N.06
Novembre/Dicembre 1994

Ascesi cristiana e vocazioni:  dire di “no” per dire dei “sì”

François Rabelais, rappresentante originalissimo dell’euforia del Rinascimento, poteva permettersi di dare questo consiglio: “Fa’ ciò che vuoi, perché, per natura, l’uomo è spinto ad atti virtuosi”.

 

 

L’educazione: una delle più grandi sfide del momento

Eravamo nel secolo sedicesimo. Da allora, la proposta di Rabelais ha camminato, ha percorso i secoli e ha dato forma a tante aberranti teorie dell’educazione basate sullo spontaneismo più o meno sfrenato. La storia, drammaticamente, ha fatto giustizia di questa lettura dell’uomo. Tale lettura, infatti, non tiene conto della possibilità che l’uomo ha di aprirsi alla cattiveria e di infettarsi con il peccato presente nella sua vita e nella sua storia, diventando egli stesso – per usare le parole del profeta Isaia – “come una cosa impura, come un panno immondo, come foglia avvizzita che il vento spinge qua e là” (Is 64, 5). Per questo riemerge il bisogno e il dovere di “educare” e, nell’educazione, affiora una ricerca di ascesi.

L’ottimismo rinascimentale ebbe, a suo tempo, un sarcastico commento proprio da parte di N. Macchiavelli, che dichiarò: “Noi siamo gli uomini più empi e più criminali che si possano immaginare”. Ed oggi, a distanza di secoli, noi assistiamo ad una disordinata e irrazionale esplosione della libertà umana, per il semplice fatto che essa ha rifiutato una norma, una guida, un’ascesi.

 

 

La società sta riscoprendo l’ascesi?

Un’inchiesta, svolta in 13 paesi europei occidentali per conto del Ministero della Giustizia Olandese, rivela che l’80% dei giovani europei, tra i 14 e i 21 anni di età, hanno violato una volta la legge, per lo più con atti di vandalismo o altre infrazioni di non particolare gravità. Il fatto, considerato che oggi l’adolescenza è fortemente allungata, non dice niente più della tipica tendenza adolescenziale alla trasgressione. Però l’attuale situazione di vuoto educativo dà a questo fenomeno dei contorni veramente preoccupanti. Mi spiego con un esempio recentissimo.

Quando esplose il fenomeno dei sassi sulle autostrade, venne resa pubblica un’indagine condotta dai Salesiani del Centro di Orientamento Scolastico Professionale e Sociale di Mogliano Veneto: secondo tale indagine (condotta – notatelo bene – prima che il fenomeno salisse tristemente alla ribalta nazionale) ben 11 su 100 ragazzi dai 15 ai 19 anni dichiararono che sarebbero stati disposti a salire sulle rampe autostradali per lanciare sassi alle autovetture in corsa: e il numero di tali ragazzi, secondo l’inchiesta, tendeva a salire notevolmente nelle aree di grande benessere.

Ha osservato don Severino De Pieri, Direttore del Cospes: “È il malessere del benessere quello che oggi produce il nuovo teppismo: è il malessere dei figli ricchi, sazi di ogni bene ma annoiati e alla continua ricerca di sensazioni forti per riempire il vuoto di valori, che manifestano” [1].

Questi fatti, inconsapevolmente, non contengono l’invocazione disperata di un progetto di vita, di un’educazione della volontà e, in fin dei conti, di un’ascesi?

L’anno scorso, dopo l’assassinio compiuto dai ragazzi di Liverpool e dopo la loro condanna all’ergastolo, esplose sulla stampa europea il tentativo di lettura dei fatti e la ricerca di una soluzione al fenomeno della criminalità giovanile, che appariva sempre più efferata e, a prima vista, senza senso e senza alcuna giustificazione.

Un dubbio, timidamente, affiorava quale là e si esprimeva con un interrogativo significativo: non sarà da rivedere tutta la rete educativa della nostra gioventù?

Francesco Alberoni, scriveva così: “La delinquenza giovanile è dovuta al fatto che si sono disintegrate le forze educative tradizionali. Un tempo c’era la famiglia estesa, il nonno, gli zii, l’oratorio, il sacerdote. C’erano il padre e la madre attenti, dotati di autorità. Adesso, al posto di questa pluralità di figure forti, al posto di questa comunità educante, c’è una coppia spaesata o un genitore solo. Ma l’individuo isolato non riesce ad educare: non ne ha la forza e l’autorità” [2].

Francesco Alberoni non affronta questo problema, però delinea una conclusione di grande impegno: “Occorre – egli dice – ricostituire una comunità educativa conforti principi morali, consolidi valori”. Tale dichiarazione è indicativa dello stato d’animo oggi largamente diffuso e, implicitamente, contiene un’invocazione di disciplina, cioè un’ascesi.

Il 12 agosto 1994, mentre la cronaca estiva registrava, per brevi momenti, il “fattaccio” del giovane bergamasco che colpiva violentemente i genitori per avergli negato l’uso di una vettura di grossa cilindrata, Gaspare Barbiellini Amidei commentava: “L’ipocrisia diffusa continua a parlare di difficile rapporto tra generazioni. Poi un ragazzo spacca la testa ai genitori che gli negano la macchina e tutti commentano: sempre più difficili questi rapporti fra generazioni! La verità è che le generazioni stanno ormai per essere abolite. Non esistono più generazioni come differenza di ruoli e doveri all’interno di molte famiglie. A forza di liberalizzare, concedere, finanziare; a forza di anticipare gli anni dell’amore, a forza di notti in libera uscita, non si vede dove resti una relazione educativa fra due generazioni, quella dei genitori e quella dei figli. Ci sono genitori sempre più fragili che si comportano come bambini impauriti e figli sempre più prepotenti che si muovono come patriarchi maneschi. Il rapporto fra generazioni, in molti casi, si è ridotto a patto implicito di coabitazione con obbligo esplicito di erogazione adulta in denaro e in natura (che comprende un ‘vitto’ estesamente inteso con telefono, bollette varie e automobile)”. Barbiellini Amidei, che, oltre ad essere un giornalista, è un padre appassionato per i problemi educativi, esprime una coraggiosa valutazione: “Si parla di deficit intellettivo di certi ragazzi. E ci saranno pure ragazzi stupidi e immaturi, ma il deficit intellettivo è essenzialmente di una cultura che non vuole intendere come sia impossibile educare sottomettendosi a chi deve essere educato, come sia irrealizzabile un’opera di correzione che non contempli l’eventualità di ordinare e di punire. Chi non sa dire mai di ‘no’, non può aspettarsi i necessari ‘sì’[3]”.

Confesso che mi ha fatto tanto riflettere il fatto, che un giornalista su un giornale dichiaratamente “laico” abbia messo apertamente in discussione la cultura oggi dominante: forse, è il segno che la misura è colma! Ormai molti cominciano a rendersi conto che non è possibile dare un senso alla libertà, se essa non si lascia guidare da una verità: ma, perché questo avvenga, è necessaria un’ascesi; è necessaria una lotta che “liberi” la libertà dal peso dell’egoismo e la apra alle altezze del “dono di sé”.

 

 

Ascesi cristiana

La parola “ascesi” deriva dal verbo greco “askein”, che significa: esercitarsi, fare allenamento, mantenersi in forma. Questo termine, utilizzato in riferimento agli sforzi degli atleti, fu accolto nel linguaggio cristiano per indicare l’auto-disciplina, il dominio di sé, l’esercizio per ottenere il controllo degli istinti e, quindi, l’equilibrio interiore. Se si riflette serenamente, è facile arrivare alla consapevolezza che il “desiderio”, quando non trova un punto di limite ma si sfoga disordinatamente, produce distruttività e morte. Infatti il “desiderio”, per produrre vita e felicità, ha sempre bisogno di manifestarsi nell’incontro-scontro con dei limiti, quindi con delle norme etiche. Un personaggio di Musil, nell’Uomo senza qualità, ad un certo punto dice significativamente: “La felicità è nel limite”. Del resto l’esperienza del limite accompagna la vita di ogni giorno: ci vuole un limite nel mangiare, un limite nel bere, un limite nel lavorare, un limite nel dormire…, altrimenti si cade in una patologia.

Il cristianesimo ha accolto questo dato antropologico e l’ha illuminato con la luce di Cristo.

San Paolo scrive: “Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma una solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto… Anch’io tratto duramente il mio corpo e lo mantengo sottomesso” (1 Cor 9, 24-27).

Va però ben chiarito che la disciplina dei desideri (che va bene e fa bene a tutti: credenti o non credenti!), per il cristiano assume un orizzonte completamente nuovo: essa si mette al servizio dell’assimilazione a Cristo, che il cristiano, germinalmente e gratuitamente, riceve nel Battesimo (cfr. Rm 6).

Pertanto può essere chiamata cristiana solo quell’ascesi che aiuta ad assimilare il cristiano a Cristo, cioè che lo rende più pronto a dare la vita come ha fatto Gesù Cristo. Infatti coloro che vogliono rivestirsi della persona di Cristo (cfr. Rm 13, 14), devono esser disposti a mortificare le inclinazioni che portano all’egoismo, al ripiegamento su se stessi. Il fondamento dell’ascesi cristiana è, allora, il mistero pasquale, che San Paolo scultoreamente esprime così: “Coloro che sono di Gesù Cristo hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri” (Gal 5, 24).

 

 

Ascesi cristiana e vocazioni

Tagore ha scritto: “Dormivo e sognavo che la vita era gioia; mi svegliai e scoprii che la vita era servizio; mi misi a servire e trovai che il servizio è gioia”.

La saldatura tra il “sogno” della gioia e la “realtà” della gioia sta nella capacità di accogliere la ‘chiamata’ a servire: una ‘chiamata’ che attraversa tutta la vita e la vita di tutti.

L’ascesi è un salutare allenamento per accogliere la chiamata al servizio e al dono di sé, che poi ognuno vivrà nella propria specifica vocazione; l’ascesi è un’educazione dei “desideri”, che permette di far emergere il “desiderio” profondo che è stato scritto da Dio nel cuore di tutti: il desiderio di amare, il desiderio di superare se stessi, il desiderio di aprirsi alla comunione con gli altri.

L’ascesi, in questo senso, è necessaria a tutti; ma, in modo particolare, è necessaria come preparazione alla “vocazione di speciale consacrazione”: infatti, chi è abituato a ragionare e a vivere in termini di “dono di sé”, ha le antenne pronte per cogliere una straordinaria chiamata a uno straordinario dono di sé; e, soprattutto, ha la forza per pronunciare un sì che impegna la vita.

Vittorio Possenti lucidamente ha scritto: “L’orientamento della vita è l’orientamento dei desideri; l’educazione cristiana deve partire da qui; deve chiedersi verso cosa si orientano i desideri nella società occidentale: e tutti sappiamo che gli idoli sociali, oggi, sono il denaro e il potere e il piacere e l’apparire. Orbene, l’educazione cristiana deve correggere questo orientamento dei desideri” [4].

Ecco l’ascesi! Ecco la condizione per far brillare davanti ai giovani la bellezza della chiamata a seguire Cristo nella via di una totale e radicale consacrazione alla causa del Vangelo.

 

 

 

 

Note

[1] Corriere della Sera, 4 Febbraio 1994

[2] Corriere della Sera, 6 Dicembre 1994

[3] La Nazione, 12 Agosto 1994.

[4] Avvenire, 14 Settembre 1993.