La formazione permanente
Un cammino che non finisce
L’ideale della formazione permanente
All’inizio del Vangelo di Giovanni si narra della vicenda di due giovani che, affascinati dall’invito del loro maestro, Giovanni Battista («ecco l’Agnello di Dio!», Gv 1,36), si mettono sulle tracce di Gesù. Certo, da lui si aspettavano dei discorsi, delle risposte alla loro ricerca, l’indicazione di un programma da seguire, di cose da fare. Non è difficile, pertanto, immaginare la loro sorpresa ascoltando le sue prime parole, una domanda, più che una risposta: «Che cosa cercate?» (Gv 1, 37). Una domanda che, a sua volta, ne suscita subito un’altra: «Dove dimori?». E, infine, una replica che vale il viaggio di una vita, assai lontano da una semplice consegna intellettuale: «venite e vedrete!» (Gv 1,39).
Vi ritrovo una bella immagine di quanto possiamo intendere come formazione permanente, anche perché ritrae da vicino il modo con il quale Gesù stesso ha educato i suoi discepoli. Si tratta di un cammino continuo che sorge dall’ascolto delle domande che sporgono dalla vita, genera, a sua volta, domande, facendo entrare sempre di più nell’esperienza discepolare che la chiamata ha messo in moto, affidandosi al suo dinamismo guidato dallo Spirito. E il tutto non senza gusto, senza attesa e desiderio. Sapienza e saggezza del vivere, infatti, significano questo: gusto, sapore, esperienza nell’intimo. Un viaggio appassionante che non è in solitaria, ma da condividere insieme ad altri. È il viaggio che continua nei discepoli di tutti i tempi.
È in questo modo, del resto, che la nuova Ratio illustra il senso della formazione permanente: «l’espressione richiama l’idea che l’unica esperienza discepolare di coloro che sono chiamati al sacerdozio non si interrompe mai. Il sacerdote non solo «impara a conoscere Cristo», ma, sotto l’azione dello Spirito Santo, è all’interno di un processo di graduale e continua configurazione a Lui, nell’essere e nell’agire, che costituisce una permanente sfida alla crescita interiore delle persona»[1]. Si tratta, come più avanti si precisa della «prosecuzione naturale di quel processo di costruzione dell’identità presbiterale, iniziato in Seminario e sacramentalmente compiuto nell’ordinazione sacerdotale, in vista di un servizio pastorale che fa maturare nel tempo»[2].
Ambiti, situazioni e pratiche
Una volta esplicitato il senso complessivo, il testo non intende evidenziarne le tappe, come invece nella parte dedicata alla formazione iniziale, essendo effettivamente difficile descrivere in modo precostituito le diverse età della vita presbiterale. Piuttosto si sofferma sull’indicazione di ambiti, situazioni e strumenti, utili alla sua realizzazione. Quanto agli ambiti, è la fraternità presbiterale il luogo essenziale da promuovere e vivere, pur senza esplicitarne, purtroppo, i contorni. In essa, però, mi pare di trovare il filo rosso che lega la considerazione delle situazioni come delle pratiche suggerite. Circa le situazioni, che di fatto assumono anche il volto concreto di alcune imprescindibili sfide da affrontare nella formazione stessa, è molto interessante la descrizione, colta con particolare acutezza e verità da quanto può emergere dalla vita stessa. In tal modo, «l’esperienza della debolezza, il rischio di sentirsi funzionari del sacro, la sfida della cultura contemporanea, l’attrattiva del potere, la sfide del celibato» e, infine, «la dedizione totale al proprio ministero»[3] sono effettivamente snodi cruciali che attraversano l’intera esistenza presbiterale e assumono nel tempo forme e sviluppi variegati. O anche battute di arresto che chiedono una ripresa.
Quanto alle pratiche, si tratta dell’indicazione di modalità concrete per dare forma alla fraternità presbiterale. Non si trovano nel testo vere e proprie novità, ma l’essenziale di sempre, che può essere opportunamente promosso e rilanciato. Esso riguarda gli aspetti complessivi della vita di un presbiterio (gli incontri di formazione veri e propri nella loro varietà di registri e proposte), l’ambito decisivo della propria vita spirituale (la direzione spirituale, la confessione, gli esercizi spirituali) e quello della opportuna ricerca di forme di vita comune e fraternità presbiterale, ritrovate all’interno di associazioni sacerdotali, movimenti ecclesiali e Istituti secolari, quali risorse particolarmente promettenti in questa stagione frammentata.
Molte riflessioni ed esperienze sono state compiute in questi anni alla ricerca di una migliore formulazione del cammino di formazione permanente dei singoli presbiteri diocesani. Condividere questi cammini, conoscerli e confrontarli mi pare una risorsa importante per operare un discernimento più fine circa le proposte e le modalità. Anche questa volta proviamo a recensire la concreta esperienza della diocesi di Milano
Una riflessione che accompagna da lontano
Ci sarebbe molto da illustrare circa la storia della riflessione e delle pratiche introdotte, ma l’impulso particolarmente vivo, in ordine sia al pensiero che all’immaginazione di cammini, è avvenuto alla fine degli anni ottanta, precisamente nel 1986, quando, di fatto, per iniziativa del card. Martini, ha preso avvio, con la figura di don Franco Brovelli, un primo cammino di accompagnamento dei primi cinque anni di ordinazione, denominato Ismi (Istituto Sacerdotale Maria Immacolata)[4]. Più tardi, nel 1999, l’Ismi con le varie attività e figure nate nel tempo, sono confluite nella creazione di un apposito Vicariato per la formazione permanente del clero, che ancora oggi è attivo e in fase di riorganizzazione. In ogni caso è in questo ambito che sono nati e continuano a precisarsi la ricerca di luoghi riservati alla formazione, di persone dedicate ad essa a tempo pieno, di modalità di accompagnamento, di percorsi e momenti, in cui offrire a ciascun presbitero l’opportunità di rielaborare la propria fede e il proprio vissuto, alla luce della vocazione ricevuta, in un contesto di fraternità presbiterale.
Un cammino per l’inserimento nel ministero
Prestando soprattutto attenzione all’inserimento nel ministero, la proposta ormai consolidata è strutturata su due cicli di cinque anni ciascuno. Come spiega don Andrea Regolani, responsabile del cammino Ismi, insieme col vicario per la formazione permanente del clero, i principi che ispirano e sostengono la proposta sono i seguenti:
– «Il prete si forma nel presbiterio e grazie al presbiterio con il suo Vescovo». L’Ismi altro non è che una espressione di questo stesso presbiterio. Non è dunque una realtà che nasce a parte o in margine ad esso. Mi pare una scelta assai importante nella frammentazione dei riferimenti attuali.
– «Il rapporto unificante rimane sempre il Vescovo e il suo vicario nel territorio», mentre gli ambiti concreti di vita sono, con denominazione tipicamente ambrosiana, il decanato, la diaconia (nel caso di comunità pastorali), il presbiterio parrocchiale. In questa articolata espressione territoriale «la figura del vicario per la Formazione Permanente del Clero e del responsabile dell’Ismi sono espressione della cura per la persona, un’occasione di ascolto e di sostegno del singolo prete. Il responsabile dell’ISMI incontra almeno una volta all’anno tutti i sacerdoti giovani, visitandoli nella loro parrocchia».
– «Il prete si forma nell’esercizio del ministero», come del resto appare stabilmente nel magistero conciliare fino alla Pastores dabo vobis e oltre. In tal senso, l’Ismi è pensato come un’occasione per rileggere il ministero e condividere i frutti e le sfide del suo esercizio, non come una partentesi formativa al di fuori della vita.
– «Le dinamiche di classe di ordinazione, che si avviano in Seminario, sono un contesto prezioso di fraternità e di condivisione per assimilare proposte e vivere passaggi significativi». Talora, però, sono anche un contesto segnato da fatiche, risentimenti e divisioni accumulate nel tempo della formazione iniziale, non facili da sciogliere e armonizzare. In tal modo, gli inizi del ministero divengono anni importanti di coltivazione di diverse forme di fraternità, per guarire le ferite pregresse, per allargare la cerchia ad altre età, per favorire altre amicizie, altre forme di cura per la vita personale e ministeriale dei preti. Per questo motivo l’Ismi è organizzato normalmente per classi di ordinazione, ma anche per insiemi di esse e altre forme di incontro di più ampio respiro.
L’organizzazione concreta degli incontri prevede l’offerta regolare di tempi distesi di preghiera, di fraternità, di approfondimento e di condivisione. «Una cura del tutto particolare è riservata per i preti del primo anno di ordinazione, con la proposta di appuntamenti più frequenti e più prolungati (dal mercoledì mattina al giovedì a pranzo)». I temi affrontati sono legati alle “azioni fondamentali del ministero”, che i giovani preti iniziano a vivere, nell’intento di istruire e insieme dare ampiezza di sguardo all’esperienza ministeriale che si vive (il senso del celebrare e presiedere l’Eucaristia, la confessione, l’impegno, oggi assai gravoso, di immaginare i cammini per la Pastorale Giovanile, il tema più ampio dell’annuncio della Parola di Dio nella Chiesa, la visita alle famiglie…). «Uno spazio è lasciato anche al corso di didattica, per sé già attivato durante il Seminario, volto all’abilitazione all’insegnamento della religione».
Il secondo anno mantiene ancora una scadenza quasi mensile, dal mercoledì a pranzo al giovedì a pranzo. I contenuti, invece, prendono in considerazione le condizioni fondamentali del ministero: la carità pastorale, il celibato, l’obbedienza, la povertà. Per i preti degli ultimi tre anni, invece, la proposta formativa si alleggerisce. Sono previsti, infatti, quattro incontri di una giornata con le tre classi in contemporanea, mentre «i temi affrontati sono concordati con le classi stesse e si muovono tra aspetti più pastorali (pastorale familiare, la cura degli adolescenti) a quelli più personali (la crisi nel ministero, la verifica personale della vita)».
Ci sono anche, per tutti, appuntamenti comuni: un incontro introduttivo a settembre con l’Arcivescovo, la proposta degli esercizi spirituali e il pellegrinaggio annuale. Quest’ultimo «si configura, da qualche anno, come un’occasione di incontro con un’altra Chiesa», nell’intento di offrire una possibilità di rilettura del proprio ministero come delle dinamiche più ampie del presbiterio dentro inediti punti di vista e orizzonti più ampi.
La premura di una Chiesa locale
Rimane da raccogliere a margine, se pur brevemente, l’intento complessivo di un percorso così indicato. Si tratta dell’effettiva premura di una Chiesa locale che non si impegna semplicemente in una lodevole proposta di iniziative di formazione. Piuttosto si appassiona all’intuizione di un progetto di Chiesa, suscitato dallo Spirito, che nel proprio cammino pastorale, con stili e modalità diverse, provenienti per un verso dalla sua tradizione, per un altro dall’attenta lettura dei «segni dei tempi», si impegna ad aiutare a dare un volto concreto al ministero qui ed ora. La formazione permanente non diviene, allora, qualcosa da fare, un peso da sostenere o una tassa da pagare, ma un modo originale per sentirsi parte di una comunione da cui è bello sempre partire e verso cui sempre convergere.
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[1] Congregazione per il clero, Il dono della vocazione presbiterale, Paoline, Milano 2016, 80.
[2] ID. 81.
[3] Cf ID. 84.
[4] Una descrizione dal vivo della nascita e dell’intuizione del percorso si trova in F. Brovelli, Preti giovani oggi. Per aiutare un dialogo, in «La Rivista del Clero italiano» 72 (1991) 724-753. I numerosi temi affrontati e i materiali predisposti sono stati pubblicati nella collana Strumenti per il lavoro pastorale presso Ancora editrice.