renderlo più vicino a Gesù e tributargli tutta l’importanza che gli compete. Sappiamo che questo centurione romano, un pagano, guardando Gesù che muore, esclama: “veramente questi era il figlio di Dio”. Che cosa ha visto Longino per giungere a questa professione di fede? Ricordiamo che la crocifissione era la morte dei maledetti da Dio, non c’era morte più ignominiosa, eppure Longino dichiara in modo eclatante la sua convinzione, con tutto il suo corpo: arretra con il suo busto, con le braccia allargate come in un abbraccio. È rivolto verso Gesù, le mani aperte nell’accoglienza piena del dono. Il Lotto ha saputo rendere con i gesti, la postura, gli atteggiamenti, lo stupore e la meraviglia del centurione. È come se avesse già visto il Cristo nella gloria, già risorto.
Il personaggio al centro della croce
L’uomo che è sotto la croce di Gesù, con la barba e la tunica scarlatta, è un personaggio emblematico e misterioso. Raffigurato con il corpo a mezzo profilo, con il volto e lo sguardo duro e insistente, incontra terribilmente l’osservatore dell’opera, come per dire: qual è il tuo posto, dove ti collochi, che cosa provi, che cosa suscita in te questo dramma? Difficile interpretare i suoi sentimenti, il suo stato d’animo, forse è proprio questo il suo ruolo, di fare da specchio a chi lo osserva…
Intorno a questo uomo, in cui alcuni riconoscono un autoritratto del Lotto, l’attenzione si sposta alla sua destra sul giovane a cavallo che alzando il suo braccio sinistro, indica Dimaco, forse per avvertire l’altro soldato che il ladrone si sta liberando dai legacci.
I personaggi in primo piano
Il committente e l’angelo
Di solito i committenti amavano essere inseriti nelle tele; il Lotto non concedeva spesso questo privilegio. Ma in questa tela il committente, il vescovo Niccolò, viene raffigurato in ginocchio, vestito elegantemente, con le braccia incrociate sul petto; lo sguardo assorto e contemplativo sembra non poter assistere alla scena della crocifissione. È l’unico personaggio statico, che non esprime vitalità ma solo preghiera (raccoglimento). Non alza il suo sguardo, sembra contemplare la madre di Gesù, come se vedesse il dolore di Gesù in croce attraverso la sofferenza di Maria, il dolore immenso di una madre di fronte alla morte del proprio figlio.
Un angelo sotto la croce non si era mai visto! Qui lo osserviamo mentre dialoga con il committente. L’angelo con l’espressione del volto e le braccia tese sembra redarguire il vescovo per la sua staticità, come se volesse spronarlo ad agire: “ma non vedi ciò sta accadendo? Datti da fare!” Questo pensiero sembra confermato da Giovanni che si volta verso di lui e lo invita a partecipare, a esprimere prossimità di cuore all’avvenimento.
Giovanni
Come sempre, Giovanni è rappresentato giovane. Qui sta mettendo in pratica l’invito ricevuto da Gesù: “Figlio ecco tua madre”. Ha preso su di sé la madre, è l’accoglienza di un profondo legame d’amore. Si china su Maria e la sostiene con tutta la sua forza; la gamba sinistra in avanti per meglio reggerla e sostenerla, il suo sguardo rivolto al committente che non partecipa, che non esprime vicinanza: a volte quando si vive un grande dolore si può rimanere inermi, senza parole, si crea una distanza, si fugge da ciò che accade… perché il dolore è insostenibile.
Giovanni con il suo voltarsi ci richiama alla partecipazione, alla compassione, ma è difficile partecipare al dolore. Pensiamo agli stessi apostoli, gli amici di Gesù, che nei momenti drammatici fuggono; a volte è sufficiente stare vicini, vivere la prossimità, anche senza dire una parola: l’importante è esserci, rimanere perché chi ama, rimane, partecipa, condivide.
Giovanni, il discepolo amato, viene rappresentato dal Lotto con i suoi colori tradizionali: il rosso della passione e il verde della speranza. È l’unico che non è fuggito dallo scandalo della croce, è l’uomo della speranza, non vive il suo dolore in modo drammatico, ma sa scorgere in questa morte lo spiraglio della risurrezione. Chi ama sa che l’ultima parola non è della morte, l’amore non può morire, è eterno. E Giovanni lo ha conosciuto direttamente ponendo il proprio orecchio sul cuore di Gesù, ha sentito i battiti del suo cuore.
La madre di Gesù
Maria, è raffigurata in croce, con le braccia allargate, come suo figlio Gesù. È colta nello svenimento, quasi accasciata, con il capo reclinato a dimostrare tutto il suo strazio e il suo dolore.
Dalla sua mano sinistra ha lasciato cadere a terra un fazzoletto e il suo corpo è abbandonato senza più forze. Il suo strazio è reso ancora più forte dal colore scuro del mantello e dalla veste. Quanto il dolore è talmente forte e inaccettabile è inevitabile lasciarsi andare…
La sorella di Maria
Lo sguardo di questa giovane donna esprime compassione e partecipazione alla sofferenza della madre di Gesù. Entra nel dolore di Maria, sua sorella, e lo esprime in una immagine di intensa emotività, attraverso gesti molto concreti: nel momento dell’abbraccio con cui sostiene Maria insieme ad altre persone tra cui Maria di Cleopa. Dal suo volto scende una lacrima, in un intreccio di braccia e di mani.
Maria di Cleopa
Questa giovane donna, Maria di Cleopa, si preoccupa di Maria, la sostiene con un braccio e allo stesso tempo dialoga con Maria Maddalena.
Maria Maddalena
Maria Maddalena, la veste azzurra come il colore del cielo, è la più indaffarata e preoccupata nel gruppo ai piedi della croce. Anche lei, come Maria, ha le braccia allargate: spesso la vicinanza e la condivisione del dolore rendono simili le persone.
La sua funzione è quella di collegare i personaggi che sono in primo piano con quelli sotto la croce. Sono due gruppi molto diversi e lontani nel vivere questo evento: in uno vediamo il massimo della compassione e della condivisione del dolore; nell’altro solo oltraggio, rifiuto, maledizione.
Con il suo darsi da fare, Maria cerca di tenere unite queste due realtà, ma dal suo volto traspaiono agitazione e resa. La Maddalena è una donna che ha ricevuto molto da Gesù, ora sembra anticipare ciò che avverrà il giorno della risurrezione: è chiamata ad annunciare a tutti che il Cristo è risorto. In un tempo in cui le donne non venivano considerate persone e la loro testimonianza non era valida, Gesù affida il suo messaggio proprio a lei, a Maria Maddalena.
Approccio vocazionale
Resilienza: l’amore oltre il dolore
Nella crocifissione di Lorenzo Lotto le figure di Giovanni e Maria sono centrali rispetto agli altri personaggi e a tutta la composizione; centralità ed essenzialità che si evidenziano nei versetti dello stesso evangelista: “Donna ecco tuo figlio, figlio ecco tua madre”.
Ma da dove prende origine la figura del discepolo amato? Dove nasce la sua chiamata? Quando riposa sul petto di Gesù, durante l’ultima cena o sotto la croce, mentre si sta consumando questo dramma? Apparentemente ciò avviene in entrambi gli eventi, ma solo sotto la croce il discepolo amato è davvero chiamato, perché solo sotto la croce l’amore di Gesù si manifesta pienamente nel dono di sé agli uomini.
È questa esperienza affettiva che vive con il Signore che permette al discepolo amato di “stare” sotto la croce, di non fuggire come gli altri discepoli e di giungere così al compimento della sua vocazione.
Sotto la croce non muore la speranza, perché Gesù non è ripiegato sul suo dolore, sulla sua sofferenza, in quel momento non chiede consolazione su di sé, ma trasforma il proprio dolore, insieme a quello della madre e del discepolo amato. Lo fa donando un nuovo legame d’amore, affidandoli reciprocamente l’uno all’altra e accendendo una nuova relazione di maternità e di figliolanza.
Nel momento di maggiore angoscia e dolore, Gesù permette loro di trovare una nuova forza. La “resilienza”[1] resiste alle avversità e matura attraverso di esse. Affidandoci l’uno all’altro, ci può permettere di comprendere e appassionarci a un nuovo legame d’amore, ad una vita nuova.
Gesù dalla croce chiama: lo stesso evangelista afferma: “quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me”.
È l’attrazione della bellezza, dell’amore perché solo l’amore ha questo potere.
Nella esperienza vocazionale il dolore più profondo si può trasformare in un amore di sequela, che diventa storia di salvezza per sé e per gli altri.
“Perché la vita non è quello che ci accade, ma quello che facciamo con ciò che ci accade”[2].
Qui si accende la possibilità di saper trasformare anche gli eventi più negativi e drammatici in un cammino di positività e speranza.
Dalla morte nasce la vita, un nuovo modo di gustarla, di assaporarla, di viverla e quindi di rileggere la propria storia cogliendo il passaggio di Dio, la sua vicinanza che crea nuovi legami, nuove relazioni.
“Una perla è un tempio costruito dal dolore intorno a un granello di sabbia. Quale anelito ha costruito i nostri corpi, e intorno a quali granelli?”[3].
L’affermazione di Kahlil Gibran mette in evidenza la forza della resilienza: la bellezza e la preziosità di una perla ha origine da un granello di sabbia, da un dolore; la perla diventa tempio, spazio sacro, perché nasce dal patire, dalla sofferenza e dal dono di sé.
Nell’esperienza vocazionale il dolore si trasforma in amore. Papa Francesco lo esprime bene in Evangelii gaudium:
“Sulla croce, quando Cristo soffriva nella sua carne il drammatico incontro tra il peccato del mondo e la misericordia divina, poté vedere ai suoi piedi la presenza consolante della Madre e dell’amico. In quel momento cruciale, prima di dichiarare compiuta l’opera che il Padre gli aveva affidato, Gesù disse a Maria: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse all’amico amato: «Ecco tua madre!» (Gv 19,26-27). Queste parole di Gesù sulla soglia della morte non esprimono in primo luogo una preoccupazione compassionevole verso sua madre, ma sono piuttosto una formula di rivelazione che manifesta il mistero di una speciale missione salvifica. Gesù ci lasciava sua madre come madre nostra. Solo dopo aver fatto questo Gesù ha potuto sentire che «tutto era compiuto» (Gv 19,28). Ai piedi della croce, nell’ora suprema della nuova creazione, Cristo ci conduce a Maria. Ci conduce a Lei perché non vuole che camminiamo senza una madre, e il popolo legge in quell’immagine materna tutti i misteri del Vangelo”[4].
Gesù sulla croce rivela se stesso e nel contempo svela il mistero e la grande potenzialità della croce. In Maria trasforma il dolore della perdita, rendendola madre di molti figli.
Lo stesso accade per il discepolo amato che vive il dramma di perdere il suo Signore.
Gesù dalla croce gli dona un nuovo legame con la madre, lo fa diventare figlio di Maria e di Dio. Gesù va oltre il proprio dolore, la propria sofferenza, e aiuta la madre e il discepolo a superare, con il loro amore, la sofferenza del distacco.
La croce diviene così il momento della nuova creazione che fa scaturire infiniti legami d’amore.
Preghiera
Signore,
sulla croce non pensi
al tuo dolore, alla tua sofferenza,
ma trasformi il tuo patire
in passione d’amore.
Come hai sempre fatto nella tua vita
aiuti le persone
che stanno sotto la croce
a superare il dolore;
è il dolore di tua madre,
il dolore del tuo discepolo amato.
Lo comprendiamo in te:
il più grande dolore
si supera con un amore più grande.
Tu doni loro un nuovo legame d’amore
che apre al mondo intero,
che genera madri e figli.
Dalla croce tu chiami
uomini e donne
a trasformare le loro esistenze perdute
e prive di senso,
in perle preziose.
Lorenzo Lotto
Crocifissione
Chiesa Santa Maria in Telusiano, Monte San Giusto (MC)