N.06
Novembre/Dicembre 1995

La virtù dell’amore casto e il comportamento umano

Ci sono parole che nella coscienza e nel senso comune generano un immediato senso di disagio. Tra di esse sicuramente anche la castità. È esperienza comune la difficoltà a presentare in termini positivi, di valore, questa caratteristica dell’amore umano e cristiano. La sua declinazione ingenua nella coscienza suona nei termini negativi di astensione dai rapporti sessuali. Con molta difficoltà, e non senza il rischio di insuccesso, si riesce a far intuire come dietro all’amore casto si sveli la più ampia e promettente proposta di un amore che sgorghi dall’integralità della persona e che sia capace attraverso comportamenti giusti, di orientare questa forza non solo all’edificazione della persona stessa, ma ad un rapporto realmente interpersonale e come l’amore casto, vissuto nella vocazione verginale, non rappresenti un’effettiva mortificazione dell’amore, ma una sua riserva preziosa: quella capace di esprimersi nella forma della dedicazione di sé integrale ed indivisa ai valori del Regno.

Scopo di questo contributo è dunque quello di raggiungere una descrizione della castità come virtù della persona che si dispone all’amore e di definire alcuni comportamenti che coerentemente diano concretezza a questo amore. In conclusione si cercherà di definire alcuni comportamenti difformi dall’amore casto più nella prospettiva dell’educazione del soggetto che nella complessiva presentazione delle argomentazioni morali ad esso sottese.

 

 

 

Dal risentimento alla riabilitazione dell’amore casto

Attingendo agli studi di Max Scheler, Karol Wojtyla, nel suo saggio Amore e responsabilità ha tratteggiato la coscienza contemporanea di fronte alla castità nei termini del risentimento. “Il risentimento consiste in un falso atteggiamento nei confronti dei valori. È una mancanza di obiettività di giudizio e di valutazione, che ha origine nella debolezza della volontà […]. Per liberarsi soggettivamente dall’obbligo di fornire questo sforzo, per convincersi dell’inesistenza di questo valore, l’uomo ne riduce l’importanza, gli rifiuta il rispetto al quale esso in realtà ha diritto, arriva fino a vedervi un male, sebbene l’oggettività obblighi a vedervi un bene. Se c’è una virtù – continua Karol Wojtyla – che a causa del risentimento ha perso il proprio diritto di cittadinanza nell’anima, nella volontà, nel cuore dell’uomo, è proprio la castità. Ci si è dati da fare per costruire tutta un’argomentazione atta a dimostrare ch’essa non soltanto non è utile all’uomo, ma al contrario gli è nociva”[1].

Alla luce di queste limpide affermazioni la difficoltà a presentare la castità all’interno dei valori costitutivi del bene della sessualità e dell’amore umano va al di là dell’argomentazione o della chiarezza espositiva. Occorre più radicalmente riformulare la capacità di “sentire” il valore, distorta dal “risentimento” (più radicale di una certa disaffezione sociale) del valore. Il passaggio ad una considerazione positiva del valore della castità si situa allora nella fatica di rendere ragione di come la prima regola dell’amore umano sia quella dell’integrazione. La castità dice il valore della sessualità integrata nella pienezza della persona, cioè nella sua totalità di corpo e spirito. Castità dice il modo di amare in cui l’amore sa andare al di là della sua riduzione meccanicistica nella sfera dei bisogni da soddisfare e viene a situarsi nella sfera del desiderio dell’uomo di accedere ad una conoscenza ed una comprensione di sé nei termini del dono integrale della propria persona. Dentro questa dinamica del desiderio di possedere se stessi nei termini di dono sta nascosto tutto il valore positivo della castità.

L’amore umano è perennemente esposto alla logica della non autenticità, alla dinamica della finzione, al rischio del rendere l’altro (anche Dio) un oggetto da cui trarre amore e non un soggetto da raggiungere e da cui essere raggiunti nell’unico flusso di amore. Il valore della castità che risuona nella persona capace di comprendere e conoscere se stessa in un’ottica di autenticità, la chiama all’esodo radicale. L’esodo dal bisogno al desiderio, dal bisogno che si annulla attraverso la soddisfazione di esso, al desiderio che rappresenta il cammino incessante verso il valore. In questo senso la castità prima che nell’orizzonte del “dover essere” vive nella logica del desiderio del “poter essere”. Il valore della castità non è allora un limite, ma una prospettiva dalla quale aprire l’esperienza effettiva dell’amore a dimensioni sempre più ampie.

 

 

 

Le caratteristiche della virtù dell’amore casto

L’orizzonte del valore quando incontra la persona e quando, pur nella fatica della storia di vita, lascia risuonare il suo appello ad essere riconosciuto nelle situazioni concrete diventa virtù. In questa luce anche la castità non brilla semplicemente al di là dell’uomo con splendore della sua verità oggettiva, ma traluce anche nella coscienza personale, nel cuore della persona come virtù educabile ed insieme frutto di dono dello Spirito, capace non di accecare, ma pazientemente di illuminare le singole scelte e le tappe progressive della crescita nell’amore. “La virtù autentica della castità – ricorda Albert Plé in un saggio che non appare per nulla datato – è specificamente una capacità – d’amore. Esso abilita il virtuoso a regolare dal di dentro le proprie passioni carnali, che si trovano così assunte dallo spirito e felicemente integrate alla persona umana. Ciò ha per effetto di denarcisizzare i piaceri della carne, elevare all’oblatività dell’amore spirituale che va da persona a persona e non da corpo a corpo. La virtù della castità ha per effetto specifico non già di sopprimere i piaceri carnali, ma di ordinarli ad altre cose”[2]. Cerchiamo da questa definizione alcuni elementi centrali nella delimitazione della virtù della castità.

 

– La virtù dell’amore casto esprime una capacità propria dell’amore umano

La castità prima di essere un “codice” etico da prescrivere e da definire attraverso un comportamento è un “codice” antropologico che descrive la qualità dell’amore che realizza la persona. Non è parola che raggiunge l’uomo mortificandolo e reprimendolo, ma un invito che porta l’uomo ad appropriarsi dell’amore, a farne oggetto di pensieri e azioni che mirano alla sua realizzazione. È nella struttura antropologica questa “capacità”, anche se ha bisogno di essere risvegliata nella coscienza della persona attraverso un valido processo educativo. Tutto questo nella consapevolezza che “la realizzazione effettiva dei valori morali” nel campo della sessualità “non è solo frutto di libera decisione; è anche la conseguenza di un raggiunto equilibrio psicologico”[3]. Così dalla proclamazione del valore alla realizzazione virtuosa della persona il passaggio non è immediato, ma abbisogna di un’attenta considerazione del soggetto e della sua autentica umanità. La visione cristiana è chiamata ad evitare i pericolosi “cortocircuiti” di pensiero diffusi nella cultura per cui la castità poiché difficile e frutto di paziente conquista non solo non sia una capacità umana, ma pure una posizione radicalmente anti-umana.

 

– La virtù dell’amore casto regola dal di dentro la persona

La caratteristica della virtù è quella di dare consistenza e stabilità al soggetto, predisponendolo all’attenzione costante per un valore sul quale impegnare le proprie scelte. È caratteristica propria di ogni virtù guidare alla prontezza e alla gioia che scaturisce dalla scelta di un valore. Così anche per la castità. L’appropriazione di questa virtù consente di far partire dal di dentro le motivazioni e le modalità dell’amore e non dalla semplice posizione-proclamazione di regole cui adeguarsi. L’amore casto come principio interiore acquisito attraverso l’esercizio del ritorno del soggetto su di sé, con il confronto con i modelli riusciti e con la serena e realistica valutazione del proprio comportamento, diventa così una regola, una misura di perfezione e di bellezza. “Soltanto una sensibilità casta giunge a rendere operante la facoltà squisitamente umana di percepire come bellezza quella delle cose sensibili, come la bellezza del corpo umano, e a goderne per essa stessa […] senza confonderla né macchiarla con quella egoistica volontà di godere che annebbia ogni cosa”[4].

 

– Al di là del “narciso” dei sensi e dello spirito

Il compiacersi è frutto di infantilismo, di insufficiente maturità psicologica e morale. Non è della virtù della castità il compiacersi di un amore solamente sensuale che porta ad un esercizio esclusivamente corporeo o di un amore spiritualizzato che porta a rifuggire anche la dimensione corporale e piacevole dell’amore. La virtù dell’amore casto è quella realistica di una persona che sa guardare senza disincanto alla propria modalità di amare e che si sforza di chiarire a se stessa che l’amore è frutto dell’integrazione totale della persona nel corpo e nello spirito. Né la riduzione carnale despiritualizzata, né uno spiritualismo disincarnato fanno parte della castità perché occultano alla persona il vero punto di partenza per comprendere e gestire la propria sessualità e creano uno schermo protettivo che porta ad evitare la domanda “Chi ama e chi è raggiunto dall’amore?”, riducendola al “Cosa ama e cosa è raggiunto nell’amore”.

 

– Virtù della castità e oblatività

La virtù dell’amore casto presuppone la comprensione che l’amore, pur collocandosi nella dialettica del dare e del ricevere, non è tale se non è dono. Io do e ricevo qualcosa che è sempre e comunque dono. La dimensione oblativa esprime la tensione a fare dell’esperienza dell’amore la sorpresa di ogni giorno. È casto l’amore che rinuncia a ritornare su di sé o a piegare l’altro a sé. L’amore casto è relazione in cui il perdersi nell’altro implica il ritrovare la propria identità ed in cui la custodia di sé è vissuta non contro l’altro o malgrado l’altro, ma solo attraverso l’altro. Qualcosa di analogo – ad un livello di verità forse più profondo – lo ritroviamo anche in quella forma di amore casto che è la verginità. Essa implica una custodia di sé che non è esclusiva e narcisistica ricerca della propria perfezione, ma momento di ripiegamento perché la persona possa dispiegare nella sua globalità l’amore. La verginità non è vissuta come compiacimento della persona, ma solo davanti a Dio, l’altro, l’interlocutore privilegiato a cui donandomi richiedo che sia custode e garante del senso della mia vita.

 

– Ordinare ad altro; la verginità come forma particolare dell’amore casto

Abbiamo già introdotto così il tema della verginità come forma particolare dell’amore casto. Prerogativa dell’amore casto è quello di ordinare la sessualità ad un valore totale. La castità predispone a questa ordinazione dell’amore perché suscita il bisogno di mantenere l’autentica relazione con l’altro. Ma anche la castità è frutto della verginità perché in essa l’uomo accoglie il dono della vocazione e lo iscrive non nella sfera degli ideali, ma nella propria carne, nel proprio modo di amare. La verginità dice fin dove la castità può giungere: ordinando nel senso positivo la continenza sessuale verso l’oggetto di amore, Dio, il Bene della vita. La castità cela dentro di sé la dimensione trascendente dell’amore umano. Esso svela la sua incompiutezza, il suo limite fino a diventare, anche nella vita, un’invocazione a Dio. Nella verginità il senso trascendente dell’amore è portato alla sua visibilizzazione e non attende di rivelarsi nel limite della morte umana. Ma esso è prerogativa di ogni amore umano che rinuncia all’onnipotenza e alla sua mitizzazione. Tale invocazione nella scelta verginale è già storia effettiva, modo di essere che anticipa la definitiva chiamata all’amore attraverso la nostra morte e la nostra partecipazione alla pasqua di Gesù. Per questo si iscrive come radicale espressione della vocazione battesimale in cui già al cristiano è comunicata la partecipazione al mistero pasquale di Gesù e non ha bisogno di un nuovo sacramento.

 

– La virtù della castità sa accogliere il senso della rinuncia

Il differimento dell’esercizio della sessualità fino alla scelta matrimoniale, l’assicurare anche all’interno del matrimonio una regola di autenticità in ogni rapporto coniugale – che può portare anche all’astensione dei rapporti sessuali per alcuni periodi – così come la rinuncia definitiva di essi nella scelta verginale, non sono allora da leggere come “dei no”; ma come delle attenzioni che la formazione e il mantenimento della virtù della castità comporta. È questo il senso educativo e promuovente delle norme morali negative. Non sono comprensibili se in esse non traspare il “positivo” che intendono promuovere. L’educazione all’amore “comporta un progressivo dominio degli istinti inserito in una più generale padronanza di sé capace di affrontare i sacrifici e le rinunce che l’amore-donazione richiede. Tale momento negativo ha senso, tuttavia, soltanto in funzione della crescita positiva”[5].

 

 

 

I “comportamenti” dell’amore casto

Il passaggio dall’accoglienza del valore al vissuto virtuoso si traduce nei comportamenti che ne danno configurazione personale e storica. Tra di essi due acquistano una rilevanza particolare: il pudore e la continenza.

Il pudore esprime il desiderio della persona di creare un’area di rispetto tra sé e sé e tra sé e l’altro. Se l’uomo è mistero a sé e per l’altro, se la sfera dell’amore trova la sua fondazione ultima nell’interiorità della persona e trova il suo limite in un’esteriorizzazione non autentica di esso, attraverso l’oggettivizzazione di sé e dell’altro allora l’amore casto va alla ricerca del pudore come di un “sentimento di protezione dell’individuo contro la sfera totale del generale” (Max Scheler). Il legame tra il pudore e l’amore casto è efficacemente descritto da Karol Wojtyla: “Si evidenzia il profondo legame tra il fenomeno del pudore e la natura della persona. Questa è padrona di se stessa; nessuno, salvo Dio Creatore, può avere su di lei alcun diritto di proprietà. Essa si appartiene, ha il diritto di autodeterminazione, quindi nessuno può ledere la sua indipendenza. Nessuno può rendersi proprietario, a meno che non sia lei stessa ad acconsentirvi, donandosi per amore”[6]. È dunque del pudore mantenere la distanza tra sé e l’altro, vedendovi sempre in essa la dimensione di mistero che lascia trasparire una grandezza dell’amore più ampia delle sue visibilizzazioni e mai ferma alle sue realizzazioni storiche. L’amore casto è l’amore pudico, è l’amore mai pienamente espresso e che dunque può diventare sorpresa, dono perenne scambiato con l’altro. Anche nel vergine il pudore rappresenta non lo sdegnato rifuggire dagli oggetti e dagli scopi sessuali attraverso il disgusto, ma lo scoprire che il proprio amore resta continuamente “incompreso” dall’altro e pertanto va custodito e lasciato trasparire più che spiegato, oggettificato. Ma anche il suo rapporto con Dio non deve essere esposto alla spudoratezza che mercifica quello che deve restare un rapporto di puro dono. Anche nella storia di una vocazione l’imprevedibile, l’incompreso, il non ancora accaduto ha uno spazio più grande del già avvenuto e del previsto e prevedibile.

Se il pudore configura la misteriosità dell’amore casto, la continenza ne visibilizza in modo esterno la modalità di attuazione. In questo senso la continenza (intesa come espressione sintetica del retto comportamento sessuale) è insieme indice del raggiungimento della virtù dell’amore casto e cammino di scoperta di esso attraverso l’esercizio della volontà. Per questo è esposta alla difficoltà, alla lotta che sembra sdoppiare la persona tra la sua capacità di intuire il bene e di perseguirlo nelle scelte concrete. Un’eco di questa lotta interiore la troviamo descritta nella lettera di Paolo ai Romani; “C’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rm 7,18-19, cfr. tutto il brano 7,14-24). In questa luce occorre valutare molti comportamenti, specialmente giovanili, non come peccati contro la temperanza (la virtù entro cui si colloca la castità), ma contro la continenza.

Alla luce di queste osservazioni è comprensibile la descrizione di alcuni comportamenti che vanno contro la continenza, ma che possono affondare il loro senso in una difficile espressione dell’amore casto. Tutti questi comportamenti ledono la caratteristica fondamentale dell’amore umano; l’integrazione personale e la sua modalità di relazione oblativa. La pratica dell’autoerotismo, l’indulgere verso una sessualità fantastica e idealizzata come quella proposta nella pornografia, il sottile desiderio di piegare l’altro a sé e di fare violenza al proprio e altrui pudore, la spudoratezza nella ostentazione di sé, la seduzione vissuta come conquista dell’altro e dei suoi affetti sinceri sono espressioni esterne di un’insufficiente acquisizione della virtù della castità o di un infantilismo sessuale che per altro, la nostra società attraverso i suoi miti non contribuisce a sciogliere, ma sottilmente mantiene ed alimenta. Il giudizio sul proprio comportamento allora non va condotto solo davanti alla legge (che visibilizza esternamente e chiaramente la demarcazione del giusto e dello sbagliato), ma in un intreccio più complesso che raggiunge la sfera delle motivazioni e delle intenzioni del soggetto, la sua storia personale, l’orizzonte della sua decisione di vita. La strada educativa si muove così nella duplice direzione della proposta di comportamenti (forse alternativi rispetto alla cultura attuale) che portino a familiarizzare ad un atteggiamento, ad una virtù, quella dell’amore casto, all’interno della quale essi non appaiono nella loro coerenza e nella strada di una verifica continua di come la scelta del valore dell’amore casto vada alla ricerca di oggetti e scopi adeguati quali quelli segnalati dai comportamenti conformi al pudore e alla continenza.

La lucida presenza di Dio nella vita di una persona permette, infine, di articolare valore, virtù e comportamento alla luce più grande dell’esperienza del fascino. Essere affascinati dal Dio vivo, percepirne la sua presenza che penetra le fibre dell’essere, i dinamismi dell’anima, la fatica della ragione e lo sforzo della volontà di un uomo attraverso la Grazia consente di pensare alla realizzazione dell’amore casto come proclamazione del primato di Dio nella vita di ogni persona, sia di chi è chiamato alla vita verginale, come di chi è chiamato alla vita matrimoniale. Risuonano, allora, nel loro fascino e nella loro chiara verità le parole di Giovanni della Croce: “Quando tu per la prima volta posasti su di me il tuo sguardo, i tuoi occhi impressero su di me i segni della tua benevolenza, del tuo amore; soltanto così tu potesti accettare che io ricambiassi il tuo amore senza rendermi colpevole”.

 

 

 

 

 

 

Note

[1] K. WOJTYLA, Amore e responsabilità. Morale sessuale e vita interpersonale, Marietti, Casale Monferrato 1983, 106-7.

[2] A. PLÈ, Vita affettiva e castità, Paoline, Roma 1965, 240-1.

[3] G. PIANA, Orientamenti di etica sessuale, in T. Goffi-G. Piana (ed.), Corso di morale 2: Diakonia (Etica della persona), Queriniana, Brescia 1983, 278.

[4] J. PIEPER, Essere autentici. Servono le virtù?, Città Nuova, Roma 1993, 47.

[5] G. PIANA, op. cit., 317.

[6] K. WOJTYLA, op. Cit., 129.