N.04
Luglio/Agosto 2024

Discesa agli inferi e salita al cielo

Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette (Gv 20,8).

Innestata, quasi forzatamente inserita, nello spazio tra la cattedrale di San Giovanni Battista e il palazzo reale di Torino, è possibile scorgere l’inconsueta cupola dal profilo ondulato della Cappella della Sacra Sindone. La famiglia dei Savoia custodiva la reliquia del sudario di Cristo sin dal 1453: solo all’inizio del XVII secolo si decise di commissionare la costruzione di un edificio ad essa interamente dedicato. Amedeo di Castellamonte e Bernardino Quadri, avviata l’opera, sono sostituiti da Guarino Guarini, architetto, matematico e padre teatino, che a partire dal 1668 rivoluzionò completamente il progetto, realizzando il capolavoro barocco che oggi vediamo.

 

È un’architettura a metà tra cappella di corte, poiché si trova a livello del piano nobile del palazzo, e tesoro del Duomo, poiché costituisce il fondale del presbiterio dell’antica chiesa madre della città e da questa era liberamente accessibile. Nel transetto della chiesa, infatti, due monumentali portali introducono alle tenebrose scale di salita alla cappella. Il percorso è pensato come un pellegrinaggio: completamente rivestite di marmo nero, le due scalinate segnano un’ascesa che è resa difficoltosa dai bassi gradini semicircolari che avanzano verso chi sale, dalla luce scarsa e dalle cupe superfici lucide che trasmettono una sensazione di oppressione. Si sale alla cappella, ma idealmente si scende, con Gesù, nel sepolcro. Poiché è proprio la Sindone a dettare il tema narrato dall’abilità dell’architetto.

I pianerottoli circolari, sorretti da tre triadi di colonne, danno accesso alla cappella vera e propria, che è anch’essa circolare. Questa pianta era stata già impostata, ma viene trasformata da Guarini: ai quattro piloni che dovevano reggere la cupola, egli sostituisce tre grandi archi e tre pennacchi. Questa ripetizione del numero tre non è casuale, né puro artificio geometrico: tutto viene imperniato attorno al numero della Trinità, sottolineando che Cristo è una delle tre persone divine, ma anche ribadendo la sua piena umanità assunta con l’incarnazione, e quindi la sua sofferenza e il sacrificio sino alla morte, nella morsa della quale passerà tre giorni, nel sepolcro. Al centro della cappella, l’altare, realizzato da Antonio Bertola, si erge come monumentale custodia della preziosa reliquia, reinterpretando l’edicola del Santo Sepolcro al centro della rotonda dell’Anastasis a Gerusalemme. 

Il grande sabato, il Sabato Santo, è qui raccontato architettonicamente: si è invitati a meditare sul silenzio assordante del mondo nel tempo in cui Cristo è morto. I capitelli delle paraste, recinti da una corona di spine e con la decorazione dei chiodi e del titulus crucis, il cartiglio con la scritta INRI, fanno da commento a questa grande preghiera di bronzo e di marmo. 

Non siamo però davanti ad un dolore senza uscita. Le colonne ai lati della porta mostrano la fenice tra le fiamme, ricordando la promessa della risurrezione; la pesantezza di questa gabbia, del vincolo della morte, viene svelata come illusoria: i grandi pennacchi, idealmente i nodi strutturali incaricati di sostenere il peso della cupola, sono perforati da grandi finestroni, come se ciò che è al di sopra si sostenesse per volontà divina, e la cupola stessa sembra essere traforata e lascia passare la luce, apparentemente non fatta di materia solida.

Allo stesso modo il nero delle superfici marmoree sfuma man mano che si sale, oltre il cielo stellato ricamato sugli arconi, come nelle volte degli antichi mausolei, divenendo grigio e poi di un chiarore indistinto. Guarini, che apprezzava lo slancio verso l’alto e l’effetto di strutture quasi senza peso propri dell’arte gotica, trasforma la calotta della cupola in un sorprendente gioco di luci e di geometrie astratte. Il sistema caleidoscopico di archi appoggiati l’uno sulla chiave dell’altro culmina, in alto, con un sole, anch’esso traforato: la morte è sconfitta e superata; la luce “impossibile” di cui non si comprende la sorgente evoca la gloria del Cristo risorto. 

L’altare occupa il centro geometrico della cappella, obbligando ad una visione laterale, mai perfettamente centrata, mai perfettamente chiara, lasciando intuibile e non pienamente comprensibile la visione della cupola e del suo punto estremo, luminoso e lontanissimo, motore di tutto ciò che avviene sotto: la colomba dello Spirito Santo.

Lo sguardo del fedele e del visitatore è attratto dalla cupola come la mente di ogni uomo lo è dall’infinito.

La Sindone è oggi collocata in un’apposita teca in Duomo ed è direttamente visibile solo durante le ostensioni. Il gioiello architettonico di Guarini, pur non contenendola più, ce ne richiama il mistero.