Wiktoria Ulma
Una Parola incisa nella carne
Markowa è un paese della Polonia, a meno di un’ora dal confine con l’Ucraina. Circondato da amplissimi terreni pianeggianti, si è sempre prestato alla coltivazione agricola ed è qui nel, nel 1940, vive la famiglia Ulma: papà Józef, nato nel 1900, una piccola “istituzione” per quel paese nel cui tessuto sociale si era inserito appieno, grazie a iniziative e invenzioni che lo resero famoso tra amici e conoscenti; mamma Wiktoria che a 28 anni ha già 4 figli – le due più grandi, Stasia e Basia, e i due più piccoli, i maschietti Władziu e Franio –.
Sono pieni di simpatia, i bimbi di casa Ulma. Józef – che è anche fotografo – li ha immortalati in alcuni scatti che restituiscono scene del quotidiano e li mostrano sempre intenti a qualcosa: impegnati con un oggetto che li intrattiene, ma più spesso a ridere, sorridere, comunicare o guardarsi. Una foto scattata alla figlia maggiore Stasia – quando forse aveva solo 5/6 anni, seduta al margine d’un campo, accanto a un’amica –, la mostra in un atteggiamento pieno d’elegante compostezza (già donna, si direbbe), il volto “proteso” verso l’amica, in un’interiorità espressiva piena di ascolto e partecipazione. Quasi mai gli Ulma guardano verso l’obiettivo del loro papà fotografo, si guardano invece spesso l’un l’altro: non conoscono l’autorefenzialità dei narcisismi contemporanei, sono piccoli eppure già custodi di vite altrui.
Negli Anni Quaranta nuove vite si aggiungono: Antoś nel giugno 1941, Marysia nel settembre 1942.
Sono nascite che paiono esulare dalla semplice abitudine delle famiglie numerose del ceto contadino: esse derivano da una scelta di Józef e Wiktoria in un tempo difficilissimo, dove chiudersi alla vita sarebbe apparsa a molti la risposta della prudenza umana alla Storia che precipitava nel baratro della Seconda Guerra Mondiale. L’anno in cui infatti nasce Antoś – il 1941 – entra in vigore la «pena di morte per i polacchi che nascondono o aiutano gli ebrei». Il 1942 – quando a settembre nasce Marysia – è il periodo in cui «probabilmente alla fine dell’estate, le famiglie ebree Goldman, Grünfeld e Didner chiedono agli Ulma di potersi nascondere nella loro casa».
Gli Ulma contrappongono quindi, lucidamente, una “cultura della vita” a una “cultura della morte” e – ove il mondo pare crollare – essi riaffermano, anzitutto attraverso la loro generatività di coppia, le ragioni della speranza.
Sono cattolici, gli Ulma: mamma e papà appartengono, sin dalla giovinezza, alla Confraternita del Rosario Vivente, con l’impegno a recitarlo ogni giorno. Non mancano alle Eucaristie domenicali e festive e in casa – cosa forse rara a quei tempi – custodiscono una Bibbia che è a portata di tutti, letta, meditata… e sottolineata. Questa Parola indica loro la concretezza del vivere… Gli Ulma non glossano: applicano, praticano. Tra le loro mani, il vangelo “buona notizia” diviene qualcosa di semplice: appare nella sua sfolgorante evidenza, nella sua non esibita eroicità.
Così, quando i Goldman, i Grünfeld e i Didner chiedono ospitalità, essi aprono le porte della propria casa, fatta di 2 stanze a pian terreno e di una soffitta al piano superiore.
Dal marzo 1942, in particolare, la “Azione Reinhard” – «finalizzata all’assassinio di tutti gli ebrei nel Governatorato Generale della Polonia occupata, iniziò a essere attuata» anche non lontano da Markowa. Gli Ulma – con gli ebrei che bussavano alla porta per salvarsi e, in parte, vincoli antecedenti di collaborazione – si trovarono a fronteggiare il dilemma se condannarli alla morte o esporre le proprie esistenze nel tentativo di salvare le loro. Le finestre della casa degli Ulma, in particolare, si affacciavano sulla «“cosiddetta “trincea”, cioè il luogo dove gli ebrei venivano fucilati»: non potevano non sapere.
Presero allora la decisione di ospitarli, e ospitarono anche chi già si era appoggiato a Włodzimierz Leś, un poliziotto che tuttavia esigeva contraccambio.
La decisione di Józef e Wiktoria scardina, in tal senso, ogni umana logica di tutela, convenienza, guadagno, ed è presa sulla pura fiducia nella Parola di Gesù, “gettando le reti” nel suo Nome: erano persone, non potevano essere cacciate.
I coniugi Ulma sanno che da quell’istante mettono a repentaglio anche i figli, anche il 7° di cui Wiktoria era rimasta incinta quando già erano una famiglia allargata dalle ragioni della soprannaturale carità. Il Vangelo dice di amare il prossimo come se stessi, di amarsi come Gesù stesso ci ha amati: in quel “come” è inscritto il margine della santità cristiana. Da quel momento, gli Ulma cattolici e le famiglie ebree divengono un’unica casa, un unico destino.
Nella Bibbia degli Ulma, poi ritrovata, la parabola del Buon Samaritano ha il titolo sottolineato in rosso e, accanto, c’è scritto: “Sì’”. Era stata una decisione irrevocabile, evidenziata in rosso e pronta fino al dono del sangue.
Nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1944, le SS naziste spalleggiate da poliziotti collaborazionisti (tra cui Włodzimierz Leś) circondano la casa; fanno irruzione; sparano. Prima alle persone di confessione ebraica, nascoste in soffitta; poi a Józef e Wiktoria; quindi – dopo breve consultazione – ai loro figli, sino alle aberranti parole (con cui un assassino tentò di giustificarne l’uccisione davanti al sindaco del paese, che indignato si era fatto coraggio e gliene aveva chiesto conto) “[uccisi] perché tu e il tuo villaggio non abbiate problemi con loro”. I nazisti intimarono quindi fosse servita Vodka. Fecero un festino orrendo dopo quella strage in cui, di quella casa piena di sorriso, era rimasto solo sangue e silenzio. Degli Ulma razziarono tante cose. Non poterono però razziare oggetti preziosi, perché erano poveri e la vera ricchezza era quella che avevano silenziato con le pallottole: i legami e le persone.
Si scoprì poi che – a motivo della grande paura dell’esecuzione – mamma Wiktoria nei suoi ultimi istanti aveva cominciato a dare alla luce la più piccola delle sue creature.
Riconosciuti “Giusti tra le nazioni” nel 1995, gli Ulma sono stati beatificati come martiri, tutti insieme, dai genitori al bimbo ancora in grembo, il 10 settembre 2023 a Markowa. «Per il più piccolo, è stato detto valere teologicamente il “battesimo di sangue”». Per i suoi fratellini e sorelline (la più grande delle quali, a 7 anni, si preparava a ricevere la Prima Comunione), il Cardinal prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, Mons. Marcello Semeraro, «ha parlato di “dimensione comunitaria della santità” per spiegare che, quando in famiglia la vita di fede è vissuta e partecipata con intensità, come prassi quotidiana, come voláno di gesti buoni e generosi, gli effetti positivi si trasmettono naturalmente dai genitori ai figli». «Esiste» – in altri termini – «una grazia di santificazione connessa al sacramento del matrimonio che non coinvolge solo i coniugi, ma si estende in modo diverso [e] non meno efficace anche a tutti i figli».
C’è una foto, tra quelle scattate da Józef, diversa da ogni altra: è un primo piano sulla sua Wiktoria che vi appare d’una bellezza assoluta, con lineamenti molto moderni e un fascino femminile accentuato, il cui «sguardo luminoso» – come ha dichiarato una scrittrice – «potrebbe fare invidia alle femministe», «parlando dello sconfinato amore materno di Wiktoria che non può non essere legato anche al suo amore per Cristo». In quella foto, Wiktoria guarda lontano, verso il Cielo. Nei suoi occhi brilla quella scintilla di Assoluto e di segreta letizia che, con discrezione, ha saputo volgere sugli amici e la famiglia, incanalando le energie del marito – e la buona volontà di tutti – a un Vangelo incarnato in pienezza. Sino a scegliere insieme di «proteggere la vita a costo della vita».
“È difficile scrivere dei Giusti tra le nazioni.
Tutte le parole falliscono.
Le parole non bastano per descrivere e trasmettere
il bene che queste persone irradiano.
In poche parole, i Giusti mostrano a tutti noi
ciò che Dio si aspettava quando creò l’uomo”
Parole del rabbino capo polacco Micheal Schudrich,
nell’Introduzione a un libro sulla famiglia Ulma
La famiglia di Józef e Wiktoria Ulma vive a Markowa in Polonia dove, nel marzo 1944, viene brutalmente assassinata insieme agli ebrei che ospitava, memore del comando evangelico ad amare il prossimo. Famiglia di contadini, con uno sguardo però al sociale e una certa cultura, è stata beatificata come “martire” il 10 settembre 2023. Per conoscerli, cf. la pagina loro dedicata dal Dicastero delle Cause dei Santi (https://www.causesanti.va/it/santi-e-beati/jozef-e-wiktoria-ulma-e-sette-figli.html) e Pawel Rytel-Andrianik, Manuela Tulli, Uccisero anche i bambini. Gli Ulma, la famiglia martire che aiutò gli ebrei, Ares, Milano 2023. È un testo di particolare rilevanza anche a motivo dei documenti fotografici e di una ricca bibliografia e sitografia di cui avvalersi per approfondire.