La testimonianza ascetico-cristiana in una cultura complessa e debole: Giuseppe Lazzati
Posso fare un errore grossolano, ma sento di poter dire che Lazzati non si è mai posto il problema della complessità affrontando discussioni e ipotesi teoriche. Direi, però, di non sbagliare affermando che Lazzati ha affrontato realtà e situazioni notevolmente complesse senza né sopravvalutarle (fino a esserne paralizzato) né banalizzandole (rendendo semplicistico ciò che non è neppure semplice). Lazzati preferiva affrontare i problemi per ciò che sono con grande e lucido realismo, cercando, però, di comprenderli nella loro verità ultima, nel nucleo essenziale al fine di dare ai problemi stessi soluzioni che risultassero soddisfacenti. Ossia, che consentissero all’uomo di umanizzarsi così da umanizzare le strutture in cui vive, perché siano strumento di umanizzazione anziché di disumanizzazione.
Nella complessità della politica
Esemplare in questo senso è stato il porsi di Lazzati di fronte alla realtà che, per sua natura, è la più difficile e complessa di tutte: la politica, intesa come costruzione e gestione della città dell’uomo a misura d’uomo. Egli, infatti, sottolineava con forza la difficoltà che si pone a chi voglia “pensare politicamente” perché, diceva, nella politica “convergono campi diversi che riguardano la persona umana in tutti i suoi aspetti, per cui ogni problema va risolto secondo la tecnica propria di quel problema, ma dentro la visione globale e d’insieme”. Ora, secondo Lazzati, per riuscire ad avere la capacità di affrontare tale complessità, occorre un serio e rigoroso processo formativo grazie al quale acquisire la capacità d’individuare l’essenziale di ogni aspetto della realtà, ma, insieme, di fare una sintesi complessiva esperta, competente, capace, di tutti gli aspetti connessi a un problema.
Lazzati ha lasciato una precisa testimonianza di cosa intendesse in questo senso, più ancora che nell’esperienza di politico “suo malgrado” nell’Assemblea costituente e nella prima legislatura repubblicana, quando, nel ‘68, ha assunto il rettorato dell’Università Cattolica. Realtà di notevole complessità in un contesto storico-culturale difficilmente decifrabile e carico di tensioni e conflitti. In quella situazione egli, a parere di molti, ha dato il meglio di sé affrontando la realtà della situazione cogliendone i nodi decisivi e dando loro un nuovo e diverso ordine facendo sintesi di ciò che di valido e di vero vi era nelle diverse parti in conflitto e avendo chiaro il fine a cui tendere. Egli è riuscito così a creare una nuova sintesi, più razionale e più umana, rispetto a quella ereditata ridando prestigio e, soprattutto, efficacia culturale e di umanizzazione a una grande istituzione.
La vita intesa come “milizia”
Posso fare un ulteriore errore grossolano, ma sento di poter dire che Lazzati non ha mai gradito e visto con simpatia proposte di pensiero e di fede che si presentassero come “deboli”. Al fondo dei suoi atteggiamenti e dei suoi comportamenti, infatti, Lazzati aveva maturato una convinzione di fondo circa la vita e il suo senso. Egli la concepiva come milizia. Lazzati non mancava di sottolineare come i Padri della Chiesa, che studiava e aveva cari, affermano che la milizia è nient’altro che la vita dell’uomo sulla terra. Ora, la milizia, in sé e per sé, è uno stile e un comportamento di vita che suppone rigore, impegno permanente, fermezza, salde convinzioni, disponibilità a battersi, nulla che abbia a che fare con la debolezza né del pensare né dell’agire.
D’altronde, Lazzati aveva potuto constatare con lucido realismo durante il suo internamento nei Lager tedeschi come chi aveva una concezione della vita in genere e di quella cristiana in particolare che escludesse o ignorasse l’idea di milizia, posto in situazione critica, risultasse di fatto incapace di reggere e di superare con dignità le difficoltà e finisse per dichiarare il proprio fallimento umano; prima ancora che il fallimento della propria fede.
Frutto di un rigoroso cammino di ascesi
In Lazzati questi atteggiamenti e comportamenti erano divenuti così semplici, naturali, spontanei che parevano essere gli unici veramente possibili. In realtà erano il frutto di un lungo, severo, rigoroso cammino di ascesi. Il cammino che, utilizzando un puntuale programma di vita verificato in itinere, conduce a incanalare ogni energia e capacità fisica, d’intelligenza, di volontà in una sola direzione, anziché lasciarle a se stesse, guidate dagli istinti. È l’esercizio che consente di ricondurre tutta la persona a dominare ogni singola facoltà, anziché esserne dominato. È l’esercizio grazie al quale si impara a usare dei sensi, della volontà, dell’intelligenza, della ragione, dei sentimenti per cogliere l’uomo e le realtà nella loro verità prima e ultima, senza lasciarsi fuorviare o ingannare dalle apparenze. È l’acquisizione della capacità di vedere, di ascoltare, di pensare discernendo ciò che è negativo e ciò che è positivo per raggiungere l’obiettivo dell’umanizzazione plenaria e, di conseguenza, divenire capaci di scegliere in ogni circostanza e in ogni situazione l’azione più efficace perché ciò che è negativo sia annullato e ciò che è positivo emerga e divenga patrimonio di tutti. Un’ascesi, dunque, che non è rinuncia; è scelta di ciò che è essenziale abbandonando tutto il resto perché risulta inutile.
Un unico fine: servire Dio nell’uomo
Lazzati ha dedicato tutta la vita a percorrere questo cammino d’ascesi e gran parte dell’esistenza a formare generazioni di giovani a questo modo di concepire e di vivere l’esistenza cristiana. A compiere, cioè, un cammino senza soste che richiede rigore, serietà, impegno, volontà di dominare il proprio io e le sue istintualità. Un cammino faticoso e che chiede un impegno totale e radicale per incanalare la totalità della persona a quell’essenziale che è rispondere in modo adeguato alla vocazione divina che chiama l’uomo alla perfezione, alla santità, che è l’umanizzazione più piena che una creatura possa raggiungere, poiché le consente di esprimere la sua partecipazione alla natura divina.
Vi è, poi, un aspetto da sottolineare che appare umanamente paradossale. Lazzati ha chiesto a sé e ai giovani che educava di percorrere il cammino dell’ascesi cristiana per arrivare a un traguardo che, sul piano umano, è valutato più come una sconfitta che come una vittoria. Il mondo dell’io e dell’istintualità, infatti, giudica vincente il conseguimento del potere, del dominio sugli altri e sulle strutture della società; la ricchezza; l’essere liberi di fare ciò che si vuole. Al contrario, Lazzati, testimone di ascesi cristiana, ha vissuto e ha educato a un impegno rigoroso e severo per imparare a servire anziché a dominare; per apprendere come ci si debba porre a servizio degli altri e come si debbano rispettare le diverse realtà terrene nella loro specifica natura e nelle loro leggi peculiari. Lazzati ha testimoniato come tutto l’impegno ascetico cristiano debba essere teso a far sì che ogni battezzato trasformi se stesso fino ad acquisire l’energia creatrice di Regno di Dio: quella del lievito che anziché apparire scompare, che anziché dominare o possedere la pasta la serve e vi scompare perché sia tutta trasformata dall’interno. Lazzati ha chiesto a sé e ha testimoniato la necessità, per il cristiano, di divenire la realtà indicata da un testo patristico a lui caro: ciò che l’anima è nel corpo (cfr. A Diogneto VI).