Il patrimonio più prezioso è il cammino che facciamo insieme nelle nostre Chiese d’Italia
Eccoci a Rocca di Papa. Eravamo qui dal 4 al 6 Settembre di due anni fa. Allora ci siamo interrogati sulla nuova identità che andava profilandosi per noi direttori dei CDV d’Italia, sull’onda della straordinaria esperienza del Convegno Europeo sulle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata celebrato a Roma nel Giugno precedente. Parto da questo dato perché esso delinea il senso dell’intervento introduttivo del Direttore del CNV: farci sentire tutti di casa (nuovi e meno nuovi); fare il punto del cammino che si sta facendo nei suoi grandi nodi; richiamarci al senso di questo appuntamento senza sostituire l’opera dei relatori e senza voler proporre conclusioni affrettate.
Siamo a casa nostra…
Normalmente questo è per noi vero nelle nostre diocesi. Qualche volta è talmente vero che ci lasciamo travolgere da questa verità fino al punto di dimenticare che anche noi abbiamo bisogno di nutrirci, formarci, confrontarci e – perché no – arricchire, con la nostra esperienza e senza falsi e dannosi pudori, il cammino degli altri. Si spiega male il fatto che i Vescovi, i nostri Vescovi, sentano il bisogno di farlo ogni anno (talvolta anche due volte in un anno) e non lo sentano altrettanto forte i loro direttori dei CDV. Si spiega male il fatto che gli stessi Vescovi si siano preparati, nelle Conferenze Episcopali Regionali, alla loro Assemblea annuale mentre i nostri Direttori regionali fanno tanta fatica a riunire i CDV per i loro momenti regionali.
Come spiegarlo? Certamente le spiegazioni sono tante e la situazione non è così drammatica come potrebbe apparire da questi interrogativi abbastanza enfatizzati (basta vedere il numero dei partecipanti a questo incontro che supera di oltre il 20%, la partecipazione all’incontro precedente…). Pur tuttavia il primo sussulto o salto di qualità che ci aspetta è proprio quello di “sentirci di casa” nelle nostre Diocesi sentendole di casa nella Chiesa italiana. È confortante, è stimolante, è intelligente questo sentirci una sola grande famiglia nella Chiesa italiana. Perché dovremmo vergognarci di immaginare che come direttori diocesani abbiamo bisogno degli altri come si ha bisogno di essere una cosa sola nel presbiterio della diocesi? E perché rassegnarci all’idea che il nostro cammino nelle diocesi è orientato, sussidiato, sostenuto da un piccolo gruppo di addetti ai lavori (la Direzione, il Consiglio, il Gruppo redazionale di ‘Vocazioni’…) come se costoro non fossero in realtà a servizio del nostro quotidiano impegno e non avessero bisogno di sentirci vicini, vigilanti, critici, propositivi.
Nessuno si senta dispensato dal porsi come obiettivo quello di contribuire alla edificazione sempre più solida della casa comune dei responsabili e degli animatori vocazionali. Esserci… esserlo in maniera creativa e vigilante… proporre… condividere. Anche la stanchezza, anche le difficoltà, anche la rassegnazione… ma anche la gioia, le cose belle, i progetti, le iniziative, i risultati talvolta sorprendenti e le condizioni che li hanno resi possibili… Anche questo incontro mi sembra che dovremmo sentirlo così. Saranno importanti le relazioni, sarà essenziale il contesto orante, saranno benedette le esperienze che verranno presentate… ma perché non considerare preziosa l’occasione di dialogo, confronto che può avvenire magari a tavola, nei rari momenti liberi, nei corridoi… Uno stile che deve crescere, un patrimonio che dobbiamo lasciare in eredità così come lo abbiamo ricevuto anche per merito della tenacia del precedente Direttore, Mons. Castellani, a cui va il nostro affettuoso e grato pensiero.
Il punto sul cammino
Non avevamo ancora, nel Settembre del 1997, lo splendido documento conclusivo del Congresso Europeo. Lo abbiamo avuto praticamente a Gennaio del 1998. Ed era ancora solo un sogno l’Assemblea dei Vescovi italiani su tematiche specificamente vocazionali… Ed invece qualche settimana fa c’è stata… e come… Tre momenti: relazione Masseroni, lavoro di gruppo, relazione Castellani. In ciascuno di questi momenti siamo stati coinvolti ed eravamo stati coinvolti anche nella fase di preparazione. Ora saremo coinvolti nella fase di realizzazione dei progetti e delle indicazioni emerse dall’Assemblea. È la fase più delicata perché le idee dei nostri Vescovi potranno camminare solo con le gambe dei nostri cuori…
Permettetemi solo un’osservazione su quanto è accaduto. È l’unica che mi sento di offrire, come contributo personale, perché tutto il resto è generalmente condivisibile. A dire il vero è un’osservazione che ne porta con sé molte altre su cui avremo modo di misurarci in seguito. Per ora la pongo di fronte a noi come convinzione personale. C’è un peccato originale che ci portiamo dietro e ci trasciniamo, pesante e scoraggiante, in ogni nostra impresa. Lo definisco così perché è nato con noi e per certi aspetti ci ha preceduto.
Mi si permetta un esempio: chi di noi può immaginare che la pastorale coniugale e familiare abbia come suo scopo quello di far innamorare due giovani? Nessuno! E chi può pensare che la bontà della pastorale familiare coincida con quante coppie si è riusciti a mettere insieme? Nessuno! Eppure siamo capaci – con estrema disinvoltura – di farlo con la vocazione all’amore verginale. Con la scusa che tale vocazione non può maturare per vie naturali, bensì soprannaturali, si finisce per pensare che la pastorale vocazionale abbia come obiettivo quello di far innamorare un giovane del ministero ordinato o della vita consacrata e che la riuscita del nostro lavoro dipenda dalla conta, dal numero, da quanti sono entrati in seminario o nei noviziati…
Ed invece: la vocazione speciale è un grande mistero di amore tra Dio e la persona, proprio come è un grande mistero il “come” avvenga l’innamorarsi tra un giovane o una ragazza. E mistero va considerato. Non si compra l’amore di una sposa. Non ci si innamora della verginità perché qualcuno ci fa vedere quanto sia allettante, interessante, bello farsi preti o suore… Le vie dell’innamoramento restano misteriose. Tuttavia, così come è giusto pensare che la pastorale familiare persegua l’obiettivo di aiutare una coppia che può nascere dall’innamoramento a sapere che cosa, in realtà, significhi la parola amore e, contemporaneamente, persegua l’obiettivo di condurre i due a sposarsi nel Signore… ecco che la pastorale vocazionale diventa capace di liberarsi dal peccato originale che la perseguita, se si pone come obiettivo fondamentale quello di educare all’amore verginale ed accompagnare, con delicatezza e competenza, verso l’approdo della vita consacrata il crescente interesse del chiamato per una storia d’amore come Dio la vuole: verginale, appunto, pensata e desiderata con la stessa intensità, fecondità e umanità che è naturale vedere nell’amore coniugale.
C’è tutta un’educazione all’amore, alla fecondità, al dono di sé che dobbiamo saper presentare come prospettiva propria dell’amore verginale. E questo fin dall’inizio e con le vie normali della pastorale ordinaria. Al resto penserà il Signore…Anche l’amore coniugale, d’altra parte, se non è preceduto da questa esperienza di radicalità evangelica nella concezione dell’amore – mi si lasci passare anche in questo caso il termine “verginale” inteso come primato di Dio nella vita di coppia – è destinato spesso al fallimento o comunque ad una vita al di sotto delle nostre possibilità.
Perché questa lunga parentesi? Perché ancora una volta – nella stessa Assemblea dei Vescovi – ho visto in questi dati lo spartiacque che permette al nostro impegno di non saper di vecchio, di ammuffito, di tollerato…Qui vedo il sussulto, la cosa nuova che dobbiamo portare, insieme alle cose antiche, nel terzo millennio. Siamo ancora giovani. Siamo nati nel Concilio ed abbiamo fatto ancora troppa poca strada per poterci considerare arrivati. Questo modo di pensare il nostro impegno vocazionale appartiene del resto al magistero dell’attuale Pontefice che in mille occasioni ha offerto spunti di estrema chiarezza (non ultimo il messaggio da lui inviato al Congresso europeo…).
Quale entusiasmo, allora, e quale impegno riprende quota se ci troviamo dentro ad una storia d’amore tra Dio e i figli che ci sono stati consegnati perché sappiamo aiutarli a prendere con coraggio la strada della vita sapendo che alla fine tutti saremo giudicati sull’amore. E quante vie nuove apre alla nostra azione… E quanto diventa bello, intelligente, in questo contesto, il lavoro fatto da tutti noi in questi anni!
Questo nostro incontro
Mi sembra che si collochi bene in questa prospettiva. Dai due versanti. Quello del progetto culturale e quello della pastorale vocazionale. Mi chiedo solo, per concludere, si può pensare ad un progetto culturale che non sia espressione della visione dell’uomo secondo il cuore di Dio e dell’incontro con Dio a partire dai bisogni più veri e profondi della persona umana? Non siamo nati forse dal Respiro di Dio che è Amore e non saremo giudicati forse sull’amore? Che cosa c’è di più intelligente e concreto per l’esperienza dell’uomo di quanto non lo sia l’adottare il criterio dell’amore come luce di verità per decifrare i suoi stessi pensieri, sentimenti e comportamenti? Solo l’amore rende pienamente umano l’atto dell’uomo. Ma di quale amore parliamo e quale via conduce serenamente al giudizio sulla vita? Qui si innesta la dimensione e la dinamica vocazionale. Non siamo di fronte ad un amore qualsiasi ma all’amore secondo il cuore di Dio. Al dono fino alla fine, al servizio senza remore, alla oblatività senza confini… L’amore secondo il cuore di Dio si è disegnato nel volto umano del Cristo e agli uomini e alle donne è dato di farlo proprio nelle modalità esistenziali nelle quali ci pensa il Signore e – alla fine – in quelle modalità saremo riconosciuti come “suoi”.
Vieni, servo buono e fedele… Venite benedetti del Padre mio… Vi riconosco come parte viva della mia stessa vita perché avete fatto della vostra vita la trasparenza stessa del mio modo di amare e lo avete fatto nella varietà delle vocazioni in cui questo è reso possibile… Concretamente reale e fecondo. Incamminiamoci dentro a queste giornate – brevi ed intense – dando il meglio di noi per costruire la pastorale vocazionale della Chiesa italiana agli inizi del terzo millennio.
Il numero speciale di Vocazioni
Questo numero speciale di ‘Vocazioni’ – lo si è già notato – veicola i contenuti essenziali dell’incontro biennale dei Direttori dei Centri Diocesani Vocazioni che si è svolto a Rocca di Papa nei giorni 17-19 Giugno scorsi. Rispetto al programma dell’Incontro alcune modifiche sono state ritenute necessarie per molte ragioni.
Innanzi tutto non viene riportata la splendida relazione di Mons. Masseroni perché il nostro Presidente ha, in realtà, presentato, in questa circostanza, la riflessione con la quale egli stesso aveva aperto – durante l’assemblea dei Vescovi italiani – il dibattito sul tema vocazionale. Il testo integrale di tale relazione è stato pubblicato in coda al mio editoriale nel n. 3/1999 e ad esso volentieri, ancora una volta, ci permettiamo di rimandare il lettore.
La relazione conclusiva di Don Antonio Ladisa è stata pubblicata come quarta relazione, anticipando così le esperienze che nell’incontro erano state presentate prima del suo intervento. Le esperienze a confronto sono state, in realtà, alcune bellissime testimonianze di iniziative realmente promosse e realizzate con, in aggiunta, una singolare e preziosa comunicazione che aggiunge a ciò che è già stato sperimentato nuovi orizzonti in ordine ad un tema così delicato come quello della comunicazione, oggi.
Per il resto i testi che seguono sono stati direttamente presentati dai relatori e, in alcuni casi, rivisti e corretti successivamente all’incontro. È davvero un bel numero e siamo ben contenti di offrirlo come numero speciale (anche per la straordinaria quantità di pagine – ben 96 – oltre che per i contenuti particolarmente attuali) a tutti i nostri lettori certi di mettere a loro disposizione, nel cuore dell’estate – che consente sicuramente qualche tempo da dedicare alla lettura – il meglio sull’argomento!