N.03
Aprile/Maggio 1996

Un catechismo che fa diventare adulti

Se davvero si vuole un “progetto pastorale a forte valenza culturale” (CEI), se si vuole che le comunità cristiane (in particolare le parrocchie) siano luoghi propositivi di fede con esperienze culturalmente incisive (convegno di Palermo), se si vuole che la via vocazionale incroci tutte le altre vie, diventa indispensabile che i cristiani – soprattutto i “fedeli laici”, come dicono i documenti ufficiali – facciano esercizio della propria maturità di fede e di competenza ecclesiale specifica (nel senso che alla credenza va unita l’appartenenza, alla vocazione va unita la ministerialità).

Perché ciò avvenga è necessario rinnovare l’investimento sulla catechesi, in particolare sulla catechesi degli adulti, che più di altro (grandi o occasionali raduni, attivismo cosiddetto pastorale e sociale, ristrette élites di “confessanti”, ecc.) può creare mentalità, cultura diffusa, itinerari di vita in forme contestualizzate e diversificate. “Purché la catechesi stessa si sappia svincolare dai retaggi di una sua infantilizzazione e si orienti a preparare degli ‘adulti’ nella fede”[1].

Il Catechismo degli adulti (CdA) è valido e provvidenziale sussidio alla via della maturità cristiana degli adulti, puntando sulla qualità della vita cristiana. Al posto di un cristianesimo mediocre, da scenario, con appartenenze plurime e talora contrastanti tra loro, il testo della CEI indica la via per ritrovare, nella situazione culturale e sociale odierna, il cristianesimo del Vangelo. Accogliendo gli “orientamenti” del CdA, si mira alla formazione e crescita di cristiani adulti qualificati da una fede personalizzata (radicata cioè in convinzioni e esperienze coinvolgenti l’interezza della persona) e matura ossia connotata dalle caratteristiche proprie dell’adulto: autonomia nelle proprie convinzioni e decisioni, liberandosi da condizionamenti e conformismi; equilibrio psicologico; senso critico costruttivo; partecipazione responsabile e coerenza operativa.

Si ritiene oggi che l’autonomia sia il punto caratterizzante delle culture moderne, peraltro inclini ad uno spericolato soggettivismo e persino al nichilismo: occorre farle maturare, passare da una connotazione di individualismo, rifugio nel privato, indifferenza, frammentazione, terrenismo a una visione dove l’autonomia sia dotata di discernimento critico, solidarietà, socialità e responsabilità.

Più ancora: l’autonomia e soggettività devono riscoprire il disegno originario della vocazione umana e cristiana, in cui è fondamentale la chiamata alla comunione con Dio e con gli altri.

 

Le due vie

Arriviamo qui ad un punto di rilevante interesse che il CdA presenta con accenti non privi di suggestione innovativa. Si tratta delle due vie della vocazione all’amore che hanno adulti uomini e donne; matrimonio e verginità. Uomini e donne verificano la loro maturità in una scelta che presenta un duplice cammino verso la stessa meta, quella accennata sopra, ossia la comunione. Ci si sposa o si sceglie la “nuzialità verginale” non per se stessi, non per un’insistita ma poco fondata “realizzazione di sé” reclamata da alcuni, ma per incarnare in se stessi la via della comunione con Dio e con il prossimo. Solo in questo contesto è possibile avere una visione dinamica del significato del matrimonio e della verginità e della relazione che intercorre fra essi. Poiché lo spazio è limitato per un argomento che, al contrario, è ampio e abbisognerebbe di adeguata presentazione, ci limitiamo a presentare una griglia di lettura del pensiero del CdA, scontandone il limite a causa della schematicità a cui facciamo ricorso. Segnaliamo intanto i nn. di riferimento: 497-509; 542-548; 1075-1078.

 

Un’unica storia d’amore

È importante, anzi è indispensabile guardare all’orizzonte entro cui matrimonio e verginità vanno contemplati come “misteri” della vita cristiana e compresi nel loro significato profondo. È quello dell’unica Chiesa del Signore che esiste in molte Chiese e si esprime in molte culture “ma si edifica e compie la sua missione con il contributo di vari carismi, ministeri, stati di vita, vocazioni” (n. 500). Solo in un corpo vivo e operante, dove vige la legge della responsabilità, e della reciprocità, hanno senso scelte come quelle del matrimonio o del celibato a cui si connette la verginità consacrata (cfr. i numeri 501-507; 1075-1076). Sposati e celibi sono dei costruttori di amore, chiamati a far crescere il regno di Dio (cfr. n. 1077).

 

“Fatti di Vangelo”

Vivere la comunione ecclesiale e mettersi a servizio del disegno di Dio perché il suo Regno “venga” nel qui e ora comporta di scegliere e onorare un proprio stato di vita (o forma di vita, come molti preferiscono dire). Sono dei “modi stabili di configurarsi a Cristo, di rapportarsi agli altri e alle cose” (n. 507). Stati di vita generali sono: quello laicale, dove la maggior parte intraprende la via matrimoniale; quello ministeriale ordinato, caratterizzato dal servizio pastorale propriamente detto; quello di speciale consacrazione, entro il quale germoglia la via della verginità.

All’interno di questi tre stati di vita (da comprendere nel loro dinamismo di relazione reciproca e di riferimento alla santità) trovano posto le molteplici vocazioni particolari con i loro cammini spirituali e apostolici (ossia d’impegno ecclesiale). Le vocazioni, peraltro, “si personalizzano in modo originale in ogni singolo fedele” (ivi). Siamo nel mondo della grazia. Anche matrimonio e verginità stanno dentro a questo mondo: sono “fatti di Vangelo”.

 

Appello, profezia, provocazione

La vita di speciale consacrazione ha una sua singolarità nel concerto dei vari carismi e vocazioni che la caratterizzano e l’arricchiscono. Il matrimonio è certamente una via alla santità cristiana. La verginità e il celibato portano in sé un segno eminente di dedizione al Signore e di fede nella realtà nuova che sta iniziando; sono un appello, una profezia permanente, una provocazione (nel senso positivo del termine) a non relegare la “vita eterna” in un al di là un poco astratto.

Non è questione di vita più santa, più facile o più preziosa; ha una sua incisività del tutto singolare (cfr. n. 547). La verginità cristiana, che anima dal di dentro la vita di speciale consacrazione, “va accolta come una vocazione che viene da Dio” (n. 1076).

 

Due modi di amare: insieme

Non è abituale considerare il matrimonio e la verginità come due vocazioni e vie all’amore che crescono integrandosi l’una all’altra. Il CdA l’afferma con singolare vigore in un brano di non comune bellezza (nn. 1077-1078):

“La verginità consacrata, in quanto comunione di carità, è un matrimonio spirituale; il matrimonio, in quanto dono totale esclusivo, è verginità del cuore, appartenenza a uno solo. La prima non è un sacramento, perché esprime perse stessa il mistero dell’alleanza; il secondo ha bisogno di un sacramento specifico, perché di per sé appartiene all’ordine della creazione. Verginità e matrimonio sono due possibilità per il cristiano, due modalità di realizzare pienamente la comune vocazione all’amore, due forme di fecondità: spirituale l’una, fisica e spirituale l’altra. Purtroppo ambedue sono insidiate dalla mentalità edonista e individualista, che rende difficile comprendere e attuare la bellezza del dono di sé. La verginità cristiana, come si vede, è più vicina al matrimonio che al restare scapoli o nubili non per propria scelta. Indica comunque anche a chi si trova in questa situazione la pratica dell’amore oblativo e disinteressato come unica via di crescita e di riuscita personale.

Un catechismo d’ispirazione ortodossa (Dio è vivo, LDC, Leumann 1989, p. 293) usa espressioni molto simili a quelle sopra riportate: matrimonio e verginità (o, meglio, vita monastica) “sono due modi diversi e complementari di entrare in comunione con l’Amore di Dio; entrambi costituiscono uno ‘stato religioso”[2], dal quale la Chiesa attinge energie divine che poi si diffondono in tutto il suo Corpo. Respiriamo ormai con due polmoni, con più libertà e con maggiore unità. Stiamo diventando tutti più adulti? È da crederlo, anche se non mancano lentezze e ritardi.

 

 

 

Note

[1] Cfr. Il Regno – Attualità, n. 12 (1995), p. 330. 

[2] Cfr. Dio è vivo, LDC, Leumann 1989, p. 293.