La festa di compleanno nel gruppo dei preadolescenti e degli adolescenti
Chi lavora con i preadolescenti e gli adolescenti più di una volta si è trovato davanti all’organizzazione o alla richiesta di partecipare ad una delle tante feste di compleanno che accompagnano la vita del gruppo. È possibile partire da questa richiesta di festeggiare per far riflettere i ragazzi sul senso del tempo e su come esso possa essere vissuto in pienezza, orientando il suo dipanarsi nella vita verso scelte capaci di imprimere un segno indelebile in una persona? Forse la pretesa è eccessiva, visto soprattutto che il bisogno di festa nei ragazzi non sempre corrisponde alla capacità di vivere in modo significativo questi momenti. Spesso, infatti, queste feste vengono condotte attingendo al canovaccio del modello consumistico a cui siamo abituati, e nulla più.
Il fatto
Certo ogni gruppo festeggia i compleanni dei propri membri in modo diverso a secondo della maturità dei suoi componenti. La festa di compleanno può rappresentare un primo approccio con i preadolescenti, un momento per tenere unito il gruppo e da cui partire per un cammino di formazione. Molto viene speso per questo primo aggancio nella speranza di raccogliere qualcosa: il desiderio di rivedersi, di parlare, di riflettere. Altre volte rappresenta l’approdo di un cammino di conoscenza condotto all’interno di un cammino strutturato di gruppo.
Non c’è dunque una ricetta costante. Da qui un certo imbarazzo nel trattare il tema. Credo, tuttavia, che l’animatore-educatore del gruppo debba assumere seriamente la prospettiva delle feste di compleanno non tanto per accaparrarsi anche questo spazio della vita del preadolescente, ma per comprendere come dentro il ritmo della festa è possibile educare e far crescere le persone. Non occorre lasciar andare le cose, ma in modo discreto lanciare alcune idee per far passare la festa dalla consumazione di tempo libero all’assunzione del senso del tempo della vita, nel cui interno io sono chiamato ad accogliere la responsabilità unica ed irripetibile di essa.
Da sempre l’uomo ha celebrato i “passaggi” della sua vita, come momenti di assunzione di nuove responsabilità. La nostra cultura ha mantenuto in un certo modo questa tendenza anche se l’ha secolarizzata: per esempio definendo in modo giuridico la maggiore età con tutte le responsabilità personali e civili che ne conseguono.
Da queste ovvie considerazioni emerge la domanda che stimola gli educatori dei preadolescenti e degli adolescenti: come far passare questo appello alla responsabilità e alle chiamate legate all’età di ciascuno attraverso lo strumento diffuso delle feste di compleanno? La risposta si sviluppa attraverso alcune considerazioni. Una prima sulla percezione che il ragazzo ha del proprio tempo, una seconda sul senso della festa ed una terza, di tipo pastorale, sulla gestione di alcune iniziative con e per i ragazzi.
Il preadolescente-adolescente di fronte al tempo
Un indice di maturazione nella vita di un giovane può essere rappresentato dalla sua capacità di raffigurarsi il tempo. Non mancano ricerche sociologiche in questo campo. Soffermandoci su alcune considerazioni svolte recentemente in ambito italiano[1] sembrano essere quattro gli atteggiamenti dei giovani nei confronti del fluire del tempo:
– “coloro che sono ben consapevoli della propria capacità di governare il proprio destino e non rinviano le scelte decisive verso la condizione adulta”: i cosiddetti autostrutturati (18,4% del campione compreso tra i 15-17 anni);
– coloro che “non hanno fiducia nella possibilità di influire sul proprio futuro, ma non si tirano indietro di fronte alla necessità di affrontare il passaggio alla vita adulta”: gli eterostrutturati (8,4%);
– quelli che “rinviano le scelte, ma mantengono fiducia nelle proprie capacità di costruire un proprio percorso di vita”: gli autodestrutturati (53,1 %);
– quelli che non pensano a scelte fondamentali, che tendono a perdere la capacità di possesso del tempo e che si sentono fortemente imprigionati dal peso delle situazioni: gli eterodestrutturati (20,1%).
Il passaggio verso la fase giovanile ed adulta coincide con il calo percentuale di queste due ultime tipologie ed un aumento progressivo delle prime due. Da una lettura superficiale di questi dati risulta importante nei confronti del tempo vissuto, aiutare i preadolescenti-adolescenti a comprendere la capacità di prendere sul serio il proprio tempo e di appropriarsene in modo creativo ed autonomo, superando un certo scetticismo, legato al peso delle situazioni come blocchi da cui pare difficile liberarsi, o l’adagiarsi facile verso stili di vita indotti dalla cultura.
Celebrare il compleanno nel gruppo preadolescenti può costituire dunque un utile punto di partenza per far riflettere sulla dimensione del proprio rapporto con il tempo, sulla sua direzione progettuale o sul suo ritornare su se stesso nello sperimentalismo. Per il preadolescente-adolescente il rapporto con il tempo è ambivalente: genera insicurezza nei confronti di quello che non c’è più (la relativa serenità della fanciullezza); genera aspettative nei confronti dei guadagni sociali e culturali che si aprono con il passaggio alla giovinezza.
Difficile risulta vivere il realismo del tempo, al di là della nostalgia o di proiezioni eccessive e del desiderio dilatato di “essere adulto”. Celebrare il compleanno con il gruppo preadolescenti e adolescenti non significa trasformare la “classica” festa di compleanno in una pedante riflessione sul senso del tempo, ma impegnarsi in modo furbo e creativo a far riflettere proprio sul senso del sentirsi dentro il proprio tempo, nella fase di traghettamento dalla sponda della fanciullezza a quella della maturità.
Far maturare il senso della festa
Abbiamo già accennato al rischio di indulgere verso modelli consumistici. Questa considerazione generica non deve però bloccare l’educatore nella sua ricerca di dare pieno spessore umano al tempo della festa o a pensare che solo al di là della festa sia possibile educare alla fede e all’impegno personale. La festa, come una delle dimensioni della vita dell’uomo, è realtà educabile e punto di forza per far comprendere alcune dimensioni imprescindibili della stessa fede cristiana. Il Dio cristiano è un Dio che sa far festa con l’uomo, che sa incontrarlo in ogni momento della sua esistenza, che lancia il suo appello anche dentro quella particolare sospensione del tempo della vita che può risultare la festa.
Quale significato sociale ha, allora, la festa di compleanno? Forse la nostra società ha moltiplicato il tempo della festa in relazione all’inevitabile dilatazione del tempo libero, ma ha banalizzato lo stesso contenuto della festa. Si è, per così dire, moltiplicato il contenitore, ma spesso non si è curato di riempirlo di contenuti. I contenuti sono sul livello del “perché” fare festa, più che sul “come”. La nostra cultura ha insistito molto più sul “come”(elaborando criteri di successo o di insuccesso di una festa), che sul “perché”.
Dunque un primo punto da rimotivare nel cammino del gruppo preadolescenti ed adolescenti è proprio qui. Perché simbolizzare attraverso la festa il passaggio del tempo nella vita? Il livello del “perché” festeggiare un compleanno credo possa essere recuperato in riferimento alla fedeltà. Posso far festa se so comprendere che dietro il tempo che passa ci sono io, con le mie fedeltà ed infedeltà ad un progetto di crescita che scopro giorno per giorno essere sempre più il mio personale ed irripetibile. Ogni compleanno rappresenta, allora, una tappa verso il traguardo dell’autostrutturazione della persona nei confronti del tempo della sua vita. L’animatore può dunque educare a far festa, e partire proprio dalla realtà della festa, facendo leva su questo “perché”. L’aver chiarito il “perché” far festa porta con sé anche una chiarificazione del “come”. La semplicità, il coinvolgimento di tutti, il superamento di un certo egoismo di gruppo rappresentano altrettanti elementi di maturazione di un gruppo. Di un gruppo che ha scoperto che il suo far festa non è mai esclusivo (cioè emarginante le persone che sono fuori dal gioco della festa), ma che tende a diventare sempre più inclusivo (cioè capace di allargare i confini della festa stessa o perlomeno di rispettare quelli che per particolari condizioni economico e sociali non possono far festa).
Su questa riflessione di natura sociologica si innesta anche una riflessione psicologica. L’atteggiamento della persona che vuole far festa non deve essere solo quello del mettere tra parentesi il tempo del quotidiano, ma il tempo quotidiano e tutto quello che io sono entrano nella festa. Nella festa cioè sperimento in modo libero e gioioso la qualità delle relazioni che sono riuscito a creare con il mondo delle persone che fanno parte della mia vita. Basta osservare il modo di far festa di alcuni gruppi per scoprire come chi è riuscito a tessere relazioni profonde e significative con le persone riesca a vivere in modo più appagante e meno banale lo stesso momento di festa e, viceversa, molte feste che naufragano nella noia e negli stentati tentativi di rianimazione hanno alla base un gruppo che ha elaborato in modo insufficiente o comunque superficiale la qualità delle relazioni quotidiane.
Un ultimo livello del far festa è legato alla coscienza ecclesiale. La festa di compleanno è anche la presa di coscienza progressiva che il mio posto nella chiesa non è quello né di un ospite indesiderato, né di un temporaneo visitatore, ma di colui che ritrova stabilmente la propria identità nella comunità dei fratelli e delle sorelle. Questo risulta molto importante per ciascun educatore: far comprendere che la chiesa è anche fatta da gente che sa far festa, perché attorno al Cristo ritrova il senso del suo essere insieme; sa far festa perché intravede proprio nella festa la qualità della gioia e della relazione vitale con il suo Signore. Certo tutto questo rappresenta un traguardo, ma che deve essere tenuto presente. Il Regno di Dio è annunciato, sovente, durante una festa. Proprio a cominciare dal Vangelo di Cana. I preadolescenti e gli adolescenti devono scoprire che c’è anche un Vangelo della festa; che Dio non è estraneo alla gioia e alla scoperta di esistere dell’uomo. La proposta di questi tre valori: sociale, psicologico ed ecclesiale forse potrà rompere le uova nel paniere del gruppetto di preadolescenti ed adolescenti che chiedono al loro educatore di far festa per i vari compleanni. La loro intenzione era un’altra. Qui entra la sapienza pastorale dell’educatore. Non si tratta di far calare dall’alto la proposta di una festa a diverso contenuto, si tratta ancora una volta di educare la domanda, attraverso il dialogo, la verifica delle esperienze e i mille accorgimenti che l’intuizione di ciascuno potrà suggerire.
Alla luce di queste grandi indicazioni passiamo brevemente ad alcune considerazioni di carattere pastorale che toccano, in qualche modo, anche la pastorale vocazionale.
Una pastorale della festa
Il titolo può sembrare l’ennesimo omaggio al pensiero debole. Non lo crediamo alla luce di quanto svolto precedentemente. Una pastorale della festa, non si esaurisce nella festa stessa e nel suo modo di viverla in un preciso momento, ma a partire dal fenomeno della festa cerca di elaborare una prospettiva di evangelizzazione di questo momento importante nella vita umana e di darne anche un orientamento vocazionale.
– È importante nel cammino di un gruppo prevedere alcuni momenti di festa in cui fare memoria del compleanno dei membri del gruppo stesso. Lo sforzo dell’educatore sarà quello non di organizzare i momenti, ma di preparare i ragazzi a viverli. Una celebrazione di preghiera, attingendo per esempio ai testi biblici sapienziali sul senso del tempo e della giovinezza (cfr. a questo riguardo il “Catechismo dei giovani 1”), un incontro impostato su giochi di simulazioni sulla capacità di far festa possono costituire importanti agganci per insistere sui valori che abbiamo sommariamente delineato. Durante questi momenti appare importante anche educare ad un uso sobrio delle cose, alla capacità di condividere con chi non può – per varie ragioni – unirsi alla festa. La preparazione della festa può anche rappresentare un modo simpatico per pensare al proprio futuro, per aiutare il preadolescente a passare sempre più dalle identificazioni, cui la cultura abitua pesantemente, alla ricerca della propria identità. La festa di compleanno può rappresentare un valido modo “celebrativo” e conclusivo del cammino di un gruppo che ha con impegno riflettuto sulla ricerca della propria identità. L’aggancio vocazionale è qui evidente: quando si parla di vocazione si fa riferimento ad un modo preciso di pensare la propria identità, al di là di ogni identificazione parziale.
– Da un punto di vista pastorale la festa di compleanno può costituire anche un punto di partenza per un aggancio di quei preadolescenti che hanno perso il treno del catechismo dopo la celebrazione della Cresima. A questo riguardo è molto importante coinvolgere e preparare animatori e ragazzi già aggregati a saper aggiungere quel pizzico in più alla “classica” festa capace di lanciare alcuni messaggi ed utili per un primo approccio dei ragazzi non aggregati.
– Ad un livello più maturo la presa di coscienza del proprio tempo può culminare nella festa di compleanno in cui, in uno specifico momento di preghiera per es., i festeggiati stessi sono guidati ad assumere alcuni impegni in rapporto all’età. Penso per esempio ad alcune parrocchie in cui il passaggio dalla preadolescenza all’adolescenza viene contrassegnato con l’assunzione di un impegno personale (per es. la visita costante ad un amico handicappato, un’azione di volontariato ecc.). È importante inserire queste iniziative dentro il complesso della festa di compleanno perché aiutano le persone a fare proprio il modello di fede ed impegno cristiano dentro (e non accanto) il fluire del proprio tempo. È evidente anche qui la risonanza vocazionale in quanto la persona viene posta davanti a particolari responsabilità liberamente assunte. Si sente, cioè, chiamata in prima persona a farle proprie.
Utopia questa proposta? Non crediamo. Piuttosto la seria presa di coscienza che Dio chiama dentro la vita, dentro la vita che passa e che di anno in anno non ci lascia mai quelli che eravamo prima. Ma solo se sappiamo fermarci a riflettere e se qualcuno ci aiuta a farlo.
Note
[1] A. Cavalli – A. De Lillo, Giovani anni ‘90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna 1993, 220-224.