La vocazione nella formazione degli operatori di pastorale familiare
La pastorale familiare è compito che grava su tutta la Chiesa “su tutti e su ciascuno secondo il proprio posto e ministero”[1]: tale cura pastorale necessita però di operatori specificatamente formati. Le pagine del Direttorio Pastorale Familiare e altri interventi dell’Ufficio Famiglia presentano la formazione dell’operatore di pastorale familiare in forma molteplice con un ampio apparato di corsi e scuole, alle quali va accostata l’esperienza della vita per rendere la formazione veramente globale ed incarnata.
Una vocazione per tutte le vocazioni nella ferialità
La vita della coppia di sposi e della famiglia è una via che viaggia nella quotidianità e si inerpica, a volte, in sentieri ardui, esaltanti o drammatici. Basta entrare con simpatia in una casa per vedere come il grande sacramento e la comunità che ne deriva si rapporti ogni giorno con la vita e le sue regole. Proprio in questo spessore di vita si vive il dono dello Spirito offerto dal matrimonio e il ministero che in esso è donato. Un ministero che è in primo luogo nei confronti della vita e dell’educazione e che assume caratterizzazioni particolari in servizi verso l’edificazione della comunità cristiana e l’umanizzazione della società. Un’espressione di questo ricco ministero è costituita dal prendersi cura, a nome della Chiesa, dell’annuncio, della preparazione, della celebrazione e della vita di giovani, fidanzati e sposi.
Essere operatori pastorali significa sentirsi chiamati come coppia. Anche la famiglia intera può partecipare a questo mandato. Un primo coinvolgimento è nel profondo degli sposi: essi portano dentro le loro relazioni familiari, l’essere genitori e figli, le gioie e le fatiche del loro vivere. Il loro operato inoltre riecheggia anche nel nucleo familiare trasmettendo il loro ministero all’interno delle relazioni della famiglia, con i figli, ad esempio, ai quali dare ragione del loro essere a servizio di altri e con i nonni spesso coinvolti per avere l’opportunità di poter uscire e farsi carico di iniziative e impegni. Anche loro sono operatori di pastorale familiare!
Ma anche in forma più diretta l’intero gruppo familiare può partecipare ad azioni pastorali specifiche quando, ad esempio, partecipa ad un’iniziativa (un ritiro spirituale o un campo-sposi) in cui i coniugi hanno un ruolo di responsabilità, o esercita il ministero dell’ospitalità e dell’accoglienza facendosi prossimo a chi è nel bisogno.
Un ministero, quello dei coniugi, che si vive anche nella discrezione dell’ascolto di altre coppie o persone che chiedono solidarietà e comprensione o nella tempestività di un soccorso in un momento di difficoltà. È una mamma che chiede un servizio, una famiglia da sollevare da una gravosa assistenza, un bambino da accompagnare o ospitare…
Un ministero centrale nella comunità cristiana
La comunità cristiana, sollecitata da tante testimonianze e da numerosi interventi magisteriali, sta prendendo coscienza dell’importanza, a volte quasi dell’insostituibilità della presenza e del ministero degli sposi[2]. Questo riconoscimento è possibile in una Chiesa che accoglie i doni dello Spirito Santo e i ministeri che in essi vengono offerti e che si preoccupa di rendere coscienti gli sposi del dono che hanno ricevuto. Da parte sua la coppia che opera nella pastorale familiare offre un servizio tutto suo all’edificazione della comunità e all’annuncio del vangelo nella società attraverso un magistero tipico fatto da un insegnamento che si trasmette nella quotidianità. La cattedra, per così dire, è nei corsi per fidanzati e nei gruppi sposi, ma più spesso è sul posto di lavoro, all’uscita dei bambini da scuola o nella fila alla cassa di un supermercato.
Operatori di pastorale familiare come chiamati sulla vocazione al Battesimo e al Matrimonio e bisognosi di formazione[3]: è una realtà infatti, che si costruisce a partire da un dono ricevuto. Necessita perciò di strumenti critici per valutare, di conoscenza di contenuti per trasmettere, di metodologia per farsi attenti alla persona. L’operatore di pastorale familiare non si improvvisa, ma è frutto di un serio cammino di formazione.
Spesso, però, gli sposi, pur comprendendone la necessità, avvertono con timore questo impegno perché il suo complesso apparato sembra portarli lontani dalla vita, e richiedere uno sforzo non più attuabile da parte di chi è carico della fatica quotidiana della famiglia. “Se ci volete siamo così… !” sembra la rassegnata minaccia di molti sposi. La comunità cristiana è chiamata a raccogliere questa sfida, ripensando al suo atteggiamento verso la coppia e la famiglia nella ricerca di una pastorale che colga la famiglia nel suo ruolo di oggetto – soggetto e centro unificatore di pastorale, a partire dal suo essere (non sono tanti singoli, è una coppia, una comunità), dai suoi tempi, dalle sue fatiche e dai suoi doni.
Anche qui risalta il ruolo degli sposi come operatori di pastorale familiare nel prospettare cammini di formazione attuabili per altri sposi e famiglie. Chi meglio di loro li conosce? ma che genere di formazione? è certo quella dei corsi, delle giornate intere e delle serate, ma è anche quella quotidiana che nasce dal cogliere messaggi, testimonianze, stimoli che nascono dalla vita della Chiesa, oltre che dal messaggio verbale e dalla parola dei pastori. La vocazione nella formazione degli operatori è introdotta da questo contatto vivo.
La vocazione nella formazione degli operatori
Una prima meta è riconoscere che la vocazione non è una realtà lontana alla coppia di sposi, perché la coppia è nata proprio da una vocazione. Quando due giovani “si parlano”e si fidanzano, dicono l’uno all’altro una parola del Signore: “accetti di verificare se siamo chiamati al matrimonio…” “accetti di maturare insieme questa chiamata?”. Il progressivo relazionarsi nel fidanzamento è una verifica per cercare la verità di questa chiamata a partire dal discernimento su di sé e sull’altro. La chiamata al matrimonio si innesta su quella comune al battesimo e proprio da queste nasce la chiamata ad essere operatori di pastorale familiare, una chiamata che la Chiesa fa agli sposi e della quale essi debbono sentirsi coscienti. È quasi un procedimento consequienziale, diremmo “a cannocchiale”
Dalla coscienza e dall’amore della propria vocazione, nasce la stima per le altre vocazioni, in particolare quelle alla vita consacrata e al presbiterato. È un apprezzamento reciproco: degli sposi verso le vocazioni di speciale consacrazione e dei consacrati, chiamati anch’essi ad essere operatori di pastorale familiare, verso la vocazione degli sposi. Solo da questo reciproco riconoscimento nascono gli sviluppi delle tematiche di pastorale vocazionale. Un riconoscimento che ha momenti privilegiati in un contatto, in una situazione di vita.
Molti sposi serbano come memoria preziosa quel sacerdote, quella suora, quel consacrato che si è fatto prossimo, che ha testimoniato la sua vocazione, che li ha sostenuti… “Quest’anno c’è ancora il seminarista con noi?” mi chiedeva con insistenza una mamma all’atto di iscriversi agli Esercizi Spirituali per sposi. Una delle mosse vocazionali più azzeccate nella mia esperienza, e credo anche del seminario che l’ha lodevolmente concessa, è la presenza discreta ma significativa dei seminaristi alle attività del Centro diocesano di pastorale familiare. Una presenza che parte dall’essere a contatto con sposi e famiglie, manifestando la gioia ed anche la fatica del loro discernimento.
Un seminarista che non disdegna il rimboccarsi le maniche e il farsi solidale suscita l’ammirazione di chi nella quotidianità delle case è abituato a coniugare le mete più alte della vita con il disbrigo di faccende e impegni e fa nascere domande importanti in genitori e sposi: “stiamo vivendo la nostra vita come chiamata?… come educhiamo i nostri figli alla chiamata di Dio?… e se nostro figlio ci chiedesse di entrare in seminario o in convento?”. Reciprocamente la vita degli sposi e delle famiglie parla ai seminaristi, ai preti. Anche loro sono o saranno operatori di pastorale familiare e alla formazione dei libri deve unirsi quella della vita, entrando con umiltà e discrezione nelle case, innanzitutto per ascoltare e guardare, e poi, per offrire la ricchezza del loro ministero. Nasce da questi incontri di vita la certezza di ricevere di più di quanto si tenta di dare e di trovare argomenti e problematiche da rileggere e approfondire proprio dal contatto con le coppie e le famiglie.
Spesso la viva condivisione, il contatto vivo con gli sposi stimola la fedeltà alla propria vocazione perché sollecita ad un impegno quotidiano, ad un rinnovarsi continuo, alla ricerca dell’essenziale senza perdere di vista la meta della nostra chiamata. Anche i drammi e i problemi che la coppia e la famiglia mettono nel cuore di un consacrato sono un appello ad essere fratelli tra fratelli e ministri di misericordia, cioè dell’atteggiamento del padre buono che accoglie il figlio che era andato lontano e lo aiuta ad essere di nuovo insignito della sua dignità di figlio.
Nella formazione che nasce dalla vita si inseriscono iniziative molteplici con proposte di tematiche specifiche di pastorale familiare per presbiteri, religiosi e religiose, ma di scarso rilievo sarà la loro efficacia se non saranno supportate da un contatto vitale che fa apprezzare la propria e la vocazione di chi è pietra viva del medesimo edificio che è la chiesa.
Note
[1] CEI, Direttorio di Pastorale Familiare, n. 258.
[2] Cfr. Ivi, nn. 262 e 263.
[3] Cfr. Ivi, nn. 269 e 270.