N.02
Marzo/Aprile 2021

Chi è inesperto venga qui! (Pr 9,4)

Il nono capitolo del libro di Proverbi (Mishlé) si apre con un invito che Sapienza (Chokmà), nelle vesti di una donna, tramite le sue ancelle rivolge a due categorie di uomini, ‘l’inesperto’ (peti) e ‘colui che non ha senno’ (ḥaser lev). La personificazione della sapienza e l’allegoria del banchetto sono espedienti poetici adottati per dare concretezza all’insegnamento che l’autore intende trasmettere. Alla fine del capitolo nono, si trova una personificazione di senso opposto a quella di Sapienza, quella di Donna Stoltezza (Eshet kᵉsilut) che, tra coloro che vanno per la retta via, cerca proprio l’inesperto e colui che non ha senno, offrendo il piacere che nasce dalle ‘acque rubate’ e ‘dal pane preso di nascosto’. 

In Proverbi 8,1-3, troviamo una enumerazione dei luoghi pubblici dove Sapienza si reca a cercare i potenziali destinatari dei suoi insegnamenti: le vie e le piazze, le porte della città e gli usci delle case. Si tratta di luoghi che evocano una folla eterogenea, costituita da tutti coloro che abitano nello spazio urbano, senza alcuna distinzione sociale o culturale. Anche Donna Stoltezza cerca di attirare a sé l’‘inesperto’ e ‘chi non ha senno’, stando presso l’uscio della propria casa e nei luoghi alti della città, da dove abbraccia con lo sguardo coloro che deviano con facilità dalla retta via (cf .9,14). In un altro passo che precede di poco il capitolo nono (7, 6-27), troviamo un esempio del concetto che Donna Stoltezza esprime in astratto: un giovanetto, anche questo definito privo di senno’, in mezzo a un gruppo di ‘inesperti’, incontra per le strade una donna sposata e di bell’aspetto che lo invita nella propria dimora con la promessa di donargli una notte di amore profittando dell’assenza dello sposo. Allo stesso modo in cui Donna Stoltezza offre beni rubati, anche questa donna offre al giovane un amore illecito; e questi, proprio perché privo della capacità di discernimento, accoglie l’invito e commette un furto ai danni del legittimo sposo, per poi pagare le conseguenze della sprovvedutezza con la sua rovina.  

Secondo alcuni interpreti, l’‘inesperto’ (peti) è colui che non conosce affatto i principi della saggezza e si lascia sedurre per mancanza di accortezza. ‘Chi non ha senno’ (ḥaser lev), invece è colui che, pur conoscendo i principi della sapienza, non ha la forza di controllare gli istinti ad essa contrari. Entrambi sono affini allo ‘stolto’ (kᵉsil), da cui prende il nome Donna Stoltezza/Eshet kᵉsilut. Tutte e tre le  categorie rimandano a persone sprovvedute, a cui manca l’accortezza o la volontà per distinguere il bene dal male. 

Gli episodi che attraverso l’allegoria o l’esemplarità offrono insegnamenti etici non sarebbero molto diversi da quelli contenuti in altre opere didascaliche che appartengono alla letteratura del Vicino Oriente se non fosse diverso il contesto in cui la Sapienza opera e che ci viene richiamato da una sentenza di Proverbi 9,10: Il timore di Dio (yrat Ha Shem) è all’origine della sapienza. Questa massima, ripetuta più volte nei Ketuvim (Agiografi), fa sì che il libro dei Proverbi non sia solo una raccolta di insegnamenti che delineano un orizzonte laico della sapienza, ma anche un invito a risalire alla fonte da cui la Sapienza trae origine. In Proverbi 1, 22 Sapienza dice: “Il Signore mi creò all’inizio del suo procedere”. In questo inizio, in cui l’atto creativo si disvela in un progressivo ordinarsi della realtà per opera divina, la Sapienza appare come prima creatura, vede l’ordine emergere come conseguenza dei limiti che il Creatore impone agli elementi naturali (8,29). Come un primo allievo, ella apprende dal maestro (Io ero presso di Lui come un allievo, 8,30) e riproduce questa azione ordinatrice sulla società umana; non si rivolge solo a chi sta come un guardiano assiduo agli stipiti dei miei ingressi (8,34), ma scende nelle piazze, nelle strade e nei crocicchi dove si trova l’umanità tutta, invita gli inesperti e gli ingenui alla sua mensa 

I suoi insegnamenti non contengono qualcosa di misterioso, non sono riservati a pochi eletti, ma in primo luogo invitano ad acquisire la consapevolezza che consenta all’uomo di riconoscere dentro di sé il vuoto da colmare o l’eccesso da sfrondare. Nel profondo legame che vi è tra amore, timore e sapere, Sapienza imprime nelle coscienze l’origine divina e le chiama all’etica della responsabilità.