N.02
Marzo/Aprile 1998

Il CDV e il suo Direttore: una tessitura di cordicelle per una rete aperta nel mondo

 

 

Il contesto

È difficile sintetizzare l’azione pastorale del Card. Ursi (arcivescovo a Napoli dal 1966 al 1987). Egli ha avuto un’attenzione tutta particolare nei confronti del rinnovamento della Chiesa di Napoli puntando ad una Chiesa tutta ministeriale. Sintesi del suo magistero è stato il Sinodo diocesano (il XXX della Chiesa di Napoli) che si è tenuto a Napoli tra il 1978 e il 1983. Da tale Sinodo è scaturito il progetto pastorale della Chiesa napoletana tuttora in atto con il Card. Giordano: l’attenzione è stata posta sulla famiglia e i giovani: per questi ultimi è in atto il Sinodo dei Giovani.

La strategia pastorale del Card. Giordano si muove attorno ad un’intuizione: puntare sempre più ad una pastorale d’insieme di tipo territoriale. La Visita Pastorale del Card. Giordano, infatti, è stata effettuata tenendo presente il territorio decanale: il decanato, inteso come l’insieme delle parrocchie di un determinato territorio, è il centro della pastorale diocesana.

È in questo contesto che si inserisce la pastorale vocazionale intesa come l’anima nascosta delle tre dimensioni della pastorale: profetica, sacerdotale e regale. La dimensione vocazionale non sta prima o dopo o in mezzo alla pastorale ma ne attraversa tutta l’azione. La dimensione vocazionale è intrinseca a tutta la pastorale.

 

Un’idea in un’immagine

Quando il Card. Giordano mi ha affidato la responsabilità del CDV mi sono chiesto quale potesse essere l’idea guida del lavoro vocazionale. Riflettendo sull’azione del CDV ho intuito che è caratterizzata da una rete di relazioni. Per associazione è emersa l’immagine evangelica di Pietro che getta le reti per la pesca e la chiamata che Gesù gli fa: “Ti farò pescatore di uomini”. Da questa immagine è nato il Logo del CDV di Napoli che è composto da pochi ma significativi segni grafici: una rete (che nella parte finale rimane aperta), dei pesci, il mare congiunto con il cielo, la denominazione Centro Diocesano Vocazioni – Napoli. La forma è rotonda, i colori sono blu e giallo-marrone. Tutti questi elementi sono di immediata lettura ma nello stesso tempo evocano significati ricchi che provengono dalla tradizione patristica, ecclesiale e teologica.

La rete richiama la primissima chiamata che il Signore fa ai quattro pescatori di Galilea; il mare evoca il mondo con la sua complessità ma anche con la sua ricchezza in cui viene gettata la rete per la pesca; i pesci richiamano quei brani evangelici in cui sulla parola del Signore si gettano le reti, e la pesca è stata abbondante. Richiama anche che Cristo è l’ictus: Gesù Cristo di Dio salvatore del mondo. Il lembo di cielo vuole esprimere la presenza di Dio a cui tendiamo, ma in cui già siamo e da cui siamo permeati. La forma arrotondata ma aperta vuole esprimere la totalità delle vocazioni di cui il Centro Diocesano vuole farsi promotore. I colori vogliono esprimere la profondità, l’interiorità ma anche la difficoltà dell’azione di promozione vocazionale (il blu del mare). Il giallo – marrone vuole esprimere invece la realtà della terra e dell’impegno dell’uomo. La semplicità degli elementi nella ricchezza di significato sono espressi dinamicamente nel movimento delle onde da cui emerge la rete slanciata verso un’ideale barca (la rete stessa vagamente richiama la sagoma di una barca). I pesci emergono dal mare grazie alla rete la quale non li chiude in sé, ma li lascia liberi. La scritta in corsivo dà un ulteriore slancio dinamico al simbolo.

L’attività del Centro Diocesano vuole essere, quindi, una tessitura di rapporti che coinvolge i singoli operatori pastorali (ogni cordicella della rete è formata da fili intrecciati tra di loro), tra le realtà istituzionali (le cordicelle possono far pensare alle parrocchie, agli istituti religiosi e altre realtà del genere) che prese isolatamente pur effettuando tante volte il loro lavoro non risultano efficaci. Le cordicelle vanno tessute insieme perché si crei una rete che sinergicamente possa agire in tutto il territorio diocesano. Questo lavoro di tessitura vuole essere effettuato in modo particolare tra il Centro Diocesano e i singoli decanati non perdendo di vista però né la parrocchia né la zona pastorale.

 

Dall’immagine al programma

Tutto questo in termini programmatici significa che il Centro Diocesano può incidere non poco sulla realtà pastorale se incide, però, sulla crescita delle coscienze delle persone. In tal senso una delle scelte di fondo da portare avanti credo sia la formazione degli animatori vocazionali. Formazione degli operatori vocazionali allora significa offrire loro non solo elementi intellettuali ma soprattutto spiritualità incarnata, alla luce di una sana e positiva visione dell’uomo che prima ancora di vivere il peccato, e al di là di esso, è amato da Dio.

La formazione degli animatori credo sia la scelta di fondo di questo tempo e una necessità ecclesiale. Siamo chiamati a recuperare l’uomo nella sua globalità. Non spetta ad altri. Spetta a noi. Le possibilità culturali, ecclesiali e operative le abbiamo. Domandiamoci: quale uomo e quale cristiano nel futuro prossimo venturo? Sarà mai l’uomo del computer multimediale e cose di questo genere? Forse anche questo! Ma la risposta non può essere che antica: è l’uomo così come viene pensato dall’eternità dalla Trinità. Potremmo definirlo l’uomo trinitario; l’uomo con la propria identità aperto alla relazione all’altro. Sarà l’uomo della carità. Che cosa è il CDV con la sua pastorale vocazionale se non una proposta di umanità realizzata in Cristo?

La risposta a questi interrogativi comporta un’attività progettata, intensa, chiara negli obiettivi, da costruire e concretizzare cammin facendo. È un’attività chiamata a coinvolgere quante più persone è possibile. È un’attività globale e capillare, chiamata ad infiltrarsi in ogni meandro della cultura, della società, della Chiesa. Ma capillarità significa che dobbiamo conoscere l’organismo globale: ecco la necessità di una lettura della realtà ecclesiale e sociale, ecco la necessità di un ripensamento e riformulazione delle attività, ecco la scelta di fondo di non fare ma di formare per far fare[1] le attività.

Dobbiamo fare attenzione, però, a non cadere in un fare per fare ma piuttosto in un fare per far fare; cioè in un’azione che susciti nelle persone il desiderio e il gusto dell’impegno per gli altri. Uno dei principi ispiratori che mi guida lo esprimo in questo slogan: pochi che fanno molto è poco, molti che fanno poco è molto! Oggi non è questione di contenuti teologici ma di azione pastorale che sappia veicolare i contenuti. È tempo di prassi pastorale! È tempo di metodologia e di mediatori tra il contenuto e la prassi.

La metodologia che si prospetta ha delle ottime premesse (basta guardare il cammino pastorale della Chiesa italiana nei suoi Convegni Ecclesiali di Roma, Loreto e Palermo) ma è tutta da inventare. Le premesse pastorali della diocesi di Napoli sono quelle già accennate: il programma diocesano su famiglia e giovani, il respiro pastorale dei decanati e, inoltre, il progetto unitario di formazione degli operatori pastorali. La metodologia è rendere presente in questi contesti la dimensione vocazionale. Come? Che cosa possiamo fare? Le linee metodologiche che intravedo le ho così sintetizzate.

– È necessario ravvivare la figura dell’animatore vocazionale che sia questo mediatore e sia cinghia di trasmissione tra CDV e Parrocchia e decanato. L’animatore vocazionale è una vocazione per le vocazioni.

– Leggere il territorio; il primo passo è una lettura ecclesiale del territorio in cui si opera. Questa lettura ecclesiale non esclude la conoscenza del proprio territorio sotto gli altri aspetti sociale, economico o politico. Ma è importante capire la storia ecclesiale del proprio territorio, fare il punto della situazione attuale, prospettare il cammino futuro alla luce non di quello che si vorrebbe essere ma partendo dalla situazione in cui si è. Non dobbiamo illuderci, né oggi è possibile illudersi: è bene fare il passo concreto che si può fare. Solo così è possibile vivere quello che si deve fare (è in questo senso che è stato proposto un questionario come primo tentativo che il CDV di Napoli sta facendo per una lettura interna delle attività per diventare più efficace nell’azione esterna).

– Formare animatori allo specifico vocazionale che animino la catechesi, la liturgia, il servizio della carità nella dimensione alla sequela.

– Il CDV inoltre vuole proporsi come luogo generatore di spiritualità. In questo senso le attività proposte vorrebbero avere il filo comune di una formazione all’interiorità. Interiorità personale e comunitaria attraverso momenti forti di esercizi spirituali oltre i già collaudati campi scuola. E questo può scaturire solo da una preghiera, più silenziosa, nascosta, che goccia a goccia forma un fiume sotterraneo, che può nutrire le radici nascoste degli alberi i quali, attraverso la linfa, permetteranno al più piccolo ramo di portare i suoi fiori e i suoi frutti: è l’iniziativa del Monastero Invisibile. È una iniziativa attiva già in molte diocesi. Consiste nell’elevare a Dio una preghiera incessante per le vocazioni, a tutte le ore del giorno e della notte.

 

Le scelte di fondo

In questo tipo di impostazione capillare quale struttura di CDV bisogna elaborare? Il CDV è un soggetto pastorale che ha una fisionomia propria per le finalità, l’organizzazione e le attività. Il CDV vive nel contesto globale della pastorale diocesana. Ne sposagli orientamenti ed elabora le attività secondo lo specifico proprio.

Attualmente il Centro Diocesano è formato dal Direttore, alcuni sacerdoti referenti nelle varie zone pastorali, un gruppo di persone che rappresentano le varie realtà pastorali diocesane (è un’équipe consultiva chiamata organico), un ridotto numero, ma preziosissimo, di quel numeroso gruppo di delegate parrocchiali che nel loro piccolo erano le portavoce dell’attività dell’antica Opera Vocazioni Ecclesiastiche.

Inoltre va formandosi un’équipe direttiva che mi affiancherà nelle scelte direttive e operative. Non è impossibile ipotizzare però che si accresca il numero dei collaboratori delle singole parrocchie che siano anche animatori del decanato. Bisogna puntare quindi sia a persone che rappresentano le varie realtà pastorali che gruppi i quali operativamente concretizzino, nel loro territorio decanale o zonale, le attività che il CDV propone alla diocesi. Ipotizzo però all’interno del CDV almeno la presenza di rappresentanti decanali che siano portavoce delle esigenze del decanato al CDV e del CDV nel decanato.

Allora, quale pastorale vocazionale, nella nostra diocesi per i prossimi anni che ci aprono il terzo millennio? Il CDV è caratterizzato da una richiesta di servizi dalle parrocchie che, in fondo, può offrire: celebrazioni eucaristiche, catechesi con l’annuncio delle vocazioni, celebrazioni liturgiche con adorazioni, veglie, via crucis vocazionale, quarantore vocazionali, servizio della carità ai fini del discernimento vocazionale (“discernimento” sul campo). Questa richiesta di servizi è soltanto in parte assolta dal CDV, attraverso l’invio di sussidi in occasione della GMPV o rare altre occasioni.

Quindi è possibile ipotizzare una diversa struttura di comunicazione e collaborazione. In questo l’immagine della rete ci viene in aiuto. Il CDV pesca quello che c’è in mare e offre quello che pesca: se pescherà abbondantemente, abbondantemente offrirà e viceversa, se pescherà poco offrirà poco. Il CDV allora è chiamato ad essere porto di mare dove si carica e si scarica. Bisogna far circolare i beni di ciascuno: ciò significa che chi è avanti nel cammino può offrire a chi è agli inizi: sussidi, sostegno nella catechesi, nelle celebrazioni, nella carità.

 

Una situazione singolare

Ho accolto volentieri la richiesta del Vescovo di essere parroco di una parrocchia media del centro storico di Napoli, ponendomi in una prospettiva di pastorale parrocchiale che potesse verificare anche alcune intuizioni vocazionali che mi accompagnano da tempo. Questa nuova situazione riduce notevolmente il mio personale campo di azione ma nello stesso tempo permette di sperimentare in piccolo le possibili proposte vocazionali da poter fare a tutta la diocesi.

 

In particolare mi hanno spinto ad accogliere come un arricchimento la proposta e la richiesta del Vescovo:

– il desiderio di un’azione pastorale più direttamente a contatto con il popolo di Dio;

– l’intuizione che il CDV è chiamato ad esprimersi in una dimensione pastorale e centro di irradiazione spirituale;

– l’ubicazione di quella parrocchia in un punto strategico della città: difatti poco distante dalle stazioni ferroviarie della città, ottimamente collegata con i mezzi pubblici, la chiesa è frequentata fin dalle prime ore del mattino da persone che lavorano nei pressi; c’è un passaggio, inoltre, di numerosissimi giovani. Sono fortemente convinto che la Pastorale vocazionale può offrire non pochi stimoli ad un’azione pastorale che sia territoriale;

– la parrocchia come ho già detto può divenire un (mini) laboratorio di Pastorale Vocazionale affinché tutto il popolo di Dio acquisti quella consapevolezza di essere chiamato da Dio e rispondere nella molteplice ministerialità di fatto, istituita e ordinata, per la diffusione del Regno e l’edificazione della Chiesa. 

 

Conclusione

A mo’ di conclusione vorrei esprimere attraverso due racconti il lavoro del CDV: il primo è un racconto che Anthony de Mello ha raccolto nel libro La preghiera della rana: 

Una donna sognò di entrare in una nuova bottega del mercato e, con sua grande sorpresa, trovò che dietro il banco c’era Dio. “Che cosa si vende qui?”, ella chiese. “Tutto ciò che il tuo cuore desidera”, rispose Dio. Non osando quasi credere alle proprie orecchie, la donna decise di chiedere le cose più belle che un essere umano potesse desiderare. “Voglio la pace dell’anima e la saggezza e l’assenza di paura”, disse. Poi, ripensandoci, aggiunse: “Non per me soltanto, ma per tutte le persone della terra”. Dio sorrise: “Credo che tu abbia capito male, mia cara”, disse. “Qui non si vendono i frutti, ma solo i semi”.

Questi semi dovrebbero fruttificare in una dimensione tale da diventare offerta di sé: è il secondo racconto che ci dice plasticamente questa verità. Tale racconto proviene ancora dalla saggezza orientale.

Il bambù era l’albero più bello del giardino del Signore e lodava Dio con la sua bellezza. Al Signore piaceva andare a passeggiare o a trattenersi presso la sua ombra. E a lungo discutevano insieme. Un giorno il bambù vide il Signore triste e preoccupato. Allora gli chiese: “Signore, cosa posso fare per te?”. “Caro bambù – gli rispose il Signore – tu sai che ti amo molto; ho bisogno delle tue foglie e dei tuoi fiori”. “Prendili pure, Signore, fanne quello che vuoi”, rispose il bambù. Dopo un certo tempo il Signore tornò dal bambù. Era molto addolorato e gli disse: “Caro bambù, tu mi sei molto caro, mi dispiace darti un dolore, ma ho bisogno dei tuoi rami. Vuoi darmeli?”. Per un attimo il bambù esitò, poi, facendosi forza, gli disse: “Signore, Tu mi hai dato tutto: prendi pure i miei rami, anche se sentirò dolore”. E il Signore prese i suoi rami, lasciandolo spoglio e nudo, ma felice. E venne un giorno in cui il Signore si recò ancora dal bambù e addoloratissimo gli disse: “Mio caro bambù, ti amo veramente molto e so che anche tu mi ami. Ho bisogno della tua vita: oltre il mio giardino c’è il deserto, voglio che vi arrivi l’acqua e che vi crescano i fiori. Mi serve il tuo tronco. Ma se tu non vuoi non prenderò la tua vita”. Un sussulto di dolore e di sgomento percorse il bambù fin nelle profondità del suo essere. Ma lì c’era l’Amore e allora, chinando la testa al suo Signore, mormorò: “Signore, prendi pure il mio tronco e la mia vita, te li dono con tutto l’amore del mio cuore”. Così il Signore del giardino abbatté il bambù, lo spaccò in due e lo portò alla fonte di acqua fresca vicino ai suoi campi inariditi. Collegò un’estremità del tronco alla fonte, l’altra la diresse verso il suo campo arido. La fonte dava l’acqua che attraverso il tronco del bambù, si riversava sul campo che aveva tanto aspettato. Poi fu piantato il riso, i giorni passarono, la semenza crebbe e il tempo della raccolta venne.

Il meraviglioso bambù divenne realmente una grande benedizione in tutta la sua povertà e umiltà e così dov’era il deserto è fiorita la vita.

 

Il nostro lavoro è chiamato a generare persone che abbiamo la capacità di offrire quello che hanno ricevuto in dono.

 

 

 

 

Note

[1] MICHELE GIORDANO, La pastorale vocazionale: impegno della Chiesa locale. Lettera pastorale per la Quaresima del 1993, Napoli 1993, § 30. Tra l’altro il Cardinale afferma che il Centro Diocesano Vocazioni è “uno strumento diocesano di coordinamento, animazione e sussidiazione. Strumento che nasce dalla convergenza di tutte le forze – per questo si chiama Centro – e che ha un rapporto costante con tutti: persone, comunità, settori pastorali, organismi di comunione e di partecipazione. È lo strumento che il Vescovo desidera e promuove affinché tutta la nostra Chiesa locale diventi vocazionale: nell’attenzione al problema, nella comprensione chiara di esso, nella realizzazione di quanto è possibile secondo le diverse competenze e responsabilità.Esso è posto al centro della pastorale vocazionale per servire e sostenere l’impegno vocazionale di tutti. Suo compito peculiare non è tanto quello di fare sostituendosi o sovrapponendosi ad altri soggetti, bensì quello di far fare a ciascuno la propria parte per tradurre in annuncio, proposta e accompagnamento vocazionale il nostro amore per Cristo, per la Chiesa e per i giovani”.