N.04
Luglio/Agosto 2024

Abiti-amo: vestiti in circolo – Attività laboratoriale

L’idea per questo LAB nasce dall’invito di una collega educatrice a partecipare allo Swap Party organizzato questa primavera a Milano dal gruppo scout di cui fa parte uno dei suoi figli. L’invito proponeva di presentarsi in orario d’aperitivo nel giardino comunitario dedicato a Lea Garofalo per scambiarsi i vestiti. L’invito mi ha colpito perché apriva a una dimensione pubblica, collettiva e a un target giovanile una tradizione familiare e amicale assolutamente ancora molto in uso tra le mura domestiche. Chi scrive, a titolo di esempio, è cresciuta indossando i vestiti prima dei suoi cugini maschi e poi delle zie o delle donne per le quali mia madre lavorava come signora della pulizie che, al cambio di stagione, svuotavano il loro armadio e riempivano quello mio e di mia sorella con grande generosità. Immagino scrivendo che anche voi possiate testimoniare di scambi di vestiti informali tra amiche oppure di aver regalato dei vestiti dei vostri figl* ormai cresciuti a qualche figlio/a di amici. 

Che cosa abbiamo fatto con questi scambi? A ben guardare senza averne consapevolezza abbiamo assunto un paradigma di pensiero e di azione fondato sulla mutualità e sullo scambio alternativo a quello del dominio e della subordinazione ancora troppo presente nel nostro modello culturale e socioeconomico. Gli scienziati che si occupano di biologia e di ecosistemi, come i filosofi, come gli antropologi, così come le popolazioni indigene non sanno più come ripetercelo che per prenderci cura del nostro Pianeta, la nostra casa comune non c’è che da (ri)scoprire la dimensione eco-sistemica, partecipatoria, collettiva delle nostre relazioni poiché la nostra prosperità non è “legata all’abbondanza di denaro, ma all’abbondanza di relazioni” (Borgnino, 2022). 

 

La prima fase

Per prima cosa propongo di coinvolgere un gruppo composito di ragazze, ragazzi giovani e adulti per vedere insieme un documentario dedicato a presentare una realtà poco conosciuta ovvero quello dello sfruttamento delle lavoratici e dei lavoratori della moda internazionale. Le vittime manco a dirlo sono generalmente giovani, donne e abitano in luoghi dove i diritti umani sono meno tutelati. In particolare, il documentario Fashion victims realizzato dal fotografo Alessandro Brasile e della cooperante Chiara Cattaneo si concentra su una regione del Sud dell’india dalla quale proviene la maggior parte del filato a livello mondiale. Lì lavorano sfruttate tantissime donne. 

Le ragazze lavorano e vivono negli stabilimenti: svolgono turni estenuanti (compresi tra 12 e 18 ore), mangiano e dormono in stanze annesse alle fabbriche. Non possono uscire né fare visita alle famiglie. A fine mese, non ricevono lo stipendio: i genitori vanno a ritirare il denaro e alle lavoratrici rimane solo il minimo necessario per sopravvivere quotidianamente. Insomma, una roba inquietante che bisogna sapere per conoscere l’assurdo che è del mondo, non per sentirci impotenti, ma per cercare piste alternative praticabili da tutti e tutte per il benessere di tutte. Chi studia le ecologie native (Borgnino, 2022) e come le popolazioni indigene stanno combattendo per la tutela del territorio dalle mire espansionistiche del capitalismo ci sta insegnando come “vi è un elemento comune a molti di (questi) saperi nativi, ovvero il senso di fiducia verso l’ambiente, che permette di agire e reagire ai cambiamenti climatici e interagire con gli altri organismi producendo risposte variabili e creative”.

Ora dunque la soluzione non è produrre e indossare vestiti fatti con materiali riciclati, ma sapere che i vestiti che indossiamo sono il frutto del duro durissimo lavoro di qualcuna e che se non riusciamo a impedire che venga sfruttata nel breve termine, possiamo provare a fare durare di più i vestiti che abbiamo scambiandoceli o inventandoci altre forme di messa in circolo che evadono dai suggerimenti green della grandi marche che hanno come obiettivo quello di fare profitto non certo di generare insieme a noi benessere inteso in termini di salute fisica, mentale, ambientale e delle comunità. 

Ho visto il documentario in una sala culturale a Milano e online non l’ho trovato, ma conosco indirettamente Alessandro Brasile – amico di amici è un mio contatto sui social – così a naso osservando come si muove nel mondo virtuale, credo sia solo che contento di poter mostrare il documentario in altri luoghi. Il film ha già fatto il giro del mondo vincendo numerosi premi tra il 2020 e il 2021.

Al sito del documentario trovate una sezione dedicata ai contatti dove potete scrivere la vostra richiesta.

 

La seconda fase

Questa seconda fase è forse la più semplice perché richiede di organizzare un evento pubblico. Suggerisco di organizzare lo swap party in uno spazio all’aperto per dare evidenza a due dimensione interdipendenti

  1. La dimensione sociale: dare visibilità in un luogo in aperto permette di evidenziare che scambiarsi i vestiti è un atto politico (nel senso della polis, della comunità) e non un fatto privato tra amici o tra squattrinati. Inoltre, promuove valori come la mutualità e la reciprocità alternativi al mercato capitalistico che anche sui vestiti usati sta creando un impero finanziario (vedi tutte le app per vendere / acquistare vestiti usati).
  2. La dimensione ecologica: produrre e vendere vestiti ha un impatto ambientale poiché richiede l’impiego di risorse ambientali e umane. Sia gli esseri umani che l’ambiente vengono sfruttati per produrre i vestiti, mentre noi investiamo ore e ore di lavoro (nostre o dei nostri familiari) per garantirci il denaro per acquistarli. Abbiamo dunque la responsabilità di usare come meglio possiamo quello che è il risultato di una grande fatica collettiva. Lo scrivo con intenti non moralistici o moraleggianti, indossare un vestito che ci piace è un piacere che promuove il nostro benessere proprio per questo ha senso averne cura e imparare a leggere come il mio benessere personale è collegato al benessere degli altri. Posso dire sai che c’è chi se ne frega se per filare il tessuto del mio pigiama hanno premuto una giovane indiana, io dormo bene lo stesso. Oppure posso per esempio dormire bene perché sono grata a quella ragazza e m’impegno da un lato a lottare perché il mercato dia a tutti i lavoratori e lavoratrici li stessi diritti e dall’altro posso decidere di scambiare il mio pigiama al posto di buttarlo quando non mi piace più per trovare qualcos’altro che mi piace usato riducendo almeno la produzione di massa di abiti usa e getta e creando relazioni di fiducia attraverso lo scambio gratuito. 

Si tratta di trovare un luogo simbolico. Sottolineo ancora questo punto perché i luoghi sono elementi che connettono il singolo al collettivo e il collettivo all’ambiente generando un senso di comunità e comune appartenenza. Gli scout milanesi ai quali mi ispiro lo hanno trovato nel giardino comunitario dedicato alla testimone di giustizia Lea Garofalo. Lo scambio di vestiti ha a che fare moltissimo con la giustizia sociale…

Trovato il luogo, decidete una data e come trasformare lo scambio di vestiti in un evento socializzante. Gli scout hanno aggiunto la possibilità di fare un aperitivo insieme a un costo contenuto per coprirne i costi delle bevande e degli spuntini. Gli amici organizzatori di eventi mi hanno insegnato che i taralli costano poco e riempiono la pancia dando una grande senso di sazietà, ma immagino che la fantasia e la creatività non vi mancheranno di certo! 

Sono venuta a conoscenza dell’iniziativa tramite un volantino whatsapp che m’invitava a portare con me uno o più vestiti da scambiare. All’ingresso lasciato il mio vestito avrei ritirato un voucher per ogni capo oppure a presentarmi anche senza vestiti. Lì avrei trovato un mercatino che avrebbe finanziato le loro attività in natura. Inoltre, sono stata invitata dalla collega a regalare se mi andava nei giorni precedenti dei vestiti che non mi piacevano più per co-creare dunque il mercatino. Quest’ultimo era solo un invito svincolato dalla mia eventuale partecipazione all’evento. 

Insomma, non è complicato da organizzare e se queste informazioni non vi sono state sufficienti per farvi un’idea base per poi creare come vi pare e piace l’evento online ai seguenti link trovate altre indicazioni spero utili: 

 

  1. https://economiacircolare.com/swap-party-cosa-e-come-si-organizza/ 
  2. https://www.ecocultura.it/swap-party-come-organizzarlo-modo-giusto/
  3. https://www.greenme.it/lifestyle/moda/come-organizzare-uno-swap-party/

 

Se ti è piaciuto questo approfondimento, leggi anche l’articolo Abiti-amo: vestiti in circolo, a cura della stessa autrice.