Essere figli per essere liberi
Riportiamo alcuni stralci dell’intervento di Alessandro D’Avenia al Convegno internazionale “Gesù, nostro contemporaneo” tenutosi a Roma nel febbraio 2012 e pubblicato nell’omonimo volume.
Il ruolo degli adulti nel donare ai giovani la libertà di figli che Dio desidera per ciascuno. La capacità di uno sguardo che vada in profondità e riveli a ogni persona quel nucleo di bellezza che custodisce.
L’uomo ha sempre faticato ad essere all’altezza della sua chiamata. Emily Dickinson, in uno dei suoi versi più belli, diceva che noi non conosciamo la nostra altezza fin quando qualcuno non ci chiama ad alzarci in piedi. Nostro Signore credo che sia venuto anche per questo; […]
Ci svegliamo la mattina e dobbiamo cominciare a correre; non siamo mai all’altezza delle aspettative del mondo. Ma questo accade perché ci siamo dimenticati che chi ci chiama ad essere alla nostra altezza ci ha già dato quest’altezza, ci invita a tirare un sospiro di sollievo, perché andiamo bene così come siamo. […]
Io di padri ne ho avuti e la contemporaneità di Gesù nella mia vita è data da questi padri. […]
Secondo me, Gesù potrà farsi nostro contemporaneo, se i ragazzi troveranno negli adulti questa capacità di guardare il nucleo di bellezza che ciascuno di loro ha, difendendolo come la cosa più preziosa. Un altro dei padri che ho avuto è stato padre Giuseppe Puglisi, professore di religione nel mio liceo a Palermo, che prima che iniziasse il quarto anno di liceo non è torna-to in classe perché il giorno del suo compleanno gli spararono nella piazza vicina alla nostra scuola e cinque anni dopo il ragazzo che gli ha sparato è diventato collaboratore di giustizia. Nella sua deposizione raccontava che, in quei cinque anni, ciò che lo aveva spinto a pentirsi non era stato il fatto di aver ucciso quell’uomo, perché ne aveva uccisi tanti altri, ma il modo in cui quell’uomo gli aveva sorriso mente lui gli sparava. Ci sono persone capaci di parlare agli altri, facendo percepire attraverso i loro occhi la dignità che tu hai. In fondo quell’uomo, quel mafioso, ha sperimentato in quello sguardo una chiamata ad alzarsi per capire quale fosse la sua vera altezza, ha sperimentato ciò che non ha sopportato per cinque anni, non l’atto che ha compiuto. Sono sempre stato affascinato da quel sorriso che io vedevo per i corridoi della mia scuola; è questa la libertà che mi affascina, la capacità di guardare dentro l’uomo, di guardare cioè quel nucleo indistruttibile di bellezza che c’è in ciascuno. […]
Noi non dobbiamo portare i giovani a fare le cose che vogliamo che facciano (tanto non le fanno); dobbiamo portarli alla libertà di scegliere, ma per fare questo ci vuole quello sguardo. Quello sguardo creativo che è stato lanciato sulle cose quando furono create, quando Dio le guardò e vide che era una cosa buona; […]
Il problema è trasformare lo sguardo sui giovani come se fossero un oggetto da laboratorio, a quello che fa Gesù con tutti gli uomini che incontra: guardarli cioè come persone, come soggetti. Io ti guardo come ho guardato le cose quando le ho create, quindi come qualcosa le cui potenzialità sono tutte lì da far fiorire; ti restituiscono la libertà e tu puoi essere veramente te stesso.
(Alessandro D’Avenia, Essere figli per essere liberi, in AA.VV., Gesù nostro contemporaneo, Cantagalli 2012, pp. 335-9)