N.03
Maggio/Giugno 1998

La pedagogia della vocazione

 

 

La crisi vocazionale è crisi educativa. Perciò pedagogica.

Il dito è messo sulla piaga. O meglio viene aperta una prospettiva di metodo. Anche se una vera metodologia che non voglia restare dottrinale, bella, ma astratta, deve partire dal campo dove intende operare, dalle sue condizioni reali di facilità e difficoltà, dalle prospettive che si prevedono a breve, medio e lungo termine. Nel nostro caso il campo è 1’ Europa delle nuove vocazioni. Le sue condizioni sono di crisi vocazionale e educativa (Doc. n. 30). Purtroppo le “profezie” prevedono per i sacerdoti la sproporzione ancora costante rispetto al bisogno, per molte famiglie consacrate il ritiro progressivo, la scomparsa, la fusione con altre analoghe, per la maggioranza la sopravvivenza faticosa, colma di alternanze, tra impennate e cadute. Vi sono, ma assai ridotti, i casi di benessere spirituale dove l’offerta di credibilità incontra la rara disponibilità giovanile. Dovrebbero fare testo.

 

La partenza è dal vangelo della vocazione

Il Vangelo è il vero testo-programma vocazionale (cfr. n. 31). Gesù è chiamato e mandato a chiamare ogni uomo ad accogliere il progetto del Padre. Secondo il Vangelo siamo tutti chiamati a partecipare dello stesso dono passivo e attivo di vita e di salvezza, ricevuta e condivisa. Perciò siamo tutti responsabili di trasmetterlo ad altri.

 

Quale pedagogia valida e efficace della vocazione?

Quella stessa praticata da Gesù (cfr. n. 32). Egli si dimostra Maestro imitabile di autentica pedagogia della vocazione. Nel suo Mistero è il riferimento. Nel suo agire “vocazionale” è l’esempio del metodo, valido e efficace. Quando sparge il seme, educa, accompagna, forma, discerne, come dovrà fare ogni fratello/sorella o comunità.  Seguono con tono meditativo e indicativo i passi di questa pedagogia della vocazione.

 

Seminare

Rivive la parabola del seminatore (cfr. n. 33). Vi sono composti in forma dinamica i fattori: la liberalità del seminatore, la bontà feconda del seme, i condizionamenti posti dal terreno più o meno disponibile a riceverlo e a farlo fruttificare attecchire, germogliare, maturare, giungere a buon frutto.

Noto che nel caso concreto dell’Europa d’oggi adulti e educatori determinano con forza anche le condizioni del terreno. Gli influssi culturali e ambientali sono tali da sviluppare in larga maggioranza condizioni non vocazionali o contro-vocazionali. Preparano terreni quasi privi o scarsi di vitalità umana e cristiana, o ricchi d’una vitalità umana già assorbita da cure e interessi che non fanno più posto alla voce di Dio. Molti sforzi dei buoni educatori sono destinati a fallire.

Seminare “dovunque, nel cuore di chiunque”. Quali sono nei singoli paesi d’Europa i nuovi campi vocazionali da individuare, dove seminare e chiamare? Forse non è questione di campi, ma di linguaggi e toni nuovi dei messaggi, in modo da far corrispondere alla disponibilità dei giovani la credibilità di chi chiama, propone, invita. Forse c’è molto da cambiare chiamando a seminari e da rifondare e rinnovare chiamando a vite, comunità, opere consacrate. Solo chi merita i giovani li trova e li ha.

“II tempo giusto” oggi sembra prolungarsi dalla preadolescenza e dalla adolescenza a età di maggiore maturità, esperienza, vicenda anche complessa umana e cristiana. Lo si vede bene nelle vocazioni femminili ma anche maschili delle ultime ordinazioni e professioni. Quanto alla “piccolezza” dei semi vocazionali ricordiamo che in fisica e biologia oggi è il tempo delle particelle subnucleari e dei microrganismi. Le energie sono più qualità che quantità. Il problema è saper far sbocciare nuclei vocazionali che per loro buona natura siano nascenti, crescenti e comunicanti.

 

Accompagnare

Chi accompagna e chi è accompagnato camminano ognuno con le proprie gambe, ma con parità asimmetrica (cfr. n. 34). La prima parità è d’essere entrambi persone umane e cristiane, impegnate attorno a un fatto – valore – problema comune. L’esperienza deve essere personalizzata da ambo le parti. Facendo lo stesso cammino, parlando della stessa cosa, attorno allo stesso pozzo. La asimmetria deve essere evidente. Uno (Dio, Gesù, lo Spirito, il formatore…) deve parlare chiarificando aggiungendo, risvegliando dentro, interpretando segni e simboli, accettando domande e anche questioni di perditempo apparente, ma riportandole al discorso importante. Il cammino di Emmaus e il pozzo di Samaria insegnano l’arte del dialogo persuasivo e proficuo.

Nulla di meglio che aver qualcosa da condividere. È il momento della testimonianza credibile. Non dell’ imitazione ripetitiva, ma della similitudine di valori e stile di vita, delle identità di ispirazione e di progetto, con molte possibilità di collocazione e di attuazione. Fino alla con-vocazione entro un comune ambito di impegno. Forse siamo nel punto più delicato della pastorale vocazionale, in un momento in cui proprio la testimonianza è scarsa, momento della più facile insicurezza, mediocrità, modificazione, sopravvivenza. La convocazione può essere credibile solo entro vite pastorali e consacrate necessarie di rinnovamento, di trasformazioni profonde, fino alla rifondazione coraggiosa e che rivive i tempi, i climi, le condizioni dei fondatori e dei momenti ricchi di carisma della fondazione. Lo testimoniano presenze pastorali ardite per luoghi e metodi, forme consacrate nuove per stile, vita comunionale-comunitaria, esercizio dell’autorità, presenze e attività apostoliche. Ma anche queste hanno più ricerca che realtà consolidata. Stiamo a vedere.

 

Educare

Entriamo nel vivo della pastorale costruttiva (cfr. n. 35). Il significato etimologico e reale del termine indica il processo inteso a “tirare fuori”, a esprimere e esplicitare, a far crescere, maturare il potenziale di vitalità umana, cristiana e speciale donato dal Signore a che intende chiamare e consacrare, fino ad aprire le relazioni sostanziali e qualificate con se stessi, con Dio, con i fratelli, con la chiesa, con il mondo, con le proposte presbiterali, con fondatori e fondazione, con vite e presenze e attività carismatiche di ogni natura apostolica… È conquista di molte libertà, di molte qualità, capacità e virtù, in relazione alla “conoscenza di sé”, al “mistero” intimo e circostante, alla “vita”, alla sua trascendenza “in-vocare” l’al di là che esiste, parla, chiama, facendo intravedere missioni.

 

Formare

È il momento di dare forma, nuova e buona, all’essere, al pensare, sentire e volere, all’operare immediato e globale della vita intera fino alla fine (cfr. n. 36). È il “momento culminante della identità, vocazione, missione, norma”. La fase pastorale conclude con la grazia, la capacità, la libertà di passare dal se al sì della formazione in senso stretto, nei luoghi e tempi dei Seminari e dei Noviziati e luoghi successivi della trafila di consacrazione. È il momento di assumere una forma, il modo di essere che esprime la nuova identità, la vocazione, facendone la norma del vivere e operare. Cristo è per ogni vocazione “forma o formatore”. Pur con la mediazione del formatore vocazionale. Per far questo bisogna “riconoscere Gesù e i suoi segni”. Trasferire nella propria vita questi stessi segni, dentro l’unica logica del dono.

“La pastorale vocazionale è diretta a formare a questa logica della riconoscenza e gratitudine”. Nel cammino vocazionale anche il giovane conosce e riconosce se stesso. In Dio, verso Cristo, quindi in rapporto di discepolo. Identificazione di due vite in una sola, ma vera e meritevole d’essere scelta.

 

Discernere

Giunge il momento della “scelta effettiva del chiamato” frutto di ben acquisita “capacità decisionale” (cfr. n. 37). Il conflitto “indecisione-decisione” è decisivo. Sulla diffusa instabilità moderna deve e può vincere l’esito di un accompagnamento vocazionale che ha messo in possesso della fortezza propria di Dio e delle sue chiamate, delle migliori disponibilità personali di una formazione condotta, disponendovisi e preparandola con buon metodo. Non è un buttarsi via, ma un ridiscendere nelle profondità dell’io, migliore in condizioni di fedeltà e perfino di felicità.

L’intero cammino pastorale trova forza e sostegno quando è condotto in clima e tono e condizione di testimonianza personale con condivisione comunitaria, in circolo d’influenza costruttiva. Tutto ha bisogno di luminosità e massima verità, con conoscenza e accettazione che vuole chiaro e limpido discernimento di chi è chiamato e di chi chiama. Quali ambiti? Quali criteri di valutazione e giudizio, quali indicatori visibili e indiscussi? L’apertura al mistero, la prudenza che conta sulla speranza e sull’affidamento a chi merita massima fiducia, l’accoglienza di sé integrando aspetti complessi di sé e dell’esistenza, in una sintesi affidabile e fedele, la capacità di fare storia con Dio, la gratitudine che riama e ridona quello che ha ricevuto.

La decisione è presa sulla base della consistenza di una propria identità qualificata e abbastanza definita e stabile, dove l’io problematico attuale è sostenuto dal confronto e dalla spinta costante dell’io che supera i livelli corporali e psichici in forza del riferimento ontologico agli assoluti di preesistente Dio. La risposta decisiva ora può essere totale, per fedeltà di durata e vastità di dedizione.

Passato e presente, memoria e progetto si unificano diversi e complementari, dialogando dialettiche, ma capaci di fondersi riconciliati, positivamente unificati, ricomposti, integrati, creando il futuro componendo utilmente negatività e positività.

Tempo di maturità per decidere di proseguire e completare ciò che è solo avviato. Docibile, perciò in grado di lasciarsi guidare a rilanciare il passato verso i traguardi futuri. Veramente giovane (direi giovanile) perché proteso ad altro più avanzato. Solido e stabile nell’area affettivo-sessuale per pienezza di amore ricevuto e dato nel nuovo stato. Vincitore delle inconsistenze per consapevolezza, per collocazione in ben altri contesti di fede, amore, opzione vocazionale capace di ridefinire ogni comportamento.