Le moltiplicazioni dell’amore
“To mama l’è fortunada, tre fiole. Chissà cossa farò mi”, dice zia Camilla dalla cucina, in modo inconsulto, senza un prima.
“Non ti preoccupare zia, io ci sarò”, rispondo.
Mariapia Veladiano, “Adesso che sei qui”, Guanda 2021
Per crescere un bambino ci vuole un villaggio, dice il detto africano spesso citato da papa Francesco, ma anche per prendersi cura dei più fragili serve una comunità attenta e presente, una comunità che cura. “L’esordio non è quando la malattia si manifesta al mondo. È quando il mondo la vede”. Così, in un giorno di sole, la zia Camilla va a passeggio sulla piazza: addosso ha il cappotto, i guanti, il cappello, la sciarpa. Elegantissima, come sempre; del resto la chiamano la Regina, ma forse si è fatta un po’ distratta: in fondo, è agosto, non avrà caldo? Il tam tam delle finestre si attiva e la nipote Andreina corre: le parla con attenzione e dolcezza, ricompone il suo mondo prima che la gente intorno possa dire cose mortificanti. “Quando capita non c’è bisogno di avvertire nessuno. C’è una violenza scaramantica nella velocità con cui una notizia di questo tipo si propaga”. Zia Camilla la conoscono tutti, è una donna buona, brava in tutto, generosa. E ha l’Alzheimer. La malattia è stigma e la notizia corre, cominciano le telefonate di chi non si è mai fatto sentire; arrivano l’invadenza, la saccenza, i consigli non richiesti: “Tutti sanno tutto e anche molto di più già prima che tu abbia potuto attraversare lo stordimento”. Ai parenti che vogliono mandarla in un istituto, Andreina si oppone: la zia l’ha cresciuta come e più di una figlia e l’ha amata di “amore purissimo”. Ora è il momento di restituire l’amore ricevuto, di prendersi in carico chi le ha voluto così bene, con altrettanta leggerezza e profondità. Insieme a lei, un ventaglio di donne, qualcuna arrivata da molto lontano, ciascuna col suo dolore, che esercitano al massimo grado il dono del prendersi cura con pazienza e rispetto. In mezzo scorre la vita, passata, presente e futura, tenuta viva dalla parola, dai gesti, dall’ascolto. Non c’è abbandono né solitudine, ma la serenità solidale di una comunità operosa che vuole sconfiggere la paura con l’allegria e l’aiuto reciproco (“Zia Camilla ci ha permesso di diventare tutti migliori”), grazie a una rete di relazioni che curano. Una realtà che, come ammette la voce narrante, è forse più facile trovare in un piccolo paese piuttosto che in una grande città, dove gli spazi sono stretti e i rapporti umani rarefatti. Ma nel dramma non edulcorato della malattia inesorabile, è lo sguardo a marcare la differenza: “Siamo fragilissimi. Viviamo solo se ci fidiamo e ci aiutiamo”.