N.06
Novembre/Dicembre 1995

Verginità cristiana: per una proposta ai giovani oggi

Devo confessare che mi ha fatto personalmente bene l’occasione offertami dalla preparazione del presente numero di Vocazioni, sul tema della “verginità per il Regno”, che mi ha condotto a rimeditare e approfondire ulteriormente le motivazioni della verginità cristiana. Ne sentivo il desiderio anche per un annuncio sereno e profondo ai giovani e alle ragazze della mia comunità e per un accompagnamento vocazionale di tutti coloro che il Signore mi dona d’incrociare sulle vie dello Spirito.

È vera e realista l’osservazione, in cui convergono diversi educatori, che oggi non è facile annunciare ed educare i giovani alla verginità e alla verginità consacrata. È tuttavia inutile restare bloccati su analisi, ormai divenute luoghi comuni, che finiscono per lamentare il reale e diffuso spadroneggiamento di un erotismo, sempre più esasperato, ove ogni verginità è incompresa se non disprezzata.

Per noi educatori alla fede è forse più opportuno sgombrare il campo da eventuali considerazioni, che forse non rendono convincente la verginità cristiana presso le giovani generazioni e, soprattutto, rimetterne a fuoco l’ispirazione evangelica che la motiva e la sostiene.

 

 

La Verginità è Amore

Desidero riassumere in queste espressioni tutto quanto può essere detto e verrà detto attorno alla verginità cristiana anche nelle pagine che seguono: “la verginità è amore”[1]. Una definizione siffatta della verginità cristiana conduce a superare una visione e una presentazione moralistica della “verginità per il Regno”. E sottolineo subito una motivazione o impostazione inadeguata della verginità.

La verginità non è riconducibile a uno sforzo personale – pur comportando un’indubbia ascesi – in vista di una superiorità morale.

“All’interno stesso del popolo credente, una corrente secolare di spiritualità l’ha presentata in chiave moraleggiante piuttosto ambigua, e non sono sicuro che questo modo di vedere sia del tutto sparito. Per un certo numero ancora, la verginità è esaltata prima di tutto come il luogo per eccellenza della ‘virtù di castità’, come il terreno ideale della ‘purezza’. Per questi cristiani avidi di ascesi e di ‘perfezione’, essa evoca anzitutto uno sforzo che mira a sorpassare in qualche modo l’istinto sessuale per installarsi in una sfera ‘superiore’… La verginità cristiana include senza dubbio dei valori morali, ma non bisogna mai isolarli, col rischio di ‘gonfiarli’ e di squilibrarli. Bisogna piuttosto restituire ad essi la loro ispirazione e la loro ‘inquadratura’, vederli all’interno di valori salvifici e teologali più decisivi. La verginità, notava già Sant’Agostino, non è onorata come tale, ma perché consacrata a Dio, al Dio Autore della salvezza e di un’alleanza d’amore. L’errore sarebbe, dunque, di fare della verginità un ideale in sé, un assoluto, un fine, mentre nel cristianesimo è un elemento di una vocazione, una realtà relativa, un mezzo… Non si è vergine per la gloria o il piacere di esserlo, per la gioia di sentirsi in una situazione di privilegio o di lusso spirituale raffinato. Non si è neppure vergine ‘contro’ coloro che non lo sono. Nel cristianesimo si è vergine in una situazione di povertà radicale, per lasciare un campo più vasto all’azione salvifica di Dio e per essere provocati verso un amore più grande. La grandezza della verginità cristiana non le viene dagli sforzi che fa l’uomo per viverne le esigenze, le viene piuttosto dal ruolo che la grazia di Dio la chiama a svolgere nel suo disegno e dalle ‘meraviglie’ che la sua potenza vuole operare attraverso di essa; è una verginità ‘per il regno dei cieli’, e per l’amore che è la legge essenziale di questo regno”[2].

 

 

Verginità: una relazione e un cammino verso Cristo

A ben pensare per l’uomo, l’essere cristiano, è un “seguimi”: essere incamminati permanentemente verso Cristo. È accogliere la proposta di Cristo: “fai la vita con me”.

La verginità cristiana infatti non si comprende estrapolata dalla sequela radicale di Cristo. È questo il punto fermo e il quadro a cui ricondurre la verginità e l’educazione, in particolare dei giovani, alla verginità.

“Ciò che qualifica il cristiano – non solo come uomo religioso, ma come credente – è il modo radicale con cui egli si riferisce a Cristo. Quando un uomo dice a Cristo: Tu sei la verità; Tu sei la mia verità, cioè, Tu sei un punto di riferimento oltre il quale non posso andare, quest’uomo è un cristiano”[3].

La verginità cristiana non si comprende e non è possibile al di fuori di questo riferimento e rapporto essenziale con Cristo.

“L’esperienza fondamentale del cristianesimo è il rapporto con Gesù Cristo. Non si è cristiani, dunque, semplicemente perché si condividono le idee cristiane o si pensa ad un’azione cristiana; si è cristiani perché si lascia che Gesù sia Gesù, non solo in se stesso, ma nella nostra vita, e per noi. Evidentemente la via per realizzare la comunione con Lui, il ‘seguimi’, è quella della fede, della speranza e della carità. Ma è fede in Lui, speranza in Lui, carità verso di Lui, in Lui, mediante Lui, da Lui. La vita cristiana consiste nella costruzione di un vincolo con Gesù: che non bisogna dare per ovvio. L’invito alla preghiera e l’invito alla ascesi sono funzionali alla costruzione di questo vincolo prioritario”[4]. È questo il quadro generale nel quale collocare il senso del cammino che la verginità è chiamata a compiere verso Gesù.

C’è, in definitiva, un rapporto inscindibile, nella vita del credente, tra “l’assoluto di Gesù Cristo” e la “chiamata alla verginità”: “la psicologia di chi accoglie la chiamata alla verginità per il Regno esprime, nel rapporto con Cristo, un modo di percepirlo e viverlo come il ‘tutto’ concreto e amato, scelto e voluto, della propria vita. In un certo senso, questo deve essere della Chiesa intera, di ogni cristiano, ma ci sono connotazioni specifiche per chi è chiamato alla verginità… La decisione verginale comporta in modo specifico di sentire risuonare nella propria vita l’affermazione: Gesù tu sei il fondamento, il riferimento assoluto della mia esistenza. 

Nella scelta verginale tutta la personalità si polarizza, si orienta verso Cristo in modo particolare ed affettivamente è come se si fosse optato per uno sposo (non per un coniuge!), cioè per un riferimento totalmente amato”[5].

La comunione con Cristo è quindi la costante dell’essere cristiano e dell’essere vergini. Come “la costante dell’essere cristiani” non si identifica con il “fare”, ma con la personale comunione con Cristo, così “la costante della verginità” è il rapporto con Cristo.

“Quando è chiamato alla verginità per il Regno, l’uomo è chiamato ad avvicinarsi a Dio a tal punto da essere ‘uno’ con Lui, che tradotto significa: somiglia il più possibile a Me!”[6].

Ho voluto sottolineare ampiamente tutto questo per evitare anche una diffusa interpretazione o motivazione strumentale o funzionale della verginità ovvero dell’accoglienza della verginità per essere più liberi e disponibili per la missione, per il ministero.

 

 

Verginità, castità, celibato “per il Regno”

Alla luce di quanto detto mi sembra opportuno anche un’essenziale spiegazione dei “termini” del nostro discorso. Mi sembra infatti – e questo può generare anche una certa confusione o approssimazione educativa – che i termini verginità, castità, celibato, nel linguaggio corrente vengono usati indistintamente o come sinonimi l’uno dell’altro.

Senza alcuna pretesa di completezza – dando per acquisito il significativo di realtà contigue al nostro specifico tema, quali “sessualità”, “genitalità”, “continenza”, “affettività” – propongo questa sintesi che emerge dalla ricerca teologico-spirituale più recente[7] e che a me pare illuminante.

 

La verginità: un “mistero”, un carisma.

“Formalmente intesa la verginità è la castità specifica di chi si consacra a Dio nel celibato. Essa è comune ai due sessi e non consiste solo nella rinuncia a ogni attività sessuale-genitale, ma rappresenta una trasformazione profonda in chi s’impegna, come uomo o come donna, in un tipo speciale di relazione con Dio e col prossimo. Da un punto di vista più teologale la verginità è un mistero, cioè un fatto soprannaturale, che indica un suo tipico rapporto organico con il mistero per eccellenza (cioè con il piano divino storico di salvezza di tutti gli uomini in Cristo o, che è lo stesso, con il regno di Dio) così da manifestarlo in qualche modo presente in sé… La verginità è dunque rivelazione e mediazione del mistero. E le dimensioni del mistero diventano anche i significati della verginità stessa: ‘escatologico’ (anticipo della vita risorta), ‘ecclesiale’ (particolare espressione-attuazione della Chiesa sposa e madre), ‘mariologico’ (imitazione-continuazione del mistero di Maria), ‘cristologico’ (imitazione di Cristo verginale e particolare rapporto con il mistero dell’unione ipostatica), ‘antropologico’ (disponibilità amorosa della creatura al compimento del piano di salvezza)… In tal senso se il celibato è uno ‘status’, la verginità è più propriamente un carisma”[8].

 

La castità: una virtù morale.

“In generale è quella virtù morale che regola l’uso della sessualità secondo lo stato di vita della persona e in funzione dei valori e degli scopi che la persona stessa vuole (e deve) realizzare. La castità mette in moto, quasi identificandovisi, quel dinamismo tipico che consente e promuove il processo di umanizzazione della sessualità.

Nell’ambito d’una prospettiva personalistica e all’interno della dinamica interpersonale la castità è una condizione fondamentale per il dono di sé e l’accoglienza del dono dell’altro. Essa non deriva semplicemente da un progetto d’osservanza, né s’identifica con una continenza che viene solo dal dovere, ma nasce dalla percezione del valore dell’altro ed è orientata alla piena valorizzazione d’esso.

In altre parole, nasce dall’amore e tende al dono di sé.

Tale è il vero volto della castità nel pensiero di Dio. Di conseguenza la castità non può essere solo frutto dell’esercizio repressivo della volontà, ma integrazione dell’emotività e dell’affetto in un progetto di dono di sé”[9].

 

II celibato: uno “stato” di vita.

“Teoricamente, e indipendentemente dal collegamento con precise finalità esistenziali, è lo stato di vita d’una persona non congiunta in matrimonio, o di chi non chiede di essere riconosciuto dal contesto sociale organizzato come impegnato in una relazione di coppia…

Il celibato ecclesiastico, in particolare, deriva da una prescrizione giuridica e costituisce un cardine della disciplina e spiritualità sacerdotale, nell’ordinamento della Chiesa latina. Pur non essendo indispensabile all’essenza e all’esercizio del sacerdozio, la Chiesa lo ritiene ‘particolarmente confacente alla vita sacerdotale’, e gli riconosce da sempre ‘molte ragioni d’intima convenienza col sacerdozio stesso’,- ragioni che si rifanno ai significati cristologico, ecclesiologico ed escatologico del celibato stesso… Il pieno significato del celibato per il regno, da un punto di vista antropologico globale e carismatico, va visto nel concetto di verginità”[10].

 

Concludendo. “Verginità per il Regno” è sinonimo di libertà e di amore. Affrontare il tema della “verginità cristiana” significa, in definitiva, aprirsi e rispondere ad un interrogativo di fondo nell’educazione dei giovani alla fede e nel servizio di orientamento vocazionale: come formare le giovani generazioni a questa “libertà” e a questo “amore”?

Le riflessioni che seguono – e il prossimo convegno promosso dal CNV sul tema “Verginità per il Regno: Vocazione all’Amore”, annunciato anche su queste pagine – non mancheranno di aiutare tutti noi in questo servizio educativo atteso, seppur fra segni contraddittori, dalla generazione dei giovani che ci è contemporanea.

 

 

 

 

 

Note

[1] Cfr. J. Aubry, La Verginità è Amore, LDC, Torino 1989.

[2] J. Aubry, idem, p. 9-10.

[3] G. Moioli, Temi Cristiani Maggiori, Ed. Glossa, Milano 1992, p. 115.

[4] G. Moioli, idem, p. 118.

[5] G. Moioli, idem, p. 120.

[6] Monache Agostiniane, Vita profonda, Dattiloscritto, Eremo di Lecceto – Siena, p. 5.

[7] [8] [9] [10] Cfr. A. Cencini, Per Amore, EDB 1995, p. 436 ss.