Il matrimonio come grazia e vocazione
“Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione”[1]. Proprio queste sono le radici profonde cui si riferisce il Direttorio di Pastorale Familiare quando vuole indicare la realtà ultima nella quale si innesta la verità del matrimonio[2]. Non potrebbe d’altra parte essere diversamente se, come afferma ancora la Familiaris Consortio, proprio l’amore costituisce “la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano”[3].
In questa piattaforma comune trovano la loro origine ed il loro profondo punto di contatto i due modi specifici di attuare tale vocazione che sono il matrimonio e la verginità. A ciascuno di essi si attribuisce in senso derivato il termine vocazione, nel senso di attuazione specifica dell’unica e fondamentale chiamata dell’uomo alla comunione d’amore.
Vocazione all’amore e grazia per la risposta
Come ben sappiamo questa comunione riceve dalla rivelazione di Cristo lo svelamento del suo mistero più profondo quale partecipazione e chiamata alla stessa comunione trinitaria. Così specificata dal Dio fatto carne in Gesù tale chiamata assume forma sacramentale rivestendo la prassi battesimale di significato nuovo: salvati da Cristo Gesù per ritrovare in lui la pienezza della chiamata all’amore.
Di essa partecipa a pieno titolo il matrimonio il quale si presenta pertanto, agli occhi del cristiano, come attuazione del battesimo ricevuto in uno stato di vita che specifica in sé una dimensione propria dell’amore di Dio: quella dell’Alleanza Nuova per cui Cristo ama di amore infinito la sua Chiesa e chiede agli sposi di esserne il sacramento (cfr. Ef 5). Si riassume qui il senso e la realtà del matrimonio vissuto secondo l’impronta del regno di Dio, che va quindi pienamente qualificato come vocazione nella Chiesa e per la Chiesa.
Alla ricchezza di una tale realtà si intreccia inscindibilmente il dono della grazia divina secondo la molteplicità della sua efficacia. Suo è quel dono troppo spesso banalizzato o dato per scontato, e che sta invece all’origine della stessa vita coniugale, corrispondente alla grazia dell’incontro fra due persone che sperimentano il mistero della “reciproca attrazione” e che riconoscono in questa “forza” la chiamata a costituirsi in un progetto di vita comune. A questa, che possiamo definire con altre parole “grazia della chiamata” e che impegna a un non breve cammino di discernimento, i due rispondono con la decisione di donarsi per sempre nel matrimonio così da diventare quella “carne sola” di cui parla il testo della Genesi (cfr. 2,24). Nel matrimonio Cristo offre la sua grazia perché l’amore umano si muova secondo il medesimo dinamismo dell’amore trinitario che è totale, fedele, fecondo[4].
In questo innesto l’amore coniugale riceve la grazia di essere quel sacramento dell’unione, di cui abbiamo detto, fra Cristo e la sua Chiesa. Una vocazione che non può esaurire il suo compito se non nell’intima collaborazione fra l’umano ed il divino. Così vissuto il matrimonio diventa il luogo in cui ciascun coniuge risponde personalmente, nella grazia battesimale, a Cristo Gesù che giorno dopo giorno lo invita alla sequela. Ma non solo, perché esso, oltre a costituire la propria risposta personale, incarna la risposta dei due a Dio che insieme, nel dono reciproco e non più da soli, compiono la propria specifica vocazione alla comunione.
Queste riflessioni teologiche sul matrimonio che lo colgono nella sua identità di “grazia e vocazione” si aprono inevitabilmente ad alcune esigenze pastorali.
Le esigenze pastorali che ne derivano
Innanzi tutto impegnano la pastorale giovanile e quella familiare a collaborare insieme, coinvolgendo in questo progetto comune la stessa pastorale vocazionale, così da aiutare il giovane cristiano a prendere coscienza che il proprio futuro, in termini di fede, non può mai essere pensato come pura “sistemazione”, ma solo e sempre come risposta ad una chiamata. Qui si innesta la necessità che nel suo cammino formativo ogni giovane sia educato a porsi in un atteggiamento di ricerca, più esattamente di discernimento che guarda senza pregiudizi alla pluralità di ricchezza vocazionale che la Chiesa possiede: dalla scelta verginale per il regno di Dio nelle sue molteplici forme di consacrazione, a quella del matrimonio secondo lo stesso regno di Dio.
Nel corso di tale discernimento non si tratta solo di aiutare a scegliere, ma anche di dare gli aiuti necessari per vivere un giorno in pienezza la propria vocazione. Questo è il senso dell’istituzione dei seminari voluto dal concilio di Trento, ma esso si estende necessariamente ad ogni altra scelta vocazionale, compresa quella matrimoniale. Non a caso la Familiaris Consortio parla di preparazione remota, prossima ed immediata alla vita coniugale[5].
L’amore totale fedele e fecondo, nella specificità delle sue forme, non si improvvisa né nel tempo del seminario né in quello del fidanzamento, ma richiede la formazione alla maturità dell’amore che deve iniziare assai presto e deve favorire numerosi atteggiamenti: dall’amicizia, alla fedeltà, al servizio, alla castità, fino alla disponibilità vocazionale e alla formazione della propria coscienza morale.
In particolare il fatto che il matrimonio sia realtà istituita fin dall’inizio della creazione, non significa che non abbia bisogno di cura, quasi che sia “cosa” talmente spontanea da compiersi da sé. Questo modo di ragionare dimentica che anche colui che ha predisposizione fisica non per questo è già un atleta, ma ha invece bisogno di non poco allenamento. Solo attraverso questa formazione la vita coniugale e familiare ritroverà tutta la propria ricchezza passando da “sistemazione” a “vocazione” secondo la dignità che le appartiene.
Un’acquisizione che oltre a dare il giusto peso alla vita matrimoniale, non mancherà di gettare luce nuova sulla stessa vocazione verginale che risulterà in tutto il suo valore proprio perché affiancata da altre scelte di vita importanti e significative. Inoltre consegnerà alla stessa vita matrimoniale una riappropriazione dell’insostituibilità della propria missione che possiamo qui brevemente sintetizzare nel suo essere nella Chiesa “grazia e vocazione” al servizio di tutte le vocazioni[6].
Note
[1] GIOVANNI PAOLO II, Familiaris Consortio, n. 11.
[2] Cfr. CEI, Direttorio di Pastorale Familiare, n. 12.
[3] GIOVANNI PAOLO II, Familiaris Consortio, n. 11
[4] Cfr. PAOLO VI, Humanae Vitae, n. 9.
[5] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Familiaris Consortio, n. 66.
[6] Cfr. Ivi, n. 53.