Vita, passione che non muore mai
“Quando ti senti giù, fai l’elenco delle tue fortune: famiglia, amori, la salute se è buona, quel pomeriggio di fine estate sul lungolago insieme a un caro amico che non c’è più. E se ti sembra che le tue fortune non siano poi molte, considera ancora più preziose quelle che ti sono state concesse”.
Marco Presta, Verso l’abisso fischiettando, Einaudi
Enrico è un maestro elementare di quelli di una volta, innamorato del proprio mestiere e dei suoi ex alunni. Vive una vita semplice e non dà peso ad alcuna preoccupazione, salvo un cruccio che poi tanto cruccio non è: è vecchio da morire, ma non muore. Alla bella età di centotrentatré anni è l’uomo più anziano al mondo, una condizione che parrebbe invidiabile, ma che, proprio per questa sua incredibile e innaturale resistenza alla Morte, lo rende oggetto di odio diffuso: “La mia colpa è essere vivo. Non l’unica, certo, e neanche la più grave, ma è la sola che la maggioranza dell’umanità non riesca a perdonarmi, a quanto sembra”. Davanti a casa sua stazionano manifestanti e fanatici che ne reclamano fragorosamente la testa, tirando in ballo complotti e religiosismi, dove le parole più urlate sono “mostro” e “vergogna”. La sua inspiegabile sopravvivenza, e apparente immortalità, è vista come una minaccia dagli altri, dai “normali”, una situazione paradossale che l’autore usa per stigmatizzare ogni forma di discriminazione (“Non esiste in natura alcuna minoranza più minoranza dell’uomo più vecchio del mondo”, ha detto Presta). Ma Enrico non riesce ad arrabbiarsi, è di un’altra pasta. Chiuso in casa giocoforza, protetto dalla polizia, sa che può contare su una fidata compagnia: la fedele domestica Eunice, l’archeo-geriatra Maria, pochissimi amici, un’inossidabile ironia e più di cento anni di ricordi. Soprattutto, mantiene un’inesauribile passione per la vita e per ogni sua manifestazione. Così, le rende quotidiano omaggio nel suo saper ancora giocare, sorprendersi, affezionarsi, innamorarsi: “Se la vita continua a piacerci nonostante i guai che ci procura, deve essere bella davvero”. (E nella mente ci risuonano le note e le parole di “Che sia benedetta” di Fiorella Mannoia). La cifra di questo libro è la delicatezza: nella scrittura, nella narrazione, nella costruzione dei personaggi, nel dipanarsi della trama. La storia di questo moderno e involontario Matusalemme fa sorridere e commuove, e, senza colpo ferire, ci fa ripercorrere anche la Storia del nostro Paese, così come l’abbiamo ascoltata, vita vissuta, dai nostri nonni e dai nostri genitori.