N.03
Maggio/Giugno 2000

L’età della scoperta: direzione spirituale vocazionale nell’adolescenza

Ci accompagnerà in questa nostra riflessione il salmo 8. Ci permetterà di evidenziare, parafrasandolo, alcuni dei tanti elementi legati alla direzione spirituale vocazionale nella fase bella e delicata dell’adolescenza; e così vivere insieme per comprendere e orientare l’età della scoperta. Iniziamo con la prima affermazione del salmo 8: “O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra… Se guardo il tuo cielo…”.

 

Introduzione[1]

Non desidero pormi come esegeta ma cogliere alcune riflessioni che invitino ognuno di noi a porsi prima di tutto in dialogo con Dio, a parlare con Dio e far scaturire da questa relazione lo stesso sguardo del salmista nei confronti dell’altro, nel nostro caso dell’adolescente: uno sguardo di meraviglia capace di cogliere l’inedito, il progetto di Dio su di lui. Un accostamento scevro da precomprensioni, ma animato dal desiderio di comprendere insieme il progetto di Dio.  

Posto questo duplice orientamento, da una parte il dialogo con Dio, fonte di uno sguardo rinnovato, e dall’altra la capacità di cogliere l’inedito… vorrei tentare di tracciare una possibile pista di riflessione. Non tanto orientamenti precisi, ma delle “finestre”, delle “icone” che aprano ed evochino un possibile e fruttuoso lavoro condotto con sapienza e intelligenza proprie del ministero della guida spirituale. Cercheremo in primo luogo di porci una domanda sugli adolescenti, poi evidenzieremo alcune piste per la riflessione e l’agire pedagogico. Seguiranno altre due parti che evidenzieranno cosa prendere in considerazione nella crescita del giovane, per poi abbozzare alcune conclusioni. Ma procediamo con ordine.

 

 

CHE COSA È L’ADOLESCENTE

“PERCHÉ TE NE RICORDI… PERCHÉ TE NE CURI?”

Ora, quando il salmista si confronta con il Mistero, con Dio afferma: “Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, e il figlio dell’uomo perché te ne curi?”.  Potremmo far scaturire tre strade da questo dialogo tra i due protagonisti del salmo, Dio e l’uomo: quella della domanda, della riflessione e dell’azione.

 

La strada della domanda: chi è l’adolescente?

In altre parole il “cosa è l’uomo”, nel nostro caso il giovane, c’invita a porgere una domanda, un interrogativo per sondare e cogliere alcune delle profondità di questo cuore inquieto. Lo facciamo domandandolo ad un filosofo, ad un esperto delle scienze umane e ad un teologo. 

Il primo è Aristotele, il quale asserisce: “I giovani sono inclini ai desideri e portati a fare ciò che desiderano. Tra i desideri del corpo sono inclini soprattutto a quelli erotici e sono incontinenti al riguardo. Sono mutevoli e presto sazi nei loro desideri e, come desiderano intensamente, così cessano rapidamente di desiderare; infatti, le loro volontà non sono forti, ma sono come la sete e la fame dei malati. E sono impetuosi facili all’ira e al seguire l’impulso. E sono succubi dell’impetuosità; per la loro ambizione, non sopportano la mancanza di riguardo, bensì s’adirano se ritengono di aver subito un’ingiustizia. E sono ambiziosi, e ancor più desiderosi di successo; la giovinezza, infatti, desidera la superiorità… E vivono la maggior parte del tempo nella speranza, infatti, la speranza è relativa all’avvenire… E peccano sempre per eccesso e per esagerazione…; essi, infatti, fanno tutto per eccesso; poiché amano all’eccesso; odiano all’eccesso e così via. Essi credono di sapere tutto e si ostinano al proposito; questa è appunto la causa anche del loro eccesso in tutto. E anche le loro ingiustizie sono compiute per eccesso oltraggioso, non per malvagità”[2] . 

Se Aristotele evidenzia “gli eccessi” del periodo adolescenziale con sfumature diverse l’esperta delle scienze umane mette in luce il “grande dinamismo” presente nell’adolescente; così scrive Anna Freud: “L’adolescente è allo stesso tempo egoista al massimo, considera se stesso come il centro del mondo su cui è appuntato tutto il suo interesse, ed è tuttavia capace di sacrificio e pronto alla dedizione come mai più sarà nella vita successiva. Egli stabilisce le più appassionate relazioni amorose, ma le interrompe con la stessa immediatezza con cui le ha iniziate. Passa da un’entusiastica partecipazione alla vita della comunità ad un’invincibile propensione alla solitudine; da una cieca sottomissione ad un capo di propria scelta ad una caparbia ribellione contro qualsiasi autorità. È egoista e materialista e contemporaneamente pervaso da un elevato idealismo. È ascetico, con improvvisi abbandoni ai soddisfacimenti pulsionali più primitivi. Si comporta in modo rozzo e irriguardoso verso il prossimo, ma è personalmente estremamente sensibile ad ogni umiliazione. Il suo umore oscilla tra il più sconsiderato ottimismo e il più profondo dolore universale, il suo atteggiamento verso il lavoro tra un entusiasmo infaticabile e una cupa indolenza e mancanza di interesse”[3]. Inoltre l’esperta o l’amante dell’uomo dopo una sintesi, ricca e puntuale, afferma che “il mantenimento di un equilibrio stabile durante il processo adolescenziale è in sé anormale”[4]. Quindi ci troviamo dinanzi ad una fase dello sviluppo abbastanza delicata e importante che non deve né allarmarci né spensierarci, ma ci chiama a prendere coscienza che il periodo preso in considerazione è una stagione della vita che è chiamata a vivere le “turbolenze” proprie di questa fase. 

Il terzo autore che abbiamo interpellato è un teologo e padre della Chiesa, Basilio, il quale mette in luce attraverso la mitologia greca, in modo particolare con la figura di Eracle, come l’adolescente è posto in un costante bivio ed è chiamato a scegliere tra la virtù e il vizio[5]: “Quando Eracle era molto giovane, all’incirca della vostra stessa età, sul punto di decidere quale strada prendere, se quella che attraverso le fatiche conduce alla virtù oppure l’altra più facile, gli si accostarono due donne: una era la virtù e l’altra il vizio. Benché tacessero facevano subito trasparire con il loro atteggiamento la differenza che le distingueva”[6]. Basilio pone in risalto l’importanza della scelta e la qualità di essa, e fa notare come sia normale per un giovane adolescente trovarsi dinanzi ad un bivio.

Ora ci chiediamo: cosa scaturisce da queste considerazioni che il filosofo, la psicologa e il teologo hanno tratteggiato? Ciò ci invita a mettere ordine, a riflettere sulle sfaccettature scolpite. 

 

La strada della riflessione: perché te ne ricordi?  

Tra le prime considerazioni che emerge è il concetto di crisi, di scelta. È interessante cogliere come nella lingua cinese il termine crisi è costituito da due ideogrammi che rappresentano l’uno il pericolo e l’altro l’opportunità. Quindi, cogliendo l’etimologia non è suggerita nessuna valenza negativa, né positiva. Quello che è importante è far percepire in che modo la crisi viene affrontata: in modo costruttivo o distruttivo. Se essa faccia cogliere e scoprire nuove realtà per il cammino, per la crescita dell’adolescente. Inoltre è come immergerci in una tempesta e dovremmo farlo cercando il più possibile di pacificare e orientare. Ma di che genere è la crisi legata a questa stagione della vita? La potremmo raffigurare con l’immagine di un adolescente posto dinanzi ad un quadrivio[7]. La direzione spirituale, il rapporto educativo deve inserirsi in questo quadrivio e favorirne le opportunità: 

– la prima indicazione è data dalla comunità dei bambini, ricercata dall’adolescente perché da essa proviene;

– la seconda indicazione è data dalla comunità degli adulti, con la tendenza da parte del giovane a conformarsi alle regole sociali, perché lì vuole tendere;

– la terza indicazione è data dai coetanei, con la necessità di fare gruppo in opposizione sia al mondo dei bambini che a quello degli adulti. Un esempio potrebbe essere quel pallone lanciato verso il portale della chiesa mentre si sta celebrando l’Eucaristia. Faccio riferimento ai famosi “ragazzi del muretto”, che forse desiderano entrare in chiesa più di quelli che già sono dentro, ma nessuno ha il coraggio di parlargli per invitarli, non tanto in chiesa, né tantomeno per buttargli addosso il sermone domenicale, quanto per ascoltarli…;

– e, infine l’isolamento, con le fantasie proprie e ricche di questa età di essersi creato da se stesso, di essere il centro dell’universo, il classico “baby center”.

Ora la scelta di una di queste quattro realtà comporterà evidentemente differenti stati, con il rischio di una mancata identità o di un’identità che si andrà strutturando in base ad una delle strade che il giovane vorrà percorrere. La guida dovrebbe essere capace di cogliere, mediante un occhio e un cuore attento, l’eventuale orientamento e la conseguente strutturazione della personalità; ciò per rimandargli, con sapienza e intelligenza, quasi fungendo da specchio, il suo vissuto. Questo permetterà all’adolescente di prendere coscienza e non lo “violenterà” nelle sue scelte. I nostri adolescenti vivono, infatti, un passaggio con tutti i rischi e le opportunità che tale momento evolutivo propone. Per noi, come per l’adolescente, è importante percepire tale vissuto come fecondo ai fini della strutturazione della personalità matura, umanamente e spiritualmente. Ma soprattutto, ed è qui la seconda riflessione, è importante non tanto sottovalutare, né sopravvalutare ma attribuire ai loro gesti, alla loro realtà un valore di comunicazione. In altre parole saper cogliere cosa questo giovane che ho dinanzi mi vuole comunicare. Quale è lo scopo della sua azione, del suo dirmi le cose? 

Inoltre, proprio perché vogliamo riflettere, dovremmo chiederci: dove vogliamo condurre il nostro giovane? In altre parole, ogni educatore è chiamato a vivere l’incontro con un processo intenzionale che consegna al proprio operare. Si tratta di sapere, prima noi, quale strada percorrere o eventualmente concordarla con il giovane stesso che si è affidato ai nostri incontri. Il “venite con me” di Gesù rivolto ai discepoli ci dice che non li ha condotti alla rinfusa, ma attraverso un itinerario progressivo li ha portati alla scoperta del Suo mistero e ministero, e delle loro capacità.

Infine, proprio perché la nostra relazione è legata al mondo della fede non possiamo non tener conto di alcune considerazioni emerse da una ricerca sugli adolescenti. Un gruppo di ricercatori cattolici ha affermato dopo un’indagine sul rapporto tra mondo adolescenziale e religiosità: “Quello che di negativo c’è nelle situazioni che i ragazzi sperimentano durante il periodo della loro iniziazione cristiana non sembra cioè più avere molto a che fare con un tipo di religiosità formalista e costringente, simile a quella che, di norma, avvertono di aver vissuto al loro tempo gli adulti e ancor più le persone anziane… la religione in loro appare caratterizzarsi per una rappresentazione almeno parzialmente depressa”. Essa dunque, nei limiti in cui non interagisce che molto parzialmente con il gioco, il divertimento, le pulsioni caratteristiche dell’età, finisce per essere collocata in un ambito separato, anche nel senso di specializzato, quello della vita “seria[8]. L’acuta riflessione ci fa comprendere l’importanza del momento evolutivo e dinamico dell’adolescente (legato al corpo che vive i suoi cambiamenti, all’identità che si va strutturando, alle scelte – date dal quadrivio sopra segnalato – che si assumono…), e come sia importante non mettergli addosso una “casacca costringente” che inviterebbe e fomenterebbe ulteriore isolamento e ribellioni. Sarebbe come porre una “struttura rigida” su qualcosa che è in sé “naturalmente tumultuoso”.  

Ora ci chiediamo dopo aver abbozzato alcune riflessioni: quale metodologia consegnare al nostro agire? Come far sì che queste indicazioni emerse “producano frutto”? È l’invito ad agire saggiamente.

 

La strada dell’azione: perché te ne curi?  

Dopo aver percorso la strada della domanda e quella della riflessione, ci chiediamo come possiamo agire o curare e fasciare le ferite di una giovane esistenza, per far sì che l’età dell’adolescenza “diventi” la stagione della scoperta dei talenti e dei sogni da una parte, e dall’altra del lavoro che il giovane adolescente è chiamato ad operare su se stesso. Vorremmo dirci: non come Achille, ma come Samuele. Cosa propongono le due figure, rispettivamente mitologica e biblica? La storia di Achille ci dice il rischio della superprotezione che conduce alla morte giacché non permette al giovane di vivere la vita quotidiana con le sue difficoltà e le sue gioie, al fine di prendere coscienza e irrobustire lo sviluppo. Ricordiamo tutti l’episodio legato alla figura di Achille; sappiamo che Teti quando venne a sapere del futuro fatale che doveva capitare al figlio, cercò, dopo la nascita, di salvarlo a tutti i costi immergendolo nel fiume Stige. Tutto il corpo del piccolo nato divenne così invulnerabile, tranne il tallone con il quale la madre lo teneva nel momento dell’immersione. L’indovino Calcante avvertì la madre di Achille della vulnerabilità del tallone e gli profetizzò che avrebbe sì conquistato Troia, ma che lì il figlio sarebbe morto. Allora, Teti per evitare la sorte profetizzata da Calcante cercò di nascondere Achille nel palazzo di Licomede, vestendolo con abiti femminili. Ma l’astuto Ulisse non solo lo scovò, ma lo arruolò nell’esercito in partenza per Troia. Lì Achille venne colpito da una freccia nel punto più vulnerabile, il tallone. L’insegnamento che ne vogliamo trarre è come sia pericolosa l’eccessiva protezione che non permette di sviluppare le necessarie difese per poter affrontare le fatiche dello sviluppo. Questo sia nell’educazione da parte dei genitori, ma anche in quelle direzioni spirituali fatte di consigli e precetti; o di incontri che invece di avvicinare a Cristo sembrano allontanare da Cristo per l’eccessivo tono moralistico.

Quella che invece vorremmo proporre al nostro agire è la figura di Samuele. Tutti, credo, abbiamo ascoltato la storia di questo giovane adolescente che “non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore” (1 Sam 3,7); e dinanzi all’appello vocazionale, il sacerdote Eli non gli dice che cosa deve fare, né che tipo di voce è quella che ha ascoltato o quant’altro, ma lo rimanda nell’esperienza che sta vivendo e lo pone in dialogo con essa: “Il Signore tornò a chiamare: Samuele! Per la terza volta; questi si alzò ancora e corse da Eli dicendo: Mi hai chiamato, eccomi!. Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovinetto. Eli disse a Samuele: Vattene a dormire e, se ti si chiamerà ancora, dirai: Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1 Sam 3, 8-9). L’esperienza della relazione spirituale tra Eli e Samuele ci invita a guardare attentamente l’esperienza che si vive affinché essa possa mettere in dialogo non tanto il giovane con la guida, quanto il giovane in dialogo con l’esperienza stessa. In altre parole, condurre l’adolescente ad apprendere dall’esperienza che vive: “Cosa ti dice quello che tu stai vivendo?” o meglio ancora: “Cosa dice di te questa esperienza che stai vivendo?”. È la strada della rivelazione. Il giovane è chiamato a decifrare il linguaggio della sua storia per declinarlo e orientarlo in un preciso progetto di vita.  Tutto ciò permetterà di sviluppare la capacità di gestire e affrontare quello che la storia fa vivere; e la guida comunicherà silenziosamente e indirettamente a chi gli sta dinanzi che è sufficientemente forte per affrontare le varie fatiche che emergeranno dal quotidiano. 

Dopo aver affrontato la possibile strategia dell’agire, sempre accompagnati dal salmo 8, vogliamo entrare più dettagliatamente nel mondo della direzione spirituale alla luce dei doni e dei limiti. I primi da far fruttificare e i secondi da limare o purificare.

 

 

“…DI GLORIA E DI ONORE LO HAI CORONATO…”

Il sogno dell’adolescente, i suoi ideali, i suoi desideri

La seconda affermazione del salmo preso in considerazione evoca la bellezza della creazione, la dignità di ogni uomo, di ogni giovane. Inoltre sembra dirci come sia importante costatare il “sogno”, o quella sana gloria che ogni cuore desidera, quel sano rispetto per i desideri di ogni cuore. Ora una delle realtà che emerge nel confrontarci con “l’adolescenza vocazionale” di alcuni protagonisti della storia cristiana è come il Signore sembra “giocare” con il “sogno” dell’uomo, del giovane. Basti ricordare la figura di Pietro che desiderava diventare un grande pescatore; la figura di Francesco d’Assisi che desiderava diventare un grande cavaliere; la figura di Pier Giorgio Frassati che desiderava diventare un grande scalatore; ognuno di noi ha nutrito durante la propria adolescenza un sogno, un ideale, dei desideri forti. Accennavamo alla figura di Pietro, che pare faccia emergere dalla sua “adolescenza vocazionale” come il Signore lo abbia “agganciato” a sé prendendo la prima mossa proprio dal desiderio di riuscita che l’Apostolo si portava dentro. Quando il Signore lo chiama, dopo qualche resistenza: “Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla” (Lc 5, 4), il discepolo si lascia condurre a largo del lago di Genèsaret e calate le reti in mare presero “una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano”. Quindi il Signore lo “aggancia”, lo stuzzica proprio in quel desiderio, in quell’ideale, in quel bisogno di riuscita. Gesù sembra mettere in atto la stessa “tattica” con Francesco d’Assisi “solleticando” il desiderio di gloria sotteso al progetto di diventare cavaliere. All’inizio del cammino il Poverello si trova a discernere tra il desiderio di andare a combattere e di conseguenza diventare un grande eroe e la voce di Cristo che gli propone di diventare un “grande” cavaliere di Dio; l’episodio è affrescato da Giotto nella basilica superiore di Assisi. Un’icona che mostra il palazzo con le armi per andare a combattere e dall’altra il sogno che Dio ha per lui: Francesco nel suo dormiveglia ascolta la voce di Dio che gli dice: “Chi vuoi servire il servo o il Padrone”. In altre parole, chi vuoi diventare un grande cavaliere o un cavaliere di Cristo? In base a quanto detto la direzione spirituale che vuole condurre il giovane a scoprire il progetto di vita, non potrà non tener presente lo scavo dei desideri, l’esplicitazione dell’ideale e il “sogno” che l’adolescente vuole perseguire. Posto questo aspetto che in fondo rivela la bontà di Dio verso l’uomo che gli fa comprendere come sia capace di essere collaboratore di Dio e delle persone, si dovranno prendere in considerazione anche gli aspetti legati alla dimensione della crescita o a quelle zone della personalità che non sono ancora pienamente sviluppate. 

 

“…TUTTO HAI POSTO SOTTO I SUOI PIEDI…”

L’impegno dell’adolescente a dominarsi e a dominare

Con il versetto richiamato, in questa terza parte, potremmo evidenziare l’impegno dell’adolescente a lavorare su alcune aree che una direzione spirituale dovrebbe tener presente e non eludere. Molto probabilmente l’esperienza che ciascuno di noi ha con gli adolescenti potrà arricchire quello che abbiamo detto sia alla luce delle aree positive, dei talenti, che in questa che ora andiamo esponendo. Credo che tre siano sostanzialmente le zone di impegno e di crescita.  Potremmo richiamarle con tre imperativi che l’adolescente, consapevolmente o inconsapevolmente, ha immagazzinato, o – per adoperare un termine tecnico – che l’adolescente ha “introiettato”.  Si tratta, attraverso la stagione della scoperta, di far emergere il proprio vissuto per appropriarsene, per gestirlo con maggiore maturità, ma anche con quella dinamica altalenante propria dell’adolescente in sé non negativa ma ricca di occasioni per crescere e aiutare a crescere.

Il primo imperativo è dato da un: “Tu puoi vivere se obbedisci e ti adatti”[9]; la conseguenza a questo imperativo è vivere con rabbia, si preferisce la strada del rock, delle discoteche, dei capelli lunghi, dell’orecchino. A tale proposito Frielingsdorf afferma: “Dai loro indaffarati genitori, entrambi obbligati a lavorare senza sosta in ufficio, nella loro azienda o altrove, per guadagnare, essi ricevevano cura, lode e riconoscimento soltanto se sapevano adattarsi, ubbidire e rendersi disponibili, senza però creare difficoltà, senza farsi male, senza ribellarsi; in una parola se erano cari e bravi bambini, pronti sempre ad ubbidire immediatamente”. Tutto ciò porta l’adolescente o a vivere in modo amorfo o a preferire alternative autolesioniste. Ne consegue comunque anche una immagine di Dio che rischia di essere vissuta come padre castigatore o madre ispettrice, o a creare nell’adolescente falsi sensi di colpa che soffocano la sua tendenza alla creatività, all’espressione sana di sé.

Il secondo imperativo è formulato dalla seguente affermazione: “Tu puoi vivere se rendi e hai successo”[10]; esso sembra essere rafforzato dalla società dell’“usa e getta”, del consumismo. “Il principio del rendimento e l’idea del successo assurgono a globale tradizione di famiglia, in cui i figli vengono inseriti sin dalla nascita… sono soprattutto i maggiori di una tribù di fratelli e sorelle che hanno dovuto meritarsi il riconoscimento e l’autorizzazione a vivere, molto prima degli altri, con prestazioni esorbitanti… Essi hanno dovuto fare gli adulti troppo presto…”. Le vittime che vengono coinvolte in questo circuito cercano il senso del loro valore solo in quello che fanno e non in quello che sono.     

Il terzo imperativo è formulato da Frielingsdorf con la seguente asserzione: “Tu puoi vivere se soffochi i tuoi sentimenti”[11]; fanno parte di questa realtà gli adolescenti che sono diventati analfabeti del loro mondo emozionale con conseguenti disturbi nell’area dell’identità. “Quando il padre, adiratissimo, sfoga la sua rabbia in un modo imprevedibile e incontrollato, picchiando moglie e figli, quando in famiglia si piange, si litiga e si grida troppo… tale esperienza rafforza nel bambino il rifiuto e la repressione dei suoi sentimenti”. Ecco allora che la direzione spirituale è chiamata a far emergere con tutta la sua carica di fiducia l’importanza e la necessità di tirar fuori il proprio stato d’animo, i propri sentimenti come una delle realtà più ricche e più belle che ogni giovane adolescente si porta dentro.

Tre imperativi che richiamano altrettante realtà della vita adolescenziale come quella dello specchio, del cellulare, dell’insicurezza. Rispettivamente ci dicono l’importanza dell’immagine, ma anche il desiderio di essere accolti e di conseguenza la capacità nel vivere esperienze di comunione con gli altri; la voglia di comunicare: lasciare il telefonino per vivere della viva voce, lasciare il telefonino per tendere la mano; e infine il desiderio della stabilità interiore, di un punto fermo che dia compattezza e coesione alla propria identità, al proprio Io. 

Visti i due ambiti della personalità o i suoi chiari-scuri: talenti e limiti, tracciamo una conclusione che ci dica e ci evidenzi come stare accanto al giovane e cosa favorire di questo passaggio esistenziale, di questa stagione della vita.

 

Conclusione

Come stargli accanto. Lo stare accanto ad una persona presuppone tante realtà; vorrei qui richiamare la sapienza e l’intelligenza di ciascun formatore nel porre in atto una dinamica che sia data da una sana e paziente relazione. In altre parole una relazione che non sia compiacente, né tantomeno resistente ma conseguente, o per adoperare un termine evangelico una relazione lievitante[12]. Si tratta di prestare attenzione ad una serie di messaggi impliciti, o in codice che il giovane o la guida possono “lanciare” inconsapevolmente. Ad esempio lo stile compiacente: il giovane che dice indirettamente alla propria guida: “Come sei bravo, lasciami stare”; la guida potrebbe dirsi: “Se lo lascio stare, guadagno punti nei suoi confronti”. Oppure, nello stile resistente, il giovane che dice: “Tu non capisci niente, sei un incompetente”; mentre la guida potrebbe dire: “Adesso ti faccio vedere chi comanda”, e innescare così una lotta di potere. L’altra strada potrebbe essere quella di una relazione lievitante, che conduce a prendere atto di tutti questi meccanismi semplici o complessi e chiedere come li si vuole gestire e agire in base a dei valori, ad un progetto, al progetto di Dio. Ora, dopo aver evidenziato l’importanza della relazione, ci chiediamo cosa favorire in questa reciprocità.

Cosa favorire. Anche qui potremmo elencare tante realtà.  Tra le tante cose credo che tutti condividiamo la strada del “come”. In fondo questa è la strada dell’esperienza. L’Io adolescenziale è portato a proiettarsi continuamente fuori di sé con tante cose da fare, con mille esperienze da vivere. È necessario quindi rimandarlo al dialogo con la propria esperienza. Proviamo a fare un esempio: se dovesse venire un adolescente a chiederci un permesso dopo che i genitori ce lo hanno affidato per una settimana; poniamo che questo adolescente ci chieda di andare alla festa della sua amica, la quale compie i suoi diciotto anni, e di conseguenza potrebbe, probabilmente, ritirarsi-rincasare a tarda notte. Ed è qui la domanda che pongo: “Voi cosa rispondereste?” Alcuni, forse, direbbero: “No”; altri direbbero: “Sì”; altri ancora: “Valuta tu”. Credo che la vera questione non sia tanto andare – mandare, oppure non andare – non mandare, quanto il come vivrà l’esperienza della festa. Favorire la consapevolezza del come si vivono le cose, aiuta il giovane a chinare il capo su ciò che fa; e in questo senso lo “contatta” maggiormente con se stesso; e di conseguenza lo aiuta a scoprirsi e a scoprire meglio la stagione della sua vita[13].

Siamo giunti alla conclusione di questa nostra conversazione. Come terminare se non rammentandoci che a volte il dialogo tra guida spirituale e giovane della prima adolescenza è incostante e inizia solo a configurarsi con più fedeltà nella tarda adolescenza? Concludo con una preghiera che potrebbe essere quella del formatore, dell’educatore, del genitore, della mediazione che inizia a comunicare con il suo “silenzio”, e accogliere così l’avvincente sfida che gli adolescenti ci pongono nel “chiederci” con la loro rabbia, con le loro pretese, con la loro generosità, con i loro sogni di essere non tanto dei predicatori, ma dei modelli del gregge: “Se tu ti fermi, essi desistono; se tu ti siedi essi si coricano; se tu ti scoraggi, essi disperano; se tu critichi essi demoliscono; se tu li precedi essi ti oltrepassano; se tu dai la mano essi danno la vita; se tu preghi essi saranno santi”.

 

 

 

 

Note

[1] Per un maggiore approfondimento si veda oltre ai testi citati nell’articolo, anche: E. De Vito et al. , Il Sé e l’immagine di Sé nell’adolescenza, Età Evolutiva, N. 32, 1989, pp. 69-78; T. Anatrella, Interminables adolescences, Paris 1988; A. Peluso (a cura), Adolescenti. Indagine su un’età a rischio, Città Nuova 1996; F. Imoda (a cura), Maestro dove abiti? Discernimento della vocazione, Milano 1997; S. De Pieri  – G. Tonolo, Preadolescenza. Le crescite nascoste, Roma 1990;  G. Buratti – I. Castoldi, Il pianeta degli adolescenti, Milano 1998; G. Tonolo, Adolescenza e identità, Bologna 1999. 

[2] Aristotele, Retorica, Opere, vol. 4, Laterza, Bari 1973, pp. 421-423. 

[3] A. Freud, L’Io e i meccanismi di difesa, Opere, vol. 1, Boringhieri, Torino 1978, p. 239;  a livello fenomenologico l’adolescenza  viene descritta come fase transazionale nello sviluppo della persona e si colloca tra due grandi versanti: da una parte l’infanzia, dall’altra l’età adulta. Quindi una fase evolutiva in pieno sviluppo, che dovrebbe essere  vissuta dal giovane  come capacità  di definire se stesso in base agli ideali e ai valori oggettivi in cui crede, spera e tende. Se comunque dovessimo identificare le possibili fasi possiamo ricorrere agli studi fatti da E. H. Kaplan, Adolescents, Age Fifteen to Eighteen: A Psychoanalytic Developmental View. The Course of Life: Contributions award Understanding Personality Development II,  in Greenspan S. I.  –  Polloch G. P. (a cura), Latency, Adolescence and Youth,  Nimh 1980, pp. 397-410. Qui si traccia un possibile profilo: la preadolescenza, dai 10 ai 14 anni circa; la media adolescenza, dai 14 ai 18 anni circa; e la tarda adolescenza, dai 18 ai 20 anni circa. In base a questa configurazione la ricerca descrive tre possibili cammini di sviluppo nell’adolescenza: un primo gruppo denominato crescita continua, dove l’adolescente vive il periodo legato a questa fase in modo tranquillo e sereno. È interessante notare come le famiglie degli adolescenti appartenenti a questo gruppo si presentavano senza particolari problemi legati al mondo della malattia, dell’economia e dell’esistenza. I genitori di questi giovani hanno inoltre sempre cercato di incoraggiare l’indipendenza dei loro figli e crescevano insieme in base alle loro funzioni e ai loro rispettivi ruoli. Un secondo gruppo viene denominato crescita a ondate. In questi adolescenti la costruzione dell’identità è stata caratterizzata da alti e bassi. Le loro famiglie presentavano delle difficoltà legate al sostentamento economico, con qualche problema legato alla perdita di persone care e avevano spesso sperimentato la separazione dai genitori dovuta al lavoro. Anche se si sapevano adattare ai normali passaggi che la vita richiedeva e alle sfide emozionali che le vicende familiari e sociali presentavano. Infine il terzo gruppo è stato denominato a crescita tumultuosa e presentava seri problemi legati al comportamento o a difficoltà interiori. I problemi erano dovuti soprattutto a dubbi su se stessi o a conflitti con i  propri genitori.  Solo una piccola percentuale viveva problemi legati alla destrutturazione della personalità o fortemente antisociali.  

[4] Ivi.

[5] Basilio, Ad adulescentes  4 (PG 31 571-575);  In italiano Basilio di Cesarea, Discorso ai giovani, Nardini Editore, Firenze 1984.

[6] Basilio di Cesarea, Discorso cit., p. 101.

[7] V. L. Castellazzi, La crisi adolescenziale, in Id., Psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza. Le psicosi, Roma 1991, p. 105. 

[8] Aa. Vv., Sono ancora religiosi i ragazzi, in Note di pastorale giovanile 9 (1999), 12-48, qui p. 12; il corsivo è mio.

[9] K. Frielingsdorf, Vivere, non sopravvivere. Salute psicologia e fede, Città Nuova 1996. Rimando alla lettura di questo testo ricco di suggestioni esistenziali per un sapiente lavoro formativo.

[10] Ivi.

[11] Ivi.

[12] L. M. Rulla, Psicologia del profondo e vocazione, Casale Monferrato 1989, pp. 157ss; che riprende a sua volta gli studi di D. Katz – R. L. Kahn, The Social Psychology of Organizations, New York 1966.

[13Altri autori suggeriscono la necessità di una buona alleanza; poi una capacità di intervento che sappia interpretare: aiutare il giovane a saper interpretare le sue relazioni e fargli prendere  coscienza che i suoi conflitti sono collegati ai conflitti interiori che si porta dentro. Ad esempio un giovane adolescente che dice: “Quando parlo nessuno mi ascolta”, interpretarglielo significa dirgli: “Mi pare che non ti senti ascoltato”; e infine una capacità nel saper aiutare a vivere l’esame della realtà valorizzando i suoi successi. Cfr.  L.V. Castellazzi, op.cit., pp. 105ss