Insegnamento della religione e dimensione vocazionale
Da un punto di vista strettamente materiale, i programmi attuali di IRC non comprendono il discorso vocazionale. Però è vero che essi offrono un intreccio di dati teologici, antropologici, pedagogici che aprono su tale argomento e permettono ad un insegnante che sia educatore capace, di ritrovarlo, come una trasversale o costante del processo scolastico, diventando anzi tema specifico che per la sua pervasività in certo modo sintetizza le molte cose apprese. Certamente ciò deve avvenire nel rispetto della peculiare prospettiva di un IRC oggi in Italia, ossia di taglio culturale.
Per facilitare l’esposizione farò perno sul programma di religione per la secondaria superiore, partendo dal motivato principio che, salvi gli adattamenti dovuti al grado di scuola, i programmi di IRC hanno lo stesso profilo sostanziale in ordine agli obiettivi, ai contenuti e al metodo. Ad ogni modo mi avvarrò di opportuni chiarimenti attinti dai due programmi delle elementari e medie.
Progetto di sé
Conviene anzitutto richiamare quell’insieme di elementi antropologici e culturali che entrano nel concetto cristiano di vocazione, giacché è su questa tela di fondo che sarà possibile il confronto con il dato programmatico.
La vocazione cristiana, pur restando radicalmente e formalmente sempre iniziativa di Dio, riguarda persone umane, le riguarda in relazione alla vita da condurre secondo un progetto, e dunque in riferimento ad un insieme di valori, che si fanno motivazioni, decisioni, scelte e comportamenti in ordine alla realizzazione di sé; il che si compie in particolare (anche se non esclusivamente) attraverso il momento specifico della conoscenza del progetto di sé, quindi dello studio e del confronto.
Quando questo quadro progettuale di vita, così come descritto, viene elaborato in un contesto religioso e rapportato a figure di testimoni cristiani significativi, allora oggettivamente si è giunti sulla soglia della concezione cristiana di vocazione.
Per una scuola, che è fatta per conoscere e interpretare in modo serio la realtà, ciò di per sé basterebbe; ad altri settori, propri del contesto di chiesa e di fede, spetterà il compito di portare il discorso a livelli personali e secondo tutte le esigenze intrinseche al discernimento e coinvolgimento della persona.
Disponibilità dei giovani
Entro tale quadro di riferimento vediamo ora il programma di IRC per la secondaria superiore. Si rivolge ad una popolazione studentesca che sta tra i 14 e i 18 anni, età per la quale, almeno nell’attuale pastorale italiana si programma e si cerca di fare una prima, esplicita proposta in ordine alla vocazione. Così appare nel Catechismo dei Giovani 1 (Io ho scelto voi). Ebbene, fa pensare che tra di noi l’ora di religione è frequentata da oltre l’80% di questi giovani e che solo una quota assolutamente inferiore di essi partecipa alla catechesi della comunità parrocchiale. Indagini recenti mostrano poi che nel contesto scuola i giovani da una parte paiono mostrare un’estraneità quasi totale (non dico indifferenza) per il tema “vocazione” in senso correttamente cristiano e dall’altra indicano tra le ragioni prioritarie della scelta di frequentare l’IRC, quella di “approfondire e trovare risposta ai problemi che riguardano la mia vita e il mio futuro” (44%), correlata con l’altra di poter usufruire di uno specifico aiuto nella formazione della propria personalità (34%)[1].
Non sarà proprio questa disponibilità la porta aperta per introdurvi opportunamente il tema che qui ci interessa?
Dentro il programma
Disponibilità per altro notevolmente potenziata dalle mete e relativi percorsi che si prefigge il programma. Eccone i passi centrali con delle esplicitazioni in direzione vocazionale: “Con riguardo al particolare momento di vita degli alunni… l’insegnamento di religione cattolica offre contenuti e strumenti specifici per una lettura della realtà storico – culturale; viene incontro ad esigenze di verità e di ricerca sul senso della vita; contribuisce alla formazione della coscienza morale e offre elementi per scelte consapevoli e responsabili di fronte al problema religioso… In tal modo gli alunni potranno passare gradualmente dal piano delle conoscenze a quello della consapevolezza e dell’approfondimento dei principi e dei valori del cattolicesimo in ordine alla loro incidenza sulla cultura e sulla vita individuale e comunitaria. Saranno così capaci di meglio riconoscere il ruolo del cristianesimo nella crescita civile della società italiana e europea” (DPR 339/1987, I/2; II/1).
Richiamo l’attenzione su due elementi.
– Siamo ben oltre una visione dottrinalista estrinseca di religione cattolica. Ciò che si chiede alla scuola è di aiutare delle persone a incontrare rispose di senso e in secondo luogo a fare scelte consapevoli e responsabili di fronte al problema religioso.
Non è difficile collegare questi traguardi formativi con quelli propri di ogni discorso vocazionale: questo di sua natura non può non tradursi in un’ermeneutica dell’esistenza in ordine ai valori che contano; in secondo luogo diventa impegno di ognuno a maturare una propria scelta concreta in ordine ai valori acquisiti.
Qui viene opportuno per la sua chiarezza il testo del programma delle medie che afferma in termini espliciti quale obiettivo e contenuto insieme il proporre “la vita dell’uomo come risposta a una vocazione personale di Dio creatore e padre” (DPR 350/1987, II/2). E più avanti: “La coscienza che l’alunno ha di se stesso e della propria crescita fisica, culturale e spirituale, si arricchisce nel confronto con la visione cristiana della vita, intesa come vocazione personale e responsabile verso Dio e verso gli uomini” (IV/8).
– Come secondo elemento, notiamo la sfida che questo IRC esprime e che interpella anzitutto il docente: va superato decisamente un cristianesimo ridotto a nozioni per arrivare a cogliere l’incidenza che ha avuto sulla vita del singolo e della società. Viene qui chiaramente ed inevitabilmente evocato il richiamo a modelli significativi concreti, ossia a testimoni cristiani della storia di ieri e di oggi.
Con tono meno implicito, il programma di religione delle elementari invita ad incontrarsi “con persone che hanno vissuto o vivono in maniera significativa i valori religiosi: Maria madre di Gesù, San Benedetto e i Santi Cirillo e Metodio patroni di Europa, S. Francesco e Santa Caterina da Siena patroni d’Italia, altre figure di Santi, particolarmente quelle locali, e di testimoni viventi” (DPR 204/1987, III/2). È facile e del tutto giustificato, accostare questi personaggi come “vocazioni” concrete, cioè come “progetti di vita” ispirati al Vangelo e incarnati nella storia. Anzi questa delle “vocazioni storiche” pare essere la via più congrua alla scuola e più pedagogicamente efficace per parlare sensatamente di vocazione!
Alcune sottolineature
Non vanno poi dimenticati altri elementi significativi. Avendo presente quali ingredienti formano la concezione cristiana di vocazione non è difficile ricavare preziose notazioni dal programma di IRC. Si trovano espressi dove si tratta dei nuclei dei contenuto (II/2).
– Così tra “i grandi interrogativi dell’uomo” fatti oggetto di attenzione, “il senso del futuro” ivi evocato si coniuga bene con il concetto di progettualità e vocazionalità.
– La presentazione di “Dio nella tradizione ebraico – cristiana” prima o dopo non può non imbattersi in figure, come i profeti ed altri uomini di Dio alla cui base sta una precisa vocazione religiosa.
– L’attenta considerazione della “figura e opera di Gesù Cristo” porta a considerare la sua opera messianica nel quadro di un progetto ben definito e guidato da Dio che con diritto si può chiamare vocazionale per lo stesso Gesù.
– Lo stesso dicasi a proposito del “fatto cristiano della storia”. Si possono spiegare “le origini della Chiesa da Cristo e le principali tappe della sua complessa storia”, oppure indicare “i segni della vita della Chiesa e la sua presenza e ruolo nel mondo”, senza richiamarsi a persone – leaders, intensamente legate al mistero di Dio e al servizio delle persone, di cui sopra abbiamo fatto cenno?
– Infine “il problema etico”. Si sa come l’identità della vocazione cristiana comporti una densità etica sorprendente, in rapporto proprio agli indicatori di cui il programma IRC si fa portavoce, quali “una nuova e più profonda comprensione della coscienza, della libertà, della legge, dell’autorità; l’affermazione inalienabile della dignità della persona umana, del valore della vita, del primato della carità; il significato dell’amore umano, del lavoro, del bene comune, dell’impegno per una promozione dell’uomo nella giustizia e nella verità; il futuro dell’uomo e della storia verso ‘i cieli nuovi e la terra nuova’”.
Si provi con questi criteri a fare l’anatomia del cristianesimo: ci imbatteremo inevitabilmente in uomini e donne che hanno vissuto e vivono la vita come vocazione, con la grazia, il peso, la dedizione che le sono intrinseche.
Quale iter propositivo?
Dall’IRC, secondo i programmi ufficiali, non ci si può aspettare lo sviluppo del tema “vocazione” che pure avrebbe senso nominare (non si tratta di insegnamento della religione cattolica?), quanto piuttosto la configurazione di un insegnamento-apprendimento che si unifica ultimamente nella categoria anche di vocazione, ossia di un progetto di vita, ispirato religiosamente (da Dio), aperto al dono di sé. Anzi soltanto entro questo orizzonte perseguito con intelligenza coerente prende valore ed in certa misura si fa obbligante una tematizzazione specifica di vocazione.
Note
[1] Cfr. Malizia G. – Trenti Z. (a cura di), Una disciplina in cammino, SEI, Torino 1991, p. 186.