Nemici (1)
Quando l’uomo vuole mettersi a pregare,
è il momento in cui i suoi nemici si sforzano di impedirglielo.
La preghiera esige una lotta fino all’ultimo respiro.
s. Agatone
Non possiamo essere ingenui e dobbiamo – finalmente – dire una verità piuttosto scomoda: pregare, pregare veramente, è difficile. Senza smentire tutto ciò che abbiamo detto in precedenza sulla bellezza e sul gusto del pregare, dobbiamo ammettere che la preghiera, che si offre a noi come un dono dello Spirito e come un luogo di riposo in un’amabile conversazione con Dio, è ordinariamente sottoposta a una sorta di pressione ostile che mira ad impedire qualunque piacere, soddisfazione e raccolta di frutti spirituali alla persona che prega.
«Il demone è terribilmente geloso dell’uomo che prega e impiega tutti i mezzi per fargli mancare il suo scopo» osservava Evagrio il pontico.
Ogni orante fa esperienza di quello che il Catechismo della Chiesa Cattolica, sulle orme dei Padri, chiama il «combattimento della preghiera», definendo «la preghiera una lotta contro noi stessi e contro le astuzie del Tentatore (…)» (Cf. CCC 2725 – 2758).
La preghiera, dunque, ha in noi e fuori di noi molti nemici; per poterli affrontare abbiamo bisogno di riconoscerli e di insegnare a riconoscerli, smascherandoli, rendendoli così vulnerabili e vincibili. A questo tema dovremo dedicare tempo e spazio, non certo per poterlo trattare in modo esaustivo, ma nel tentativo di dare nome a ciò che si oppone alla nostra vita spirituale e a quella di coloro che accompagniamo e quindi di non tacere ciò che può impedire un libero discernimento.
E, appunto, al di là di ogni ingenuità, dobbiamo sapere che, così come «la porta della fede è sempre aperta per noi» (Benedetto XVI, Porta fidei, 2011), così la porta di accesso a ogni tentazione è spalancata dentro di noi e ha un nome: disordine.
«Se non inizi mai una via spirituale e di preghiera non ti accorgi nemmeno del disordine che hai dentro, vivi di impressioni, di letture, di rumori, di cose in continuo vortice, di fantasie e immaginazioni. La lotta contro il disordine della mente è l’inizio dell’abbandonarsi a Dio» (Luigi Verdi).
Infatti, nel momento stesso in cui ci disponiamo, pur con animo retto e sereno, alla presenza del Signore desiderando un cuore raccolto e aperto allo Spirito, si attiva in noi una sorta di confuso chiacchiericcio mentale. I nostri pensieri più banali o le nostre immaginazioni meno confessate si affacciano prepotenti chiedendo udienza e noi, quasi sorpresi da tanta insistenza, concediamo cittadinanza a ogni suggestione.
La menzogna più diffusa in questo tempo, poi, ci condiziona immancabilmente: è necessario essere sempre connessi e reperibili a tutti.
E il tempo della preghiera passa.
Ma usciamo fuori da ogni inganno su noi stessi: se, abbiamo detto, la preghiera è una relazione, ognuno prega così come è. Con molta probabilità chi è disperso nel pregare è disordinato nel vivere.
E il disordine esteriore, negli ambienti di vita o di lavoro, in macchina, in cucina, nella propria camera tradisce un disordine interiore, una incapacità a dare uno spazio adeguato a ogni cosa, ad avere cura di ciò che si possiede, a prendere le misure del proprio ingombro e quindi a gestire se stessi e il proprio tempo.
Quando il momento dedicato alla preghiera è abitato da questa confusione, invece di compiere un pellegrinaggio verso il proprio cuore, l’anima vaga raminga per strade senza uscita e, inevitabilmente, si stanca. La noia, il disinteresse, il sonno, più spesso la tristezza si presentano quasi subito come compagni di viaggio e… inizia la fuga dal cuore!
Dalla porta del disordine così spalancata passa ogni cosa che, una volta entrata, diventa capace di catturare la nostra attenzione facendoci desiderare tutto, ma di certo non la Parola di Dio.
Di dispersione in dispersione, il gusto di pregare svanisce e si innesca un processo interminabile di procrastinazione.
La nostra ragionevolezza, allora, ci suggerisce di lasciare stare, di tornare alle nostre occupazioni aspettando un tempo più propizio e confortevole nel quale ci dedicheremo a Dio, alla Parola e ai testi di autori spirituali. Ahi noi! Questo tempo migliore in cui pregare, lasciato alla spontanea percezione del nostro sentire, rischia di non arrivare mai.
Ma «guardati bene dal lasciarti prendere dal Nemico che è sempre in agguato. Ora, tu gli lascerai l’entrata libera quando cesserai di pregare. Più tu sei tentato, più devi perseverare nella preghiera. È la virtù della preghiera che ti ottiene la grazia di trionfare sulla tentazione» dice sapientemente sant’Angela da Foligno.
Il Vangelo stesso ci consegna la prima arma di cui possiamo servirci: rimanere. Rimanere lì dove avevamo deciso di stare, su quella pagina della Scrittura asciutta e austera che sembra non dire nulla; rimanere in quel posto dove sembrano essersi date appuntamento tutte le zanzare del pianeta; rimanere per tutto il tempo che avevamo scelto di dedicare alla preghiera… Rimanere: verbo misterioso che dice di un’ostinazione non rigida come quella delle guardie immobili di un monumento nazionale, ma rilassata come quella di amici e amiche che rimangono fedeli all’appuntamento anche se l’ospite atteso tarda ad arrivare.
È la strana vigilanza della resa, è la morbida perseveranza di chi si arrende e scoraggia con la propria pertinacia il Nemico, noioso, incostante e infedele per definizione.
Del resto «il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno» (Sal 127,2)!
Ma questo, abbiamo detto, è solo l’inizio. Per ora ci basti: «Sta in silenzio davanti al Signore e spera in lui» (Sal 36,7)!