N.06
Novembre/Dicembre 1995

Per la persona umana è possibile la verginità?

L’interrogativo è legittimo, soprattutto oggi. Infatti, l’esperienza della corporeità e della sessualità sono certamente decisive per la coscienza contemporanea; l’intera nostra esistenza è profondamente segnata dalla struttura corporea, soprattutto le nostre relazioni o i nostri blocchi comunicativi. In una cultura come quella contemporanea non sembrerebbe esservi spazio per una scelta definitiva di vita verginale.

 

 

Dai tabù del passato alla “facilità” di oggi

Ci lasciamo alle spalle una visione prevalentemente negativa del corpo – prigione dell’anima, pesante zavorra materiale – mentre oggi il corpo è oggetto di cura talvolta ossessiva. Ci lasciamo alle spalle una considerazione della sessualità legata esclusivamente alla procreazione per una pratica sessuale sganciata da essa. Tale cambiamento comporta un valore e un pericolo. Il valore è la considerazione positiva del corpo, il pericolo è la facilità, la banalizzazione. L’estrema facilità dei rapporti può essere l’anticamera della superficialità. È bene che siano caduti i tabù, le ossessioni ma, come vedremo, “il corpo è più del mio corpo”. È una realtà ricca di molteplici significati da non banalizzare. Per questo occorre imparare a vivere la propria corporeità e sessualità come un impegno con se stessi, con l’altra persona, addirittura come apertura ad una dimensione di ulteriorità e trascendenza.

L’atteggiamento di disimpegno nei confronti di un’etica del corpo è oggi favorito da una mentalità che mette al primo posto il desiderio. Invece di desiderare ciò che è buono si finisce per considerare buono ciò che è desiderabile. Non a caso un ambito nel quale si fatica ad accettare le indicazioni morali della Chiesa è proprio quello della morale del corpo e della sessualità.

 

 

Io non ho un corpo, io sono il mio corpo

Con questa affermazione vogliamo ricordare l’unità profonda della persona umana che è tutt’intera spirituale – anima – e tutt’intera materiale – corpo. Per questo il corpo non può esser ridotto a cosa “usa e getta”: in gioco è sempre la persona tutt’intera. Il corpo “decide” della persona.

Si tratta qui di ricuperare l’insegnamento della tradizione ebraico-cristiana circa l’unità della persona, l’uomo come struttura unitaria. È noto che la Bibbia ha una visione profondamente unitaria dell’uomo. Questo non significa che la Bibbia ignori il fatto che l’uomo abbia diversi elementi costitutivi, ma l’intenzione fondamentale dei racconti biblici di creazione è quella di sottolineare che l’uomo, creato da Dio, è un tutto e le sue varie parti sono solo espressione di questa totalità. L’antropologia ebraico-cristiana ha dovuto misurarsi, nei primi secoli cristiani, con due posizioni pericolose perché compromettevano l’unità della persona. Si trattava della posizione neo-platonica e di quella manichea. Criticando il neo-platonismo e il suo primato dell’anima come frammento della sostanza divina, preesistente quindi all’unione con il corpo, il pensiero cristiano ha acquisito la certezza che l’anima è una realtà creata, non divina, non preesistente. Con la critica al manicheismo, la coscienza cristiana rifiuta l’esistenza di due principi uno buono e uno cattivo. La materia non è il male, principio negativo nel quale è imprigionata l’anima, frammento del divino. La coscienza cristiana rivendica la bontà del corpo e della realtà creata. Queste due idee – l’anima è realtà creata, non divina e il corpo è realtà positiva – sono il presupposto per concepire l’uomo come unità. Infatti, se l’anima fosse divina e preesistente, ogni unione con il corpo sarebbe accidentale. Così se il corpo fosse realtà cattiva sarebbe inconcepibile la sua creazione da parte di Dio e quindi sarebbe impossibile pensare l’uomo, creatura di Dio, come corporeo.

Il pensiero cristiano ha ricevuto dalla Rivelazione l’idea della creazione dell’uomo da parte di Dio con la conseguente verità circa la risurrezione del corpo. Facendo leva su questa certezza ha potuto superare neoplatonismo e manicheismo. Il dato specificamente cristiano è l’unità della persona, e questo a partire dall’atto creatore. Alla luce di questa comprensione ebraico-cristiana della corporeità, risulta infondato il sospetto nei confronti della verità cristiana sulla corporeità. La corporeità è, infatti, dimensione intrinsecamente costitutiva della persona come tale. Se la corporeità decide della persona, allora non si dà relazione corporea che non coinvolga la dignità personale, la promuova o la svilisca.

Possiamo così riassumere le ragioni offerte dalla Rivelazione per una positiva considerazione del corpo; tutto ciò che è uscito dal gesto creatore di Dio è buono; nel corpo di una donna ha preso carne il Figlio di Dio; il nostro corpo è destinato alla risurrezione. Per questo, giustamente, tutti i gesti contro il corpo non feriscono solo il corpo ma attentano alla dignità della persona. Per questo alcune ragazze hanno difeso fino alla morte l’integrità del loro corpo da chi voleva abusare di loro: non difendevano solo il loro corpo ma la loro persona, la dignità di donne e di credenti. Avevano ben capito le parole di Paolo: “Vi esorto a offrire i vostri corpi come culto spirituale” (Rm 12,1) e ancora: “Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo… O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo?” (1 Cor 6,15.19).

 

 

E i due saranno una cosa sola

Nell’esperienza dell’amore umano il mio io cerca nel tu la sua felicità: è la scoperta dell’apertura all’altro nella relazione. Io sono pienamente me stesso aprendomi all’altro, non chiudendomi nella solitudine sterile. Pensiamo all’adolescenza e alla maturazione del corpo maschile e femminile in parallelo con la maturazione dell’apertura all’altro/a nell’amicizia e nell’amore. Non aprirsi agli altri e restare chiusi in sé è narcisismo, sterile autocompiacimento.

 

 

Siate fecondi e moltiplicatevi…

Queste parole ci ricordano la responsabilità procreativa che accompagna la sessualità umana. L’esercizio della sessualità umana non può essere sganciato dalla sua responsabile intenzione procreativa. Tale funzione è stata in passato fortemente sottolineata mentre oggi si tende a considerare del tutto secondario tale compito procreativo. Bisogna ricordare, invece, che l’apertura alla trasmissione della vita è una caratteristica della sessualità umana.

 

 

Questo mistero è grande

Fin qui la nostra lettura dei molteplici linguaggi della corporeità ci ha portati a cogliere le funzioni personalizzante, relazionale, di trasmissione della vita proprie della struttura corporea. Ci resta un ultimo linguaggio della corporeità, linguaggio figurativo e simbolico: il corpo è davvero più del mio corpo.

Sappiamo, dalla storia delle religioni, come la corporeità sia sovente intesa come apertura al sacro. La tradizione ebraica che ha fortemente reagito alle religioni naturali e cosmiche espressive di una diffusa sacralità legata alla natura, ai ritmi biologici e alla procreazione, non ha però rinunciato ad istituire un nesso analogico tra l’esperienza dell’amore umano anche nella sua valenza sessuale e il divino. Soprattutto i profeti, pur così fermi nel rifiutare la compromissione di Dio con i riti della fecondità naturale, descrivono la relazione tra Dio e il popolo in termini sponsali. Osea, nella sua stessa vicenda coniugale, manifesta la fedeltà incrollabile di Dio al popolo infedele (cfr. 1,2; 3,1). Così anche Geremia (2,2) ed Ezechiele (16,23). Anche il Nuovo Testamento non è estraneo a questa lettura simbolica della corporeità e della sessualità umana. Gesù ricorre al linguaggio dei profeti quando rimprovera l’infedeltà con le parole: “Generazione malvagia e adultera” (Mt 12,39). Anche il Regno viene presentato col simbolismo delle nozze (Mt 22,1). Lo Sposo è Gesù stesso (Gv 3,29; 2Cor 11,2). Fondamentale il testo di Ef 5,22-33 e in particolare il v. 32: “Questo mistero (l’unione coniugale dell’uomo e della donna) è grande, io lo dico in rapporto a Cristo e alla Chiesa”. Paolo invita a vivere il vincolo sponsale secondo la stessa logica di dedizione incondizionata che Cristo rivela nel suo rapporto con la Chiesa. Prezioso è soprattutto l’uso del termine “mistero”. L’unione dell’uomo e della donna è mistero, ovvero partecipa del mistero che, secondo il linguaggio di Paolo, indica Cristo stesso. Quindi l’unione dell’uomo e della donna partecipa del mistero, ovvero del disegno di salvezza che in Cristo ci è stato rivelato. L’esperienza dell’amore umano con la sua valenza corporea, manifesta quindi una carica simbolica.

L’amore umano è rivelativo dell’amore di Dio; Dio vuole farsi conoscere anche attraverso la realtà dell’amore umano, descritta dai Profeti come tempo di fidanzamento e di sposalizio? Perché spesso il Regno di Dio è presentato attraverso l’immagine della festa di nozze? Non siamo di fronte solo a immagini suggestive. Il Cantico dei Cantici, descrizione affascinante dell’amore umano dell’uomo e della donna, è “parola di Dio”. Più profondamente queste immagini ci dicono che in ogni rapporto d’amore, amore dell’uomo per la donna, amore corporeo e sessuale, brilla il mistero stesso di Dio.

 

 

Il mio corpo è più del mio corpo

Abbiamo compiuto un itinerario attraverso i molteplici linguaggi del corpo scoprendo come il corpo ad un tempo decida della persona e sia più del corpo, abbia valore figurativo. Per conseguenza l’esperienza della verginità dovrà riconoscere questo valore della corporeità e insieme coglierne il valore figurativo, simbolico. L’educazione alla scelta della verginità dovrà muovere da un’adeguata educazione alla corporeità. È certo possibile, arrestandosi alla superficie di tale rivendicazione del corpo così caratteristica della cultura contemporanea, concludere ad un giudizio sostanzialmente edonistico. È questo, purtroppo, l’atteggiamento più diffuso e francamente “moralistico”. Ritengo, invece, sia possibile leggere nell’insistenza sulla dignità corporea un’esigenza più profonda che, con Emmanuel Mounier potremmo formulare così: “Il mio corpo è più del mio corpo”. La rivendicazione del proprio corpo, la sua gelosa custodia, potrebbe nascondere un valore prezioso ed eticamente rilevante: la paura di essere ridotti a pura corporeità. Positivamente, la difesa della dignità corporea potrebbe essere il richiamo ad un’integralità dell’amore, ove la vita del corpo non vuole consumarsi nella mera immediatezza, ma vuole esprimere un’universalità che la costituisce e la supera: attraverso la difesa del proprio corpo si esprimerebbe, allora, l’amore come esperienza di una relazione assoluta. Ha scritto Hegel: “Un animo puro non si vergogna dell’amore, ma si vergogna che sia incompleto; l’amore si rimprovera che vi sia ancora un potere, ancora un alcunché di ostile che ne impedisce il compimento”.

Se la verità della corporeità umana sta oltre il corpo e la sua immediata fruizione, se la verità dell’amore umano sta oltre la stessa relazione interpersonale allora possiamo meglio capire il valore della verginità per il Regno: esprimere questa tensione simbolica che è propria di ogni esperienza autentica di amore umano. Ogni forma di amore umano deve riconoscere la propria incompiutezza. In altre parole: qualsiasi forma di amore, se è vero amore, deve riconoscere il primato di Dio, perché ogni altra realtà non basta e lascia inquieto il cuore umano. E la verginità esprime con chiarezza, con radicalità questo primato di Dio e quindi la non conclusività di ogni esperienza umana. Se è vero che ogni autentica esperienza di amore umano dovrebbe custodire la dimensione simbolica dell’amore, la scelta della verginità esprime con la massima trasparenza tale apertura dell’amore umano.