N.06
Novembre/Dicembre 1998

La parrocchia, il gruppo adolescenti e la formazione alla vita fraterna in prospettiva vocazionale

La vita di comunione e fraterna è elemento caratteristico e fondamentale della vita cristiana. Poterne fare esperienza in una parrocchia è al contempo, per un adolescente, realtà e cammino educativo verso la pienezza dell’“essere Chiesa”[1]. Ci vogliamo chiedere: quale stile di vita comunionale può essere proposto in parrocchia, agli adolescenti, affinché questi arrivino a vivere la Chiesa in tutte le sue dimensioni: universale, diocesana, parrocchiale? Ancora più in particolare: ci può essere una formazione degli adolescenti che possa prepararli o indirizzarli a vivere gli aspetti comunitari fondamentali propri di ogni vocazione: la comunione familiare[2], il presbiterio diocesano[3], la comunità religiosa[4], un ministero esercitato in un’ottica comunionale e non autoritaristica[5]?

 

Definizione degli obiettivi

Chi è l’adolescente? Egli è una persona alla ricerca di se stesso. Egli è combattuto tra il bisogno del gruppo, come fonte di confronto, stima, aiuto e la necessità di essere originali, cioè pienamente se stessi. La tensione verso i pari in questa età apre al conformismo, con il recitare parti “preconfezionate”, ma sviluppa anche una sensibilità per i bisogni degli altri, con spinte al sacrificio a volte fino all’eroismo. Certo però il suo amore è ancora un dare per avere. C’è una crescita che avviene spesso più per identificazione “acritica”, di modelli “che piacciono”, che per vere convinzioni[6].

Come si presentano i giovani di oggi davanti all’esigenza di relazione? Il documento: “Nuove vocazioni per una nuova Europa” rileva questa situazione generale: Europa diversificata… pluralismo di valori e di dei, debole capacità progettuale, giovani portati al soggettivismo e con un grande desiderio di libertà, un uomo “senza vocazione”[7].

Oggi si dice che un po’ tutta la società è di tipo adolescenziale, quindi i giovani non sono tanto aiutati dalla società a diventare adulti. Il rapporto con la famiglia oggi non è più di tipo conflittuale. “Le generazioni giovanili vedono la famiglia di origine come ‘nido’, capace di offrire affetto e protezione, valori ideali, competenze, informazioni e aiuti di tipo materiale. Un ‘luogo sicuro’ nel quale la madre sembra rappresentare il punto di riferimento attorno al quale ruotano la gran parte delle situazioni e relazioni e con la quale si può dialogare anche di argomenti importanti… Dall’altro lato, fa sì che questi giovani adulti non acquistino capacità critiche e autonome”[8].

Secondo la ricerca di R. Prandini[9], l’amicizia sta diventando sempre più “un valore e un tipo di legame sociale capace di soddisfare i bisogni profondi relazionali dei giovani. È apprezzato il carattere ‘libero ed informale’”. “Le relazioni interpersonali coltivate nel gruppo e in luoghi liberi da controlli, diventano il momento della piena autoespressività e della ricerca del divertimento”. Viene privilegiato il rapporto come “compagnia quotidiana” rispetto all’aggregazione per “un progetto comune”. C’è pessimismo attorno alla speranza di mantenere fede per sempre all’amicizia. Essa poi si presenta oggi “come un contenitore vuoto:… importante, più in relazione alla mancanza di ambienti sociali extra-amicali stimolanti, che rispetto a ciò che realmente riesce a sviluppare”.

Dalle analisi di R. Prandini può essere ancora utile presentare i risultati circa il rapporto del giovane con “associazionismo” e in particolar modo con quello delle nostre comunità parrocchiali. “Emerge un’immagine di associazionismo per certi versi ancora vitale e stimolante… (le associazioni) religiose sembrano essere le più capaci di stimolare esperienze positive, sia dal punto di vista socializzativo, sia da quello della crescita personale… Il grado di soddisfazione complessivo, veramente elevato, mostra come i giovani siano alla ricerca e, per certi versi, stiano già realizzando forme di socialità ad essi molto gradite… Ci mostrano come nel mondo associativo funziona una logica virtuosa: più ci si impegna, più si traggono motivazioni a continuare. Questo dato potrebbe confermare che molti giovani sono oggi alla ricerca di forme di impegno comunitario che non riescono a trovare, per esempio, nel gruppo informale di amici”. È da notare anche il dato che molti appartengono a più associazioni contemporaneamente, il che indicherebbe la tendenza a “saltare”, come voglia di “sperimentazione pluralistica”[10].

“C’è un evidentissimo bisogno di comunione, di stare assieme, di celebrare insieme la vita, condividendo non soltanto i beni materiali, ma anche e soprattutto quelli spirituali… Quando però questa apertura alla comunione deve essere tradotta in atteggiamenti concreti, in stile di vita, allora emerge una certa resistenza, quasi un sottile spirito individualista… Punto d’incontro di queste due tendenze è, mi sembra, il bisogno del giovane, pur evidente – anche se non sempre confessato – di avere un rapporto personale con il formatore o di sperimentare l’accoglienza totale della propria persona da parte di un fratello maggiore che si fa carico di essa”[11].

Obiettivo confacente a questa età può essere allora quello di riuscire a far fare all’adolescente l’esperienza di comunione ecclesiale all’interno di un gruppo. questo dovrebbe essere “guidato da un educatore, adulto nella fede, secondo un progetto valoriale”, affinché possa aprire alla “Chiesa” in tutte le sue dimensioni e favorire l’originale identità vocazionale di ognuno, senza scadere in un’esperienza puramente volta alla gratificazione di alcuni bisogni di socializzazione o che diventi proposta “massificante” e “nido protettivo”, ma che formi alla responsabilità, alla collaborazione, al servizio, all’obbedienza dell’autorità e alla partenza missionaria.

 

Quali vie percorrere

Riteniamo che innanzitutto vada ribadita la positività dell’esperienza parrocchiale ai fini di un’educazione alla vita di comunione e fraterna, come di orientamento vocazionale. Una piccola indagine del 1997, tra i seminari dell’Emilia-Romagna, rivela come l’80% dei seminaristi provenga dalla parrocchia. Riteniamo che questa positività sia reale ma a certe condizioni. È oggi necessaria un’azione rinnovata e un modello di parrocchia diverso da quello del passato. Sicuramente da più parti si denota anche la perdita di una capacità educativa della parrocchia. Molti cercano risposte in altri ambiti ecclesiali.

Si rileva come necessario poter agire con un certo progetto pastorale ed educativo parrocchiale e relativo poi alle varie età delle persone[12]. È aperta una “sfida” al rinnovamento della parrocchia, che però può solo giovarle. È il passare dalla “parrocchia castello” alla “parrocchia cantiere” per dirlo con le parole di T. Lasconi[13].

Indicherei come via prioritaria, il ruolo della relazione individuale. Anche all’interno della parrocchia penso sia importante “preparare” all’esperienza di comunione più ampia attraverso la cura del rapporto personale individuale. A questo scopo può essere utile innanzitutto la testimonianza limpida di tutti i membri “adulti nella fede” che fanno parte della comunità parrocchiale: giovani o meno giovani, preti o religiosi o laici che siano. Certo, oggi più che mai, come ci chiede il papa Giovanni Paolo II invitandoci alla nuova evangelizzazione, sono necessari testimoni non statici, ma missionari, che si facciano vicino ad ogni giovane, andando a cercare, ed entrino in una logica di condivisione della loro vita e della loro ansia di salvezza.

Tale amicizia diventa spesso “spinta” per “confidare” in una comunità più ampia, quella ecclesiale. Questo approccio diventa anche la prima “catechesi” vocazionale, attraverso la testimonianza di chi è già stato chiamato. Credo che la parrocchia oggi debba curare molto questo passaggio, purtroppo spesso dato per scontato, quanto invece i giovani partono lontani dall’esperienza autentica e vissuta della comunità cristiana.

Soprattutto nell’adolescenza, poi, è importante la via del gruppo[14]. Ricordiamo come il P.P.V. indica tale via anche come cammino vocazionale (cfr. n. 43). Ma direi che occorra un gruppo “di qualità” al fine di essere vera esperienza di comunione ecclesiale, aperta anche in prospettiva vocazionale. I giovani si può dire che stimolino, anche con il loro rifiuto, ad una perenne giovinezza della Chiesa. Occorre cogliere le loro istanze. Si è visto che essi pongano alla Chiesa e alla vita consacrata diverse “richieste”: una domanda di radicalità, pur non essendo capaci di dire il loro “per sempre”; l’attenzione alle povertà sociali, continuando poi a vivere in un certo egocentrismo e consumismo, la presentazione di grandi ideali ma fragili essi stessi davanti a quelle prospettive[15]. Ciò spinge a proporre una vita di gruppo non spontaneista, la vita di gruppo non si improvvisa. Pur nella comprensione delle molte fragilità dei giovani di oggi e quindi con lo stile della gradualità e della pazienza, occorre fare un gruppo che abbia una sua proposta precisa e “alta”. Che insegni a vivere correttamente la relazione con gli altri, che sia proposta chiara ed esigente di certi valori, con la proposta contemporanea di attività per vivere il tutto concretamente.

Per un gruppo così è fondamentale la figura dell’educatore. Egli prima di ogni capacità tecnica animativa, dovrebbe essere testimone adulto della fede, fratello che si mette accanto al cammino del giovane e che gli testimonia anche una sua personale sequela di Cristo[16]. Un educatore che sappia proporre con chiarezza i valori del Vangelo e dell’essere Chiesa, accompagnando il cammino del gruppo nell’esperienza ecclesiale e non riducendo la proposta ad essere solo risposta ai bisogni di compagnia, di sicurezza, ecc.  Un educatore che sappia valorizzare le positività già presenti nel giovane e che sappia provocare verso una crescita ulteriore.

Il P.P.V. al n. 43 indica diverse forme di gruppo: “gruppi liturgici, missionari, di preghiera, catechistici e simili”, significa poter fare ai giovani varie proposte di esperienza comunionale. È un entrare in quella frammentazione che è caratteristica propria del nostro mondo e del mondo  giovanile, un mondo sempre più diversificato, nel quale si sviluppa l’apprezzamento per una pluralità di proposte. Anche la comunità ecclesiale scopre, in positivo, che non esiste una proposta unica, valida per tutti, ma tante proposte, valide per il loro annuncio valoriale, anche se diverse nella forma.

Tale realtà, lungi dall’essere un solo “ripiego” alla cultura contemporanea, può essere invece maggiormente al servizio della persona colta nella sua originalità. Ogni persona può cogliere il cammino che le è più “vicino” sia in un’ottica pedagogica, che spirituale. Ciò significa che quell’esperienza particolare può diventare già un richiamo vocazionale, indicativo sia all’educatore che segue il giovane, che all’adolescente stesso.

Concludiamo questa breve e sommaria presentazione di possibili vie, per favorire l’esperienza e la maturazione della dimensione comunionale e comunitaria nel giovane, indicando un’ultima, sempre importante, via da seguire. È la via della direzione spirituale o del dialogo di accompagnamento personale. Spesso, come è riscontrabile anche nella storia di molti, è proprio nell’adolescenza che può iniziare questo dialogo particolare e proficuo. È da cercare nel mistero di Dio verso di noi l’origine di percorsi che hanno portato a certi incontri con persone significative e che poi sono state strumento nelle mani del Padre anche in chiave vocazionale. Resta il fatto dell’importanza di questa via, anche per una maturazione del rapporto ecclesiale.

Secondo la mia piccola esperienza ho visto proficuo, al fine di iniziare gli adolescenti alla direzione spirituale, il passaggio, nell’età delle medie inferiori, da una forma di sacramento della Riconciliazione che puntava più sull’accusa dei peccati, ad una modalità che dava più spazio al dialogo, dopo la confessione dei peccati. In tal modo pian piano alcuni hanno colto il valore di un accompagnamento spirituale e della necessità di fare un cammino di approfondimento della loro vita, alla luce della volontà di Dio.

La via della direzione spirituale è provvidenziale per un servizio educativo particolareggiato che vada alla persona singola e che possa agire proprio sulle sue caratteristiche e sui suoi difetti, evidenziando doti e rischi. Ciò può aiutare a vivere meglio la dimensione comunitaria, evitando certe personali tentazioni e favorendo un apporto positivo del singolo alla comunità.

 

Nodi problematici e atteggiamenti prioritari

Uno dei nodi rilevabili nei gruppi delle nostre parrocchie è quello di trovare proposte ecclesiali parziali, che per poter “avvicinare” i giovani abbassano la proposta e diventano solo luoghi di aggregazione sociale. In ambiti formativi, tipo seminari o case di formazione, si è rilevato come alcuni giovani di oggi rischino un’appartenenza parziale alla Chiesa, in quanto legata solo all’esperienza del proprio gruppo. Tali esperienze sono a volte tanto forti o belle, da portare a “svalorizzare” il resto delle proposte di vita ecclesiale. Oppure si dice che tali gruppi diventano quasi come dei “nidi protettivi”, che non favoriscono poi la partenza verso la propria chiamata o anche la missionarietà verso il mondo. Si è rilevato ancora la tendenza, in alcuni casi, a vivere la dimensione del servizio, in particolar modo quello del presiedere la comunità, in un’ottica di autoritarismo e non in spirito comunionale secondo le prospettive del Concilio.

Sembra importante allora che l’adolescenza (che non finisce oggi con i 18 anni!) debba diventare ambito per formare alcune convinzioni e atteggiamenti particolari. Le vie da battere le abbiamo indicate sopra, ora proviamo a elencare, molto sommariamente, alcuni atteggiamenti che ci paiono importanti e che potrebbero essere ampliati e approfonditi.

– Far cogliere l’importanza di orientare la propria vita su alcuni valori e regole, resistendo alla tentazione del fare solo ciò che gratifica. Ciò aprirà alla dimensione relazionale in modo più vero e la favorirà. Formare quindi ad una sana criticità, in poche parole “a usare la testa”.

– Insegnare a dialogare, cioè ad ascoltare e proporre, sia all’interno del gruppo tra le persone, sia al di fuori del gruppo, verso altre realtà ecclesiali o anche extra ecclesiali, con la capacità di cogliere il positivo e intervenire sul negativo.

– Insegnare a collaborare, facendo concretamente attività insieme, all’interno del gruppo o verso altre realtà esterne. Magari può essere utile anche insegnare a giocare insieme.

– Favorire la maturazione dello spirito di servizio come coscienza che, da un dono d’amore ricevuto da Dio, siamo attratti ad offrire noi stessi come dono per Dio e per gli altri.

– Favorire virtù quali l’umiltà, l’obbedienza, la povertà e la castità, come via di corretta espressione del proprio mondo affettivo nell’autentico amore.

– Proporre uno stile missionario, in cui la persona e il gruppo si aprono al mondo, ai “lontani”, alle povertà, pronti a reagire alla tentazione del ripiego su di sé.

– Educare anche alla capacità di solitudine e al valore dell’interiorità.

 

 

 

Note

[1] Sulla Chiesa popolo di Dio, cfr. LG cap. 2°.

[2] Sulla famiglia come comunione di persone, cfr. FC 15.

[3] Per la dimensione comunionale del presbitero, cfr. PdV 28.31-32.

[4] Per il “signum fratemitatis” proprio della Vita Consecrata, cfr. VC 41-71.

[5] Sul ministero pastorale del presbitero, cfr. PdV 59.

[6] Sullo sviluppo affettivo cfr. A. BISSI, Maturità umana, cammino di trascendenza, Casale Monferrato, 1991.

[7] Pontificia Opera per le Vocazioni, Nuove vocazioni per una nuova Europa (In verbo tuo…), documento finale del Congresso sulle vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa, Città del Vaticano, 1997, n. 11.

[8] M. G. LANDUZZI, Il contesto familiare e la socializzazione primaria: la difficoltà di uscire dal nido, in P. DONATI – I.COLOZZI (a cura di), Giovani e generazioni, Il Mulino 1997, pp. 37-64.

[9] R. PRANDINI, Forza e debolezza delle reti primarie: amici, relazioni di coppia, associazionismo, in P. DONATI – I. COLOZZI, op. cit. pag. 78-80.

[10] R. PRANDINI, op. cit. pp. 113-115.

[11] A. CENCINI, I giovani sfidano la vita consacrata, Paoline, 1996, pp. 32-33.

[12] Cfr. C.M. MARTINI, Itinerari educativi, Milano, 1998, pp. 113-147.

[13] Cfr. T. LASCONI, Uffa che bello, AVE, Roma, 1993, pp. 17-30

[14] Cfr. T. LASCONI, op. cit. pp. 35-42.

[15] Per l’analisi più completa dei giovani di oggi davanti alla vita consacrata e potremmo dire alle istituzioni religiose in generale, cfr. A. CENCINI, op. cit.

[16] Cfr. T. LASCONI, op. cit., pp. 49-60.