N.06
Novembre/Dicembre 1995

Educare i giovani all’amore verginale: l’esperienza di un parroco

“…Tutto gira intorno al sesso / perché il sesso tira su / ma bisogna farlo spesso / non esistono i tabù. / Farlo spesso è naturale / e fa bene ad ogni età / non c’è niente di immorale / e beato chi lo fa. / Quando c’è sentimento / non c’è mai pentimento. Quando c’è sentimento / non c’è mai pentimento”.

 

Ritornavo, in macchina, da un campeggio in montagna con i giovani mentre l’autoradio ci bombardava in continuazione con questa canzone, incontenibile come un fiume in piena, perché la si ritrovava su tutti i canali con una frequenza ossessionante. Il ritmo accattivante e la musichetta molto orecchiabile, la rivestiva di quel manto di semplicità, che rende ancora più nocivo un certo messaggio, soprattutto perché abbassa le “difese immunitarie” della coscienza critica.

Il messaggio di questa canzone che ha accompagnato l’estate di tanti giovani, parla da sé dicendoci quale stima possa, oggi, trovare tra i giovani la verginità. “Eredità del passato da conservare tra i cimeli storici, ma che difficilmente può trovare spazio nella nostra società!”; “Un tabù da eliminare a tutti i costi!”; “Una minaccia all’integrità e alla felicità dell’uomo!”… Questo ed altro ancora è ciò che a volte si sente sulle labbra dei giovani e tutto ciò ci fa pensare che l’educazione alla verginità dovrà richiedere da parte dei formatori maggiore impegno, grande convinzione, enorme coraggio sapendo di remare contro corrente[1].

Sappiamo bene che non si educano i giovani alla virtù illuminando solo la loro mente, ma che è indispensabile oltre che offrire delle “palestre di vita”, presentare dei testimoni credibili che, con la loro vita, attraggano l’attenzione dei giovani stimolandoli all’imitazione. Allora, siamo chiamati in causa direttamente e dobbiamo chiederci, se non vogliamo limitarci a puntare l’indice accusatorio solo sugli altri, fino a che punto la vita dei consacrati ha contribuito a fare amare la verginità o, se al contrario, ne ha facilitato la fuga dalla nostra società. Un filosofo americano ricorda a tutti coloro che propongono dei valori che “Quello che tu sei grida così forte che mi impedisce di udire quello che tu dici” (Emerson). Non possiamo negare che ciò che si ascolta, a volte, dalla vita di alcune persone consacrate non sembra affatto favorire la stima della verginità, pseudo-casti che si mostrano costantemente irascibili, astiosi, nevrotici, intransigenti; che soffrono di manie, di durezza, di superbia, non rendono certamente un buon servizio alla verginità.

A loro si potrebbe applicare il proverbio indù che afferma: “L’ascetismo mal digerito rende l’animo iracondo”. Ne fanno una buona propaganda alla verginità coloro che se ne servono per vivere “da scapoli”, evitando in questo modo di affrontare con coraggio gli impegni della vita egli appelli all’amore[2]. Una verginità senza amore non sarebbe vera verginità, ma solo parvenza, un guscio vuoto e duro, senz’anima.

La verginità non deve mai apparire agli occhi dei giovani come un alibi per fuggire dagli impegni di responsabilità e di amore, ma deve essere presentata come un modo originale di realizzare “la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano, quella all’amore” (FC, 11)[3].

Insieme alla testimonianza dei consacrati si richiede agli educatori, che ritrovino il coraggio di parlare di questa virtù e di proporla in modo affascinante. Non devono avere paura di incoraggiare i giovani a volare ad alta quota, di ricordare loro che sono nati per essere delle aquile, e che perciò non possono accontentarsi di vivere da galline. La mancanza di proposte “audaci”, impegnative e faticose, ha contribuito non poco alla caduta, se non proprio al precipizio, del mondo giovanile nelle secche della mediocrità più rassicurante e, perciò, mortale.

Per questo l’educazione dei giovani alla verginità non potrà ridursi ad offrirle lo spazio necessario nei cammini formativi, ma deve partire dall’impegno di aiutare i giovani a scoprirne le radici profonde che possono garantirne una permanenza duratura nell’esistenza dei giovani e impedire che diventi un fiore “che al mattino fiorisce e la sera è già secco e avvizzito”.

È pertanto, indispensabile, prima ancora di decidere di far qualcosa per Dio, accompagnare i giovani nell’esperienza esaltante della scoperta di essere amati da sempre e per sempre da Lui! Il desiderio di amare i fratelli e di donarsi nell’apostolato, che a volte sembra essere l’unica preoccupazione di tanti giovani, e di non pochi educatori, se non nasce nel terreno fecondo della gratitudine finisce per essere puro volontarismo e avrebbe vita breve.

All’inizio d’una opzione celibataria non può che esserci la gratitudine, altrimenti anche la verginità sarà vista come espressione di eroicità e non anzitutto come dono di Dio; sarà vissuta con vittimismo e non con quella serena gioia, segno di chi ha trovato un “gran tesoro” e, per questo e solo in seguito a questa scoperta, lascia tutto e si dona al Signore.

L’educatore, allora, con pazienza certosina, dovrà accompagnare il giovane nella scoperta di quelle pagine miniate che il Signore, con il suo Amore, ha scritto e continua a scrivere nella sua vita direttamente o indirettamente, servendosi talora delle mani tremolanti di qualche fratello.

Deve essere chiaro, prima nell’educatore e poi nel giovane, che non ci si può consacrare al Signore solo perché si sente il “bisogno” di fare qualcosa per i fratelli e neppure perché si vorrebbe “far felice Dio”; ma si giunge a donarsi totalmente a Lui perché questo è l’unico modo per dirgli tutta la nostra gioia, di sentirci avvolti gratuitamente e fedelmente dal Suo Amore. Perciò, una verginità che non impara a saziarsi di contemplazione, diventa prima o poi peso insopportabile o eroismo impossibile o vittimismo ingrato. L’impegno a vivere nella verginità deve essere, dunque, proposto come risposta all’Amore di Dio.

Un amore che Dio ha reso visibile ai nostri occhi nel mistero della Croce del Cristo. Su quel legno il Figlio di Dio ha scritto con il suo sangue una lettera d’amore per ogni uomo, di ogni tempo. Chi ha la gioia di leggere questa proposta d’amore non può fare a meno di esclamare con S. Paolo: “questa vita che vivo nella carne la vivo nella fede, per Gesù Cristo che mi ha amato e ha dato se stesso per me”.

Sarebbe una pazzia pensare che un giovane possa consacrarsi nel celibato senza aver almeno iniziato a percepire il fascino della persona di Cristo e a vivere la sua amicizia[4].

La scelta vocazionale, e prima ancora la scelta di fede, non può essere assolutamente il risultato di un bilancio preventivo con cui ci venga assicurato che il guadagno sarà certamente più consistente delle perdite. Non si cammina dietro Cristo perché si conosce alla perfezione la strada, ma si accetta di avventurarsi anche per strade impervie e sconosciute, perché ci si fida di Colui che ha detto “Io sono la Via” e che “è morto per noi lasciandoci un esempio, perché noi ne seguiamo le orme”.

La scelta della verginità si traduce perciò nel seguire Cristo nella via della perfetta carità, nella consapevolezza che “chi segue Cristo, l’uomo perfetto, diviene anche lui più uomo”.

Il puntare più decisamente nei cammini formativi sull’aiutare i giovani a “lasciarsi afferrare da Cristo”, potrà certamente contribuire a far scomparire in loro il bisogno di “fare molte esperienze”, nella convinzione che quanto più grande è il loro numero tanto più solida sarà la loro decisione.

Questa convinzione porta molti giovani, a volte non senza il consenso degli educatori, a vivere una specie di “zapping” vocazionale: continuamente alla “ricerca” della loro vocazione, non si lasciano sfuggire nessuna delle esperienze vocazionali, anche le più disparate, di cui hanno notizia, nella speranza di trovare in questo modo “la strada giusta”.

Questo atteggiamento, oltre che a tradire l’idea di vocazione (non si sceglie una vocazione, ma si è scelti per una vocazione! Così come un uomo non si sposa con una donna dopo che hai conosciuto tutte le donne di questa terra, ma solo perché si sente da lei “conquistato”), crea nell’animo dei giovani un disorientamento che li rende eternamente indecisi, molto volubili e poco sereni. E il numero dei giovani “in perenne ricerca vocazionale” si allunga ogni giorno di più!

Se la verginità è anzitutto un dono che viene da Dio, che non tutti possono capire, è indispensabile aiutare i giovani ad accoglierlo sapendo di “chi si sono fidati”. Ogni chiamato deve poter affermare con Pietro: “Sulla tua parola getterò le mie reti!”. Sì, proprio lì, dove umanamente si è sperimentato la propria povertà e la propria pochezza, sì, proprio lì, si deve ritornare, non più fidandosi delle proprie forze, ma della Sua Parola.

Nel cammino di educazione alla verginità, come di quello alla fede, il giovane non avanzerà più speditamente se cercherà di “nascondere” a se stesso la propria debolezza o fragilità. Al contrario, il più delle volte, è proprio quando ci si accorge di camminare sulle acque e di non avere più nulla di sicuro sotto i propri piedi, che ci si appare all’invocazione e alla fede.

L’eccessiva preoccupazione da parte di alcuni educatori di “portare in braccio” i giovani quando questi si incontrano con le prove e gli ostacoli della vita non può che creare gente debole e un po’ smidollata, incapace della minima rinuncia ed estremamente vulnerabile in campo affettivo. Per questo il formatore deve assolutamente evitare di assumere il ruolo di “bagnino” (sempre pronto a salvare il giovane da cattive acque) o quello di “angelo consolatore” (sempre disponibile ad asciugare le lacrime del giovane, ma poco preoccupato di non farlo piangere più); sono invece, indispensabili veri “educatori”, capaci cioè, di “tirar fuori” dal giovane tutte quelle ricchezze e potenzialità sconosciute, ma presenti.

Educatori coraggiosi, che non abbiano paura di mettere “in crisi” (= in condizione di crescita) i giovani loro affidati, seguendo, così, l’esempio di Gesù che a volte provocava i suoi apostoli, con domande inquietanti, per renderli più forti nella fede: “Che cercate?”; “Volete andarvene anche voi?” “Chi dite che io sia?”; “Di che stavate parlando lungo la via?”; “Mi ami tu più di costoro?”…

Solo l’educatore che si preoccupa di allenare il giovane al “dono di sé”[5] e non, certamente, quello che correrà innanzi per eliminare ogni ostacolo e fatica sul suo cammino di crescita, solo costui potrà porre le basi perché il dono della verginità sia accolto e vissuto con fedeltà.

Per questo si richiede che ogni formatore prepari una tabella di marcia per poter accompagnare personalmente ogni giovane in un itinerario di crescita all’amore verginale. Pur restando fedeli alle esigenze e ai tempi di maturazione di ciascun giovane è indispensabile che, nel cammino formativo, non si salti nessuna delle seguenti tappe[6].

 

 

– Conoscenza di sé e del proprio cuore

Non si può fare a meno di aiutare il giovane ad entrare nel proprio animo per prendere coscienza dei propri sentimenti, e analizzarli e autocriticarli senza vergogna. Per far ciò si richiede che il giovane impari ad essere estremamente sincero con se stesso, con gli altri, in modo particolare con la sua guida spirituale, e con Dio. La mancanza di sincerità nei confronti della propria coscienza è un pessimo segnale indicatore per la vita futura del celibe, perché favorisce situazioni di compromesso, accontentandosi d’un criterio morale minimalista. Solo la sincerità può impedire al giovane di conservare “zone oscure” nella propria intimità dove è impedito al Vangelo di penetrare e di guidare con la sua luce le scelte di vita.

 

– Libertà affettiva e serenità di rapporti con gli altri.

La libertà affettiva si potrà raggiungere se il giovane, soprattutto quello che si lamenta continuamente perché incompreso da tutti e da tutti emarginato, sarà aiutato a non instaurare relazioni motivate dal bisogno di sentirsi amato e desiderato da qualcuno, cercando in questi legami affettivi dei “puntelli” che lo sostengano nella vita. La libertà affettiva è sostenuta, al contrario, dalla consapevolezza di sentirsi amato da Qualcuno di amore eterno e dalla continua scoperta di esser stato reso capace di amare con amore gratuito i fratelli. Di grande aiuto potranno essere, a tale proposito, le sane e vere amicizie con i propri pari.

 

– Esperienza di Dio.

Se la verginità è, innanzitutto, un dono di Dio non si può che alimentarlo alla sua sorgente, cioè nel rapporto personale e quotidiano con Dio. Un rapporto che si concretizza nell’ascolto della sua Parola, che “giudica i pensieri e sentimenti che sono nel cuore di ogni uomo”, e per questo conduce alla costante conversione e limpidezza di vita. Una conversione che si fortifica con la frequente assiduità al sacramento della Riconciliazione, da dove il giovane, che vuole conservare l’Amore donatogli, è spinto ad accostarsi all’Eucaristia, “cattedra” dalla quale il Maestro ripete sempre la stessa lezione sull’amore gratuito, linfa di una vita verginale: “Prendete e mangiate: questo è il Corpo; prendete e bevetene questo è il mio Sangue”. Ma il giovane non sarà mai congedato dal Maestro senza aver ricevuto direttamente da Lui i compiti da svolgere a casa, nel servizio umile e quotidiano nei confronti dei fratelli che Egli fa incontrare sul cammino: “Fate questo in memoria di me!”.

 

– Solitudine.

Ogni vocazione porta con sé l’invito ad entrare nella solitudine, che non significa misantropia, ma solo capacità di saper star da solo: è la richiesta fatta da Gesù ai suoi chiamati di lasciare il padre, la madre, il fratello e la sorella… Questa solitudine dovrà essere vissuta dal giovane non come povertà o mancanza di qualcosa di indispensabile, ma, al contrario, come capacità di non diventare mai delle “calamite” che attraggono a sé qualunque cosa entri nel suo giro d’azione. Il giovane dovrà essere aiutato, perché impari a far proprio, soprattutto nell’apostolato, lo stile d’agire di Giovanni il Battista: “è necessario che io diminuisca e che lui cresca”. Solo quel giovane che saprà stare in piedi da solo sarà capace, in seguito, di aiutare gli altri a camminare con i propri piedi; altrimenti formerà un “confraternita di zoppicanti” bisognosi di appoggiarsi gli uni agli altri, sempre dipendenti gli uni dagli altri. Solo questo tipo di solitudine è capace di generare comunione autentica; manifestando così il significato profondo dell’amore verginale che, contro ogni idea di sterilità, si presenta capace veramente di generare alla vita, seguendo l’esempio di Cristo e della Vergine-Madre[7].

“La legge dell’amore è di consentire di camminare a colui che non ha piedi” (Galal al Din al Rumi).

 

 

 

 

 

 

Note

[1] “Si deve infatti registrare una situazione sociale e culturale diffusa che banalizza in larga parte la sessualità umana, perché la interpreta e la vive in modo riduttivo e impoverito, collegandola unicamente al corpo e al piacere egoistico….In questo contesto si fa più difficile, ma diventa più urgente, un’educazione alla sessualità che sia veramente e pienamente personale e che, pertanto, faccia posto alla stima e all’amore per la castità” (PdV, 44).

[2] “Poiché non sono dell’uomo, credono di essere di Dio. Poiché non amano alcuno, credono di amare Dio” (Cfr. Péguy).

[3] “L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente” (Rft, 10).

[4] “In vista dell’impegno celibatario, la maturità affettiva deve saper includere, all’interno di rapporti umani di serena amicizia e di profonda fraternità, un grande amore, vivo e personale, nei riguardi di Gesù Cristo” (PdV, 44).

[5] “L’essere umano ci appare come l’unica realtà creata che si realizza in pienezza nel dono sincero di sé e che la sua vita ha senso solo nell’amore” (GS, 24).

[6] Cfr. A. CENCINI, Nell’amore, Bologna 1995, pp. 88-94.

[7] “La formazione spirituale di chi è chiamato a vivere il celibato deve riservare un’attenzione particolare a preparare il futuro sacerdote a conoscere, stimare, amare e vivere il celibato nella sua vera natura e nelle sue vere finalità, quindi nelle sue motivazioni evangeliche, spirituali e pastorali. Presupposto e contenuto di questa preparazione è la virtù della castità, che qualifica tutte le relazioni umane e che conduce a sperimentare e a manifestare… un amore sincero, umano, fraterno, personale e capace di sacrifici, sull’esempio di Cristo, verso tutti e verso ciascuno” (PdV, 50).