Equilibristi e funamboli o camminatori dai piedi per terra?
Il quadro di August Macke, scelto come cover per questo numero di «Vocazioni», ci presenta l’immagine di un equilibrista funambolico, come quelli che talvolta abbiamo ammirato nelle loro abilità circensi o come quei ginnasti capaci di esercizi decisamente fuori dalla nostra portata. In una ideale metafora la precarietà e la stabilità non si elidono, ma si integrano a vicenda: ogni cammino richiede un margine di instabilità e ogni equilibrio non è mai statico, ma richiede la dinamicità di un movimento coordinato.
A. Sentieri per un cammino comune
Vorrei focalizzare tre ambiti di riflessione e di operatività pastorale, emersi con chiarezza nell’incontro di formazione con i direttori CDV a Sassone. Essi sono pure sentieri concreti, sui quali orientare il cammino della pastorale vocazionale delle nostre chiese locali (e in particolare dei CDV), avendo come sfondo gli “orientamenti educativi” che i Vescovi ci proporranno per il prossimo decennio.
1- La formazione
Ogni servizio di animazione e coordinamento vocazionale sarà tanto più efficace – anche se ciò non significa necessariamente efficiente e produttivo di risultati immediati… – nella misura in cui saremo tutti coinvolti in un cammino di formazione che abbia continuità e radici profonde. Eppure tutto ciò potrebbe non bastare, se non saremo persone innamorate della nostra Vocazione e insieme capaci di cogliere in profondità la bellezza e l’originalità di tutte le altre Vocazioni, che formano uno scrigno prezioso di ricchezza per tutta la Chiesa.
Occorre fare scorta, nella nostra bisaccia del pellegrino, di:
– umiltà: è la consapevolezza della propria povertà e del proprio limite;
– gratuità: per fare costantemente memoria a noi stessi che “tutto è grazia”;
– passione: come full immersion nella promessa che, come afferma il grande Fëdor M. Dostoevskij (1821-1881) nel suo romanzo L’idiota, «Non la forza, ma la bellezza, quella vera, salverà il mondo».
2- La testimonianza
Ci sono molte risorse umane e spirituali che rimangono spesso inespresse nell’ambito vocazionale e gli stessi presbiteri e consacrati, animatori e animatrici vocazionali, non ne hanno piena consapevolezza: ciò richiede di fare scorta di una buona riserva di fiducia.
In un mondo segnato dalle enfatizzazioni mediatiche, siamo chiamati a narrare ai giovani la parte più significativa e profonda della nostra esperienza di vita e di incontro con il Signore. La nostra testimonianza sarà davvero persuasiva se, con gioia e verità, saprà raccontare la bellezza, lo stupore della vita e la meraviglia donata perché siamo innamorati di Dio e della sua scelta.
Questo è un ulteriore passaggio educativo da compiere: l’educazione alle scelte di vita.
3- La relazione
Uno dei grandi nodi della sfida educativa è la perdita di punti di riferimento: si diffonde sempre più un senso di smarrimento e di amnesia nei confronti di ciò che può davvero essere significativo e che ci riporta alle radici della nostra identità. In questo c’è un altro passaggio di vita e di scelte educative: la forza della relazione! Essa si pone anzitutto come scoperta di “volti”: è la logica della alterità.
C’è una particolare forma di relazione che può divenire stimolo e provocazione preziosa da cogliere: una presenza che si fa ascolto, accoglienza, proposta, disponibilità, entrando in quei contesti di vita dove le persone vivono e si ritrovano.
- Una relazione che tocca le fibre profonde del cuore e richiede molta gratuità.
- Una relazione che sa farsi stile di vita, denso di preghiera e di impegno nel dono di sé.
- Una relazione intrisa di prossimità verso chi ha bisogno del ministero della consolazione, per coloro che sono sfiduciati, smarriti e sentono forte il bisogno di una compagnia.
B. I segni della fragilità familiare…
Questo aspetto costituisce l’ambito specifico di riflessione e proposta del numero attuale di «Vocazioni».
Essere coppia e famiglia, oggi, significa cogliere le dinamiche dell’amore come una realtà fragile, che va trattata con delicatezza. Per questo è così difficile parlare dell’amore, nella sua straordinaria ricchezza e complessità: è come penetrare nel nocciolo dell’esistenza, fare irruzione nel mistero; e l’amore si nutre di pudore e segretezza.
O l’Amore uccide l’Io o l’Io ucciderà l’Amore. Ciò significa:
– trovarsi al capezzale di un amore fragile, vulnerabile e ferito;
– non lasciarsi imbrigliare da alcune paure o rischi o miti della vita insieme;
– superare la paura di amare perché ti cambia la vita e domanda di svuotarsi per ricevere con pienezza l’altro/a;
– vincere la paura dell’intimità perché essa ti svela per ciò che sei e mette a nudo la tua identità con le proprie maschere e palandrane difensive;
– accettare la sfida della fedeltà, in una cultura in cui si sta insieme “finché piace e finché dura”;
– non pensare che la vita a due (e la vita familiare poi) sia legata al mito fiabesco del “vissero per sempre felici e contenti”: essa richiede il suo prezzo di sacrificio, di rinuncia e sofferenza da pagare;
– accettare liberamente la responsabilità di farsi carico dell’altro/a, sapendo che non è facile, ma è esaltante custodire il cuore altrui;
– non temere la noia della ripetitività, perché la fedeltà è creatività e non “ritualismo” di bassa lega; perché l’amore è festa e novità e la bellezza non è mai eguale a se stessa.
Dice il filosofo e scrittore francese Gustave Thibon (1903 – 2001): «Dinanzi all’amore tutto è importante e niente è importante. Il più umile dono lo rapisce e tutto l’oro del mondo non potrebbe comprarlo. La più piccola offesa lo ferisce, mentre perdona ogni peccato. Il più lieve soffio di vento può farlo appassire, mentre il più violento uragano non riesce a sradicarlo. L’amore è immortale ed è più vulnerabile di tutto ciò che muore. Risiede al di là del bene e del male e poi impone i doveri più ferrei. L’amore vive di nulla e insieme esige tutto».