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La risposta vera

Di fronte alla domanda del perché di alcune scelte sembra non esserci risposta razionale possibile. Perché sacerdote? Perché innamorarsi proprio di una determinata persona? Perché la clausura?

A volte le scelte che compiamo sembrano semplicemente le uniche sensate da compiere in un certo momento.

Henri J.M. Nouwen – nel suo libro Ho ascoltato il silenzio – tocca questo tema partendo dall’aneddoto di un equilibrista sorpreso a camminare su un filo teso fra due torri alle 7.30 del mattino.

 

 

«Se vedo tre arance le debbo lanciare in aria, se vedo due torri debbo camminare sul filo». Queste notevoli dichiarazioni appartengono all’equilibrista Philippe Petit, in risposta alle domande dei poliziotti che volevano sapere perché mai avesse camminato alle 7 e 50 del mattino su un filo teso per mezzo di un arco fra le due torri del New York World Trade Center. Philippe, quando aveva visto le due cuspidi di Notre Dame a Parigi, aveva fatto lo stesso. L’art pour l’art, è la filosofia di questo artista funambolo.

Oggi ho pensato ogni tanto a Philippe Petit, quest’uomo magnifico. La sua risposta alla polizia vale un Perù e merita una lunga meditazione. Noi vogliamo sempre una risposta alle domande impossibili. «Perché ami lei»? Qualsiasi risposta a una domanda simile, di solito, è ridicola. Perché è bella, intelligente, perché ha una bollicina sul naso? Risposte che non hanno né capo né coda. «Perché ti sei fatto prete»? Forse perché ami Dio, ti piace predicare o perché non ti piacciono le donne? «Perché ti sei fatto frate»? Perché ti piace il silenzio, oppure infornare il pane senza seccature? Queste domande non hanno risposta.

Quando chiesero a Philippe Petit perché voleva camminare su una cordicella tesa fra le due torri più alte di New York City, tutti pensarono che lo volesse fare per denaro, per pubblicità, per la fama. Invece, egli rispose: «Se vedo tre arance debbo lanciarle in aria, se vedo due torri debbo camminare sul filo».

Non crediamo alla risposta più significativa. Pensiamo che quell’uomo sia matto. In realtà, Philippe fu portato all’ospedale psichiatrico per esami, ma si scoprì che godeva di ottima salute. «Normale ed esuberante», dice il giornale.

La risposta vera è la sua. «Perché ami lei»? «Appena l’ho vista mi sono innamorato di lei». «Perché sei un sacerdote»? «Perché debbo esserlo». «Perché preghi»? «Perché quando vedo Dio debbo pregare». C’è un comando interiore, un impulso interno, una chiamata dal di dentro che risponde a tutte le domande inspiegabili. Nessuno, chiedendo ad un monaco perché è entrato nella vita religiosa, otterrà mai una risposta soddisfacente. Neppure i bambini ci danno una spiegazione quando chiediamo loro: «Perché giuochi a palla»? Sanno che una risposta non esiste, eccetto questa: «Quando vedo una palla debbo giuocare».

I poliziotti che avevano arrestato Philippe sembra lo abbiano capito perché hanno lasciato cadere l’accusa di condotta abusiva e turbolenta in cambio della promessa, da parte di Philippe, di eseguire le sue destrezze aeree per i bambini del Central Park. Almeno questa conclusione ha riportato un po’ di vera umanità in tutta la faccenda. Nel frattempo, continuo a dirmi: «Se vedo tre arance debbo lanciarle, se vedo due torri debbo camminare sul filo».

 

(Henri J.M. Nouwen, Ho ascoltato il silenzio – Diario da un Monastero Trappista, Queriniana 1979, pp. 108-109).