«Ciò che importa è incontrare Cristo, annunciare il suo Amore che salva»
Il XXIX Seminario sulla Direzione Spirituale, di cui questo numero di «Vocazioni» riporta gli Atti, si è svolto a Palermo – Mondello, nella settimana in albis, immediatamente dopo la S. Pasqua.
In questo seminario la figura di riferimento e di luminosa testimonianza è stata quella del Beato Pino Puglisi, prete ucciso dalla mafia, a Palermo, il 15 settembre 1993, e amabilmente chiamato come tutti noi lo conoscevamo: 3P!
I giorni dell’incontro erano, per eccellenza, i giorni della Anàstasis, della Risurrezione di Gesù. E la grande meraviglia della Risurrezione è proprio questa: Gesù si risveglia dal sonno della morte, essa non lo tiene più suo prigioniero.
Dovremmo portarlo come un marchio doc stampato dentro di noi e ripetercelo con forza e convinzione, come già fece Papa Francesco rivolgendosi ai Superiori Generali dei Religiosi nel novembre del 2013: «Coraggio… Svegliatevi… per svegliare!». Per questo è detto: «Svegliati, tu che dormi; risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5,14).
«Svegliati… alzati e vai…»: così come è stato chiamato a fare Giona, inviato da Dio a Ninive, pur essendo così poco convinto della proposta che gli era stata rivolta, al punto da scappare via! Quante volte Gesù ripete a coloro che si stringevano a lui e che erano immobilizzati nella propria paralisi: «Alzati e cammina… Va’ e annuncia quello che il Signore ha fatto per te!». P. Pino è stato un uomo del risveglio e non un uomo del torpore; è stato un testimone della vitalità e non un prigioniero dell’immobilismo.
«Come parlare alla gente di Cristo? Dobbiamo cercare di presentare, da innamorati, la figura di Gesù, per sperare che ci stiano a sentire…». In una parrocchia, tutta la pastorale dovrebbe essere attraversata dalla linea vocazionale, insieme alla linea missionaria: «Siamo tutti chiamati e tutti mandati» (P. Pino Puglisi).
In questo Seminario abbiamo avuto con noi la compagnia di Padre Pino: una figura straordinaria nella sua bellezza, nella sua umanità e nella sua umiltà. Il rischio che però spesso corriamo, vivendo questi momenti di densità spirituale, è di parlare di fede, di spiritualità, di coinvolgimento evangelico, con il filtro di coloro che sono… “gli addetti ai lavori” e i “professionisti della fede”.
«Oggi dovremmo essere testimoni soprattutto per chi vive una profonda rabbia nei confronti di una società che vede ostile. A queste persone arrabbiate, il testimone deve infondere speranza, facendo comprendere che la vita vale… solo se è donata» (P. Pino Puglisi).
In realtà ci accorgiamo, come spesso ricorda Papa Francesco, di non essere, nel profondo del nostro cuore e della nostra vita, “uomini e donne di fede” e non solo che “parlano di fede”.
P. Pino non era questo! La sua testimonianza di santità semplice convince non per avere compiuto cose straordinarie, ma per avere vissuto una armonia profonda tra fede e vita, donata fino all’estremo.
Questo ci porta a vedere ogni altra persona che incontriamo con gli occhi di Dio: non la coglieremo solo nel suo cono di ombra, di negatività o di conflittualità, ma nella luce che c’è in ciascuno di noi, anche se questa spesso è una semplice scintilla, un piccolo bagliore di fiammella.
«Me lo aspettavo…»: sono le ultime parole che P. Pino rivolge a colui che lo avrebbe giustiziato pochi istanti dopo. «Me lo aspettavo…»… parole che risuonano ora come una cascata di perdono e di misericordia.
E noi, siamo capaci di guardare con misericordia e tenerezza alla bellezza e positività che c’è nel cuore di ogni persona? O diveniamo sempre più i giudici arcigni, rigidi e inflessibili della negatività e degli errori delle persone, delle loro povertà e fragilità?
«È difficilissimo morire per un amico, ma morire per dei nemici è ancora più difficile. Cristo però è morto per noi, quando noi eravamo ancora suoi nemici. Dio ci rimane sempre accanto, è la costanza dell’amore fino all’estremo limite, anzi senza limiti. Ecco il motivo della nostra gioia» (P. Pino Puglisi).
Visitando la tomba di P. Pino, nella cappella a lui dedicata nella Cattedrale di Palermo, ho provato un senso di profonda commozione. Essa è in marmo ambrato ed ha la forma di una spiga di grano per ricordare, come in un brano amato da P. Puglisi, la sua presenza feconda come un chicco che germoglia dalla terra.
«Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Una frase difficile e anche rischiosa, se male interpretata, perché può dare adito ad una visione infelice della religione e della vita stessa.
Dice P. Ermes Ronchi in un suo commento a questo Vangelo: «Osserviamo un granello di frumento, un qualsiasi seme: nessun segno di vita, solo un guscio spento e inerte, che in realtà è un forziere di gemme preziose, un piccolo vulcano di vita. Caduto in terra, il seme muore, ma per trasformarsi in un di più di vita: la gemma si muta in fiore, il fiore in frutto, il frutto in seme. Nel ciclo vitale, come in quello spirituale, “la vita non è tolta ma trasformata”, non è perdita ma espansione».
«Venti, sessanta, cento anni… questa è la vita.
A che serve se sbagliamo direzione?
Ciò che importa è incontrare Cristo, vivere come lui,
annunciare il suo Amore che salva.
Portare speranza e non dimenticare che tutti,
ciascuno al proprio posto,
anche pagando di persona, siamo i costruttori di un mondo nuovo»
(P. Pino Puglisi)
Con P. Pino, possiamo ripercorre queste pagine nella luminosità dolce e avvolgente che egli sapeva donare. Nei giorni del Seminario di Palermo, P. Pino non è stato semplicemente una figura luminosa di riferimento: egli è stato soprattutto il dito puntato verso l’alto per imparare a guardare oltre di noi, per scrutare il cielo e trovare la Luce vera che illumina il cammino, a volte gioioso, ma spesso tribolato e sofferto, di ogni uomo e donna sulla terra.
«Bisogna cercare di seguire la nostra vocazione, il nostro progetto d’amore. Ma non possiamo mai considerarci seduti al capolinea, già arrivati. Si riparte ogni volta. Dobbiamo avere umiltà, coscienza di avere accolto l’invito del Signore, camminare, poi presentare quanto è stato costruito per poter dire: sì, ho fatto del mio meglio» (P. Pino Puglisi).
Per questo, abbiamo bisogno di spazi di calma e di silenzio; di riconciliazione e di pace interiore, per ritrovare il coraggio di inginocchiarci, con trepidazione e con tenerezza, di fronte al mistero di ogni cuore umano.