Per un respiro ecclesiale delle vocazioni scoperte all’interno di un movimento
Che ne dici delle vocazioni che provengono da un Movimento?. Sono almeno 15 anni che mi sento ripetere la stessa domanda, un po’ dappertutto, nel confronto e nel dialogo dopo conferenze e lezioni su temi di vocazione e formazione. E, come al solito, mi trovo davanti uno sparuto gruppo di entusiasti ( in genere appartenenti al giro di un Movimento), un discreto numero di oppositori e la stragrande maggioranza di incerti sospettosi. È possibile che maturino valide vocazioni nei e dai Movimenti, sia per le Diocesi che per gli Istituti Religiosi? La mia risposta, in base all’esperienza nell’animazione vocazionale e nella formazione in questi anni è sempre stata e rimane dichiaratamente: sì.
Bilancio positivo
C’è un dato inconfutabile ed inequivocabile e l’esperienza l’ha tante volte confermato: il rinnovamento inaugurato dal Concilio è passato agli atti del tessuto ecclesiale soprattutto nel terreno dei Movimenti e grazie al loro contributo. Questo dato generale positivo non può non avere delle conseguenze positive in tutte le diramazioni della vita cristiana, vocazionale compresa. Dai Movimenti abbiamo in genere il “prodotto” di un cristianesimo riscoperto, sia nelle celebrazioni, sia nella formazione catechistica, sia nella vita di preghiera che nel servizio e senso missionario. Giovani e adulti che, finalmente, passano da un cristianesimo puramente anagrafico e anonimo (tanto da far pensare ad un puro fatto culturale) ad una vita cristiana fresca, rinnovata e fortemente testimoniante. Un clima quindi che consiste in un gioioso impegno, che non si limita a riprodurre , ma che, continuamente, nell’oggi, prepara il domani. Gente dallo sguardo fiducioso e coraggioso, né impaurito dalle brutture del presente né illuso per le false promesse dell’autosufficienza contemporanea. Gente con i piedi per terra ma che non ha rinunciato a sognare il futuro come lo sogna Dio, coniugando e nutrendosi insieme di memoria e di utopia, quell’utopia dello Spirito Santo, che non è un’esuberante fantasia di esaltati ma impegno nell’oggi sognando la Chiesa di domani. Tutto ciò produce il contagio; di fatto il contagio avviene, quando una persona o un gruppo crea attorno a sé un ambiente, che sa suscitare la seduzione e il desiderio di condividere la stressa esperienza.
Molto di questo si può costatare facilmente nei giovani maturati all’interno dei Movimenti: grintosi, entusiasti, fin anche un po’ idealisti e gasati, un po’ come il Vangelo descrive i primi discepoli dell’esperienza pre-pasquale. Segno che essi hanno incontrato Qualcuno di vero e di grande e decisivo sulla strada della loro esistenza. Ma, come per quei primi discepoli, non basta. E qui iniziano i problemi. Questo clima autentico ed anche un po’ euforico, si scontra il più delle volte con realtà cristiane fredde, per non dire raggelate, stanche e “routinose”, più giuridiche che vitali, più strutturate che comunionali, più rinserrate in una fortezza da difendere che aperte ad incontrare la gente con lo slancio descritto nel libro degli Atti degli Apostoli. Di questo gruppo fanno parte anche un discreto numero di ambienti di formazione sia diocesani che religiosi. Ed allora… crolla tutto. Il fatto ha già fatto versare una valanga di parole e fiumi di inchiostro con rispettivi sovraccarichi di colpe. Non serve tuttavia puntare il dito e misurare colpe e responsabilità con accuse vicendevoli anche pesanti e gravi. Nella Chiesa le responsabilità, piccole o grandi, sono sempre di tutti e non solo di qualcuno o di un gruppo. Vediamo di cogliere invece qualche punto debole, come almeno ho potuto sperimentare da parte mia, ma solo per trovare qualche linea di un possibile miglioramento. Prescindiamo in questo contesto dal discernimento vocazionale vero e proprio (se si tratta di una vocazione consacrata sì o no), per limitarci ai problemi inerenti alla risposta, debole o infranta nel giro di poche stagioni, magari dopo una partenza entusiasta e decisa, in conseguenza dello scontro, a cui accennavamo sopra.
Il giovane o la giovane in questione conoscono il Signore Gesù, il Vangelo e la realtà ecclesiale ma solo nella visuale e nel “filtro”/ misura del Movimento. Il resto della Chiesa è sconosciuto oppure non ha importanza. Dall’altra l’ambiente formativo che lo accoglie si sente espressione del cristianesimo e della Chiesa “ufficiale” e guarda con sospetto o misconosce di fatto la realtà non così strutturata, inserita e ordinata dei Movimenti. Segno evidente che tra questi e le altre realtà ecclesiali c’è poco dialogo, quando addirittura non c’è aperta polemica e contrasto. La situazione viene ancora ulteriormente complicata dal fatto che gli interlocutori ed intermediari diretti tra il giovane e la Chiesa oltre il Movimento sono spesso laici, sacerdoti e consacrati, che, entusiasti del Movimento stesso, non hanno tuttavia integrato bene la propria appartenenza alla realtà ecclesiale del territorio (parrocchia, diocesi) o dell’Istituto Religioso e vivono essi stessi per primi una schizofrenia pratica o dilacerazione interiore fatta di tensione continua tra la propria vocazione all’interno della Chiesa e l’appartenenza al Movimento. Questo non può non avere una ricaduta negativa sul giovane e prepara senz’altro la strada alla sua crisi futura.
Qualche suggerimento
È possibile uscire da questa “impasse” senza accontentarsi semplicemente di accuse o senza ignorare il problema? Diciamo di sì. Anche quest’anno, a causa dei fatti tragici, che tutti conosciamo, si è parlato molto dei giovani, si sono fatte tante analisi sulla loro difficoltà a ritrovarsi in questo modello di società e sulla loro mancanza di una vera coscienza critica. Con molte persone io però continuo a credere e posso dire che il “problema giovanile” è in gran parte dovuto alle mancanze degli adulti, sia in generale che per quanto riguarda il caso specifico dei Movimenti. Che fare allora? Chiaro, le scelte ultime restano personali ed i giovani hanno le loro grosse responsabilità ma, troppo spesso, siamo noi adulti ad influenzare, ed in modo decisivo, la direzione che prende la loro vita, perché il quadro entro il quale i giovani maturano le loro scelte è quello che la nostra generazione ha costruito per loro, con lo stile del nostro essere Chiesa e società. E così anche i Movimenti, che dovevano essere un lievito straordinario del pane della vita cristiana rinnovata, troppo spesso si sono trasformati, per i nostri giovani, in uno scavo di tana confortevole.
Da queste linee generali deriva un impegno per tutti.
Per il tessuto ecclesiale chiediamo che si passi da un cristianesimo, spesso pietrificato e raggelato, a comunità infuocate dal fuoco dello Spirito, dando spazio a tutto ciò che lo Spirito muove con il suo calore e con la sua divina fantasia. In un’epoca di grande riscoperta della spiritualità come la nostra è raccapricciante vedere come ci sia una vistosa fuga a oriente e nelle sette, a causa dell’incapacità nostra a presentare in modo vivo la freschezza perenne del Vangelo.
Per la realtà dei Movimenti chiediamo di rivivere in forma peculiare l’icona della lavanda dei piedi. C’è da lasciare perdere, una volta per tutte, la sindrome, più o meno evidente, dei primi della classe ed incarnare la freschezza del rinnovamento cristiano, che li caratterizza, nella realtà sovente rattrappita, stantia o addirittura sporca delle nostre chiese. Come S. Francesco o Madre Teresa: senza giudizio, oltraggio e “puzza sotto il naso”. Amare la Chiesa di oggi, accogliendone i ritardi ed i limiti e sognare la Chiesa di domani. Educare e formare le nuove generazioni a respirare a pieni polmoni il vento dello Spirito nel rinnovamento, accettando di ritmarsi con il respiro ecclesiale sovente affannoso ed asmatico.
Per le case di formazione ed i formatori/trici chiediamo una grande simpatia verso tutto ciò che è rinnovamento della vita cristiana, anche se non tutto è così ordinato e “canonico” come si vorrebbe. In particolare accogliere con molto apprezzamento ed empatia i giovani vocabili e vocati, che hanno maturato la loro scelta e risposta all’interno di un Movimento Ecclesiale, perché siamo di fronte ad un grande dono di Dio. Contemporaneamente iniziare con loro un cammino, che li aiuti ad aprire lo sguardo di orizzonte e la sensibilità del cuore dallo stretto “primo piano” del Movimento ai 360° della realtà ecclesiale in tutte le sue componenti, varietà di carismi, straordinarie testimonianze ed inevitabili miserie e peccati. Se si cammina in questo modo, è facile portarli alla maturazione di allargamento dello sguardo ad ampio spettro. Se rimangono serie resistenze ed opposizioni è un segno abbastanza chiaro che la vocazione non è autentica o siamo di fronte alla struttura di una persona ancora troppo acerba per un serio cammino di risposta vocazionale specifica. Il respiro della Chiesa e con la Chiesa fa parte integrante dell’autenticità del discernimento vocazionale, sia nella chiamata che nella risposta.
Per i giovani chiediamo di saper coniugare con realismo l’entusiasmo e la sete di autenticità con la pazienza e la misericordia, servendo ed amando non solo il povero lontano o il giovane ammalato di AIDS ma anche la Chiesa istituzione, la Chiesa comunità parrocchiale stanca e stereotipa, la Chiesa di minoranza non compresa: se si presenta come una vecchia signora compassata con tante rughe e tanti acciacchi, tuttavia rimane ugualmente la più bella delle madri.