N.03
Maggio/Giugno 1994

Il fidanzamento: tempo di discernimento vocazionale

Quando vengo “chiamato” per scrivere un articolo mi domando subito chi mai lo potrà leggere. E me lo domando per scrupolo, così da riuscire a “discernere” quali spunti, tra i tanti, scegliere. Anche in questa occasione me lo domando e credo di non essere lontano dalla realtà se ipotizzo che a leggere l’articolo saranno, forse, alcuni fidanzati o coniugi, e molti operatori vocazionali. E proprio in ragione di tale ipotesi scelgo di sorvolare sui contenuti generali analoghi per ogni tipo di vocazione per soffermarmi su alcune sottolineature particolari da mediare, da parte degli operatori, nelle varie attività di pastorale vocazionale dei futuri coniugi e anche delle famiglie.

 

 

La difficile comprensione del “dono”

La prima sottolineatura mi viene offerta sia dal contatto quasi trentennale con gruppi di fidanzati (contatto che mi permette di rilevare le loro aspettative di fondare un matrimonio sereno e riuscito) sia dalla più recente esperienza di consultorio (esperienza che mi permette di verificare come mai, purtroppo, tali aspettative sono andate talvolta deluse). La sottolineatura è la seguente: tante coppie di fidanzati, durante il tempo del fidanzamento, faticano ad interiorizzare veramente e profondamente che la realtà del loro “essere coppia” è scaturita da un “incontro” configurabile e interpretabile come “dono”, come “regalo esistenziale”. Infatti nessuno dei due ha fatto nulla perché il partner esistesse così come nessuno dei due ha il merito di trovarselo davanti cresciuto e pronto per l’avventura dell’amore.

Riuscire, quindi, per i due a “discernere” che il loro attuale essere coppia è un regalo “vocazionale”, iniziare a saper godere di tale regalo, imparare a dire “grazie” e addestrarsi a “fare memoria” quotidiana della gioia per questo regalo è importantissimo sia per la tenuta del rapporto di coppia sia per viverlo in modo appagante.

In tale contesto risulta allora scusato definire il fidanzamento “tempo di grazia”, tempo durante il quale

cioè i due imparano a dire “grazie” appunto perché “gratis” qualcuno li aveva fatti incontrare… Ma tale apprendistato va favorito con discrezione e con tatto da parte degli animatori. Così almeno sembra di poter dedurre dall’azione di quell’animatore vocazionale per eccellenza che è il Creatore. Cosa accade, infatti, al fidanzato Adamo? Gli accade di risvegliarsi da un sonno profondo (che sottolinea l’iniziativa gratuita di Dio) e di ritrovarsi davanti il “regalo” di Eva…

Stupito e gioioso per questa insolita sorpresa inizia a parlare… lo stupore di Eva è invece affidato ad un silenzio pieno di magia.

Parola e silenzio… e il Creatore, discretamente e con sobrietà, a far loro il primo augurio “benedicendoli”… Quante coppie di fidanzati desidererebbero dagli animatori benedizioni incoraggianti al posto di avvertimenti, sospiri, rimproveri, minacce, sermoni… La pastorale dei fidanzati (e quella familiare) è pastorale della sobrietà, della discrezione, della tenerezza incoraggiante, del sorriso…

 

 

Dal “dono” alla “scelta” della coniugalità

Un secondo spunto mi viene offerto dalla fase successiva a quella del regalo dell’incontro, la fase della “scelta”. Occorre cioè che i due vengano aiutati a “discernere” bene “chi” stanno scegliendo e “che cosa” stanno scegliendo di fare “insieme”. Il dono dell’incontro diventa cioè scelta di vita, non una scelta qualsiasi, ma una scelta realistica di coniugalità “consapevole” ed “appassionata”. Scelta realistica di questa persona concreta, scelta appassionata della coniugalità, scelta nella linea del farsi dono reciproco. Non c’è alternativa. È strutturale, ed è anche psicologicamente appagante, che tutto quanto nasce con carattere di dono si dinamizzi in vita donata, offerta.

E questo i fidanzati hanno tutto il tempo per impararlo. Non riuscendovi decentemente la loro vita potrebbe prendere una direzione pericolosa fatta di rivalità, di risentimenti, di meschinità, di egoismi incrociati, di violenze che a bene considerare possono essere interpretate come debolezze oblative, come fiacchezze nel donarsi.

Inoltre va ricordato che la scelta, e la riuscita, della coniugabilità è basata proprio sulla consapevolezza di che cosa veramente è “la coniugalità”. Mi viene in soccorso l’immagine di un tandem. Pedalare in tandem comporta di “andare a lezione” dal medesimo. È il tandem a indicare il da farsi:

 

io + tu = noi

 

Il tempo del fidanzamento diventa così tempo di discernimento sulla propria volontà e capacità di pedalare in tandem. Direi quasi, paradossalmente, che l’amore per il tandem precede l’amore per il partner… l’amare di amare coniugalmente cioè come bere per l’amore per un partner. Amore concreto e realistico espresso dalla reciproca promessa: “Io prendo te come mia sposa/o e prometto di esserti fedele sempre nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”. L’io e il tu quindi promettono di essere un noi in grado di convivere mediante il condividere e il comunicare nel realismo (ecco le parole “gioia e dolore”) e nella fantasia (ci vuole fantasia per amare “tutti i giorni” senza cadere nell’abitudinarietà). Senza ovviamente emarginare il Creatore che è stato così gentile da regalare ad ogni coppia un tandem unico, originale, senza pezzi di ricambio.

 

 

Oltre la dicotomia tra “sacro” e “profano”

Un terzo spunto è quello della “laicità” della coniugalità. I fidanzati vanno condotti a “discernere” questa dimensione del loro amarsi “nel Signore” non per contrapporla alla dimensione del sacro bensì, paradossalmente, per evidenziarla. Infatti il matrimonio è realtà creaturale “sacra” perché generata direttamente dal cuore del Creatore. La medesima promessa di matrimonio, stranamente e significativamente, non contiene alcun vocabolo strettamente “religioso” in quanto che è il medesimo amore umano ad essere sacro di per sé.

La coniugalità cioè non ha bisogno di vestire abiti liturgici perché è già di per sé liturgica. Il sacramento aggiungerà a questo carattere liturgico-laico una valenza salvifica. Come dire che l’amore umano, santificato da Cristo, diverrà strumento di salvezza a patto, ovviamente, che sia amore “umano” e non “indecifrabile segno” sovrumano o disumano. Anche perché la “materia” del sacramento nel caso specifico, è proprio l’amarsi dei due sposi. Così come non si può essere “eucaristia” senza pane e vino veri, allo stesso modo non si può essere sacramento, cioè salvezza, senza amore umano “vero”. Non si dimentichi, a scanso di malintesi, che il Dio della grazia è lo stesso Creatore della natura. Non sempre questa elementare verità “teologica” viene tenuta presente in certi itinerari “catecumenali” o “noviziati” di pastorale prematrimoniale e familiare nei quali una certa qual enfatizzazione del “sacro” svaluta l’umano riducendolo a “profano”. Ma si può ancora parlare di “sacro” e “profano” in una economia salvifica redenta da Cristo?

 

 

Conclusione

Ed, in conclusione, mi sembra doveroso ed opportuno accennare alla necessità di un raccordo tra la pastorale familiare e quella giovanile e vocazionale. Qualcosa di significativo è in atto in alcune diocesi italiane (Albano, Vittorio Veneto ecc.).

L’argomento è complesso e rischia di urtare qualche suscettibilità, però questo non giustifica il silenzio. Quanto meno va ricordato che la pastorale familiare è un “unicum” poco assimilabile ad altri tipi di pastorale, specialmente se si considera di avere di fronte degli adulti e per di più in coppia. È forse suonata l’ora di promuovere la pastorale familiare a protagonista o quantomeno a guida della pastorale d’insieme… anche considerando gli interventi tonanti dell’attuale pontefice al riguardo.

Perché avvenga celermente tale promozione sarà opportuno pensare alla formazione degli operatori.

È opportuno, per chi avvertisse la “chiamata” di operare in tale settore, considerare umilmente la necessità di rimboccarsi le maniche attingendo a Centri o a Gruppi o Istituti operanti da decenni nel settore. Credo che nessuno, e lo dico con garbo, suora, prete, religioso, diacono, vescovo o laico sposato che sia, possa presumere, per il fatto della formazione acquisita ad altro titolo, di ritenersi abilitato ad operare nell’ambito della pastorale familiare. È un invito ai responsabili dei cammini o delle scuole di formazione nei seminari, negli studentati o nei conventi maschili e femminili (dove sono le suore?) a pensare “ex novo” con spirito di discernimento l’approccio alla tematica della pastorale familiare non limitando il tutto all’apprendimento di nozioni di teologia del matrimonio o di morale sessuale coniugale né applicando al settore famiglia schemi culturali nati per altro obiettivo e con altro aggiustamento o di rabberciamento come in quello della famiglia. Se i fidanzati e gli sposi vengono trattati sul serio rispondono sempre con entusiasmo. E anche questo è un segno.