Ascesi della carità e maturazione vocazionale
Una delle esperienze più belle di un Sacerdote è indubbiamente essere testimone della grazia di Dio all’opera in un’anima. E grandioso vedere il cammino vocazionale di giovani che rispondono con generosità alla chiamata del Signore. Ma nella nostra società secolarizzata, che ormai chiamiamo post cristiana, il problema della vocazione di speciale consacrazione si acuisce sempre più. Rischia di essere uno stato di vita che pochi possono comprendere, perché viene sempre più a mancare nella esperienza della vita quotidiana nelle nostre famiglie cristiane il senso della gratuità, del dono, e del sacrificio in vista di valori più grandi.
L’eccessiva preoccupazione del benessere, della realizzazione personale, di sicurezze per il futuro ha creato anche in seno alle nostre famiglie un affanno interiore tale che, in un modo quasi inconscio, ci fa cadere nel materialismo pratico, al punto che le scelte che si è chiamati a fare ogni giorno tra le esigenze evangeliche e il modello di vita proposto dalla civiltà dei consumi, non pone ormai più l’imbarazzo della scelta, perché la decisione è scontata. I genitori, anche praticanti, in tutta buonafede, effondono un impegno e un dispendio grandioso di energie e mezzi per la scuola, lo sport, gli impegni ludici dei loro ragazzi, a differenza della catechesi, della frequenza ai sacramenti, della messa domenicale, dai quali derogano con estrema facilità e futilità di motivi. E il bambino o l’adolescente, che non è ancora capace di trascendenza, ma giudica l’importanza delle cose dallo sforzo e dall’impegno dei genitori e si fa una strana scala di valori da cui difficilmente saprà staccarsene. Molti hanno eliminato nella educazione ai propri figli la parola sacrificio, mortificazione, rinuncia, con il pretesto che “ci penserà la vita ad addestrarli”, ma quando li dovranno affrontare non ne saranno capaci e saranno insofferenti ad ogni rinuncia o contrarietà. La proposta vocazionale in questo contesto sociale ed ecclesiale è destinata a suscitare un attonito senso di stupita incomprensione. Eppure il Signore continua a chiamare! Eppure i giovani sono generosi! Sanno riconoscere il bene e la verità quando li incontrano nella loro vita. L’esperienza ormai di molti anni di tante vocazioni nate dall’incontro con le Case della Carità, hanno dimostrato che portando i giovani a contatto con i poveri e la sofferenza ha suscitato in loro l’interrogativo di fondo di ogni uomo: “Signore, perché mi hai chiamato alla vita?” “che progetto hai su di me?” “Cosa vuoi che io faccia?”. Facendo l’esperienza della donazione gratuita del loro tempo, delle loro energie, del loro amore peri più poveri, peri sofferenti, gli handicappati, ecc. hanno scoperto la bellezza di essere per l’altro. Hanno scoperto che “nel dono di sé sta la vera realizzazione dell’uomo, chiamato da Dio ad amare”.
Le Case della Carità sono piccoli “tabernacoli” che vivono nelle Parrocchie e accolgono un numero limitato (20/30) poveri, malati, handicappati, anziani ecc. con cui le Carmelitane minori della carità o i Fratelli della Carità fanno famiglia. Mangiano con loro, pregano, soffrono, giocano con loro. Con loro gioiscono e condividono tutto come in una autentica famiglia, coinvolgendo in questo regale servizio tutti coloro che vogliono fare l’esperienza della carità, sia di alcune ore, o giorni, mesi, o anni. Il contatto con i poveri ha aperto a molti il cuore all’incontro profondo con Dio. Gesù si è fatto loro vicino, nella persona del bisognoso, per incontrarli, per aprire loro gli occhi, per sciogliere, a volte, la durezza del loro cuore, per manifestare loro la grandezza dell’amore con cui li ha amati. Ha rivelato loro che nel Povero Egli è presente e si dona a loro, come si dona ad ogni cristiano, nella Parola e nell’Eucaristia (ETC, 1). Ha permesso loro di scoprire la gioia immensa del donarsi, la pace che ne deriva e ha suscitato in loro il desiderio di donarsi di nuovo.
Ma tutto ciò non basta. Se lo si fa per semplice filantropia ha il fiato corto. Si deve aiutare i giovani a scoprire la radice vera del servizio, ciò che da senso all’impegno anche quando non se ne ha voglia, quando si è stanchi, quando pare di non avere tempo, quando non si trova un immediato tornaconto…La Congregazione Mariana delle Case della Carità ha come suo emblema un cesto con tre pani che rappresentano: il pane della Parola di Dio, il Pane dell’Eucaristia e il Pane dei Poveri; È proprio dalla unità di queste tre mense che trova la sua ispirazione per il servizio che compie. Infatti nella Casa della Carità si celebra ogni giorno la Liturgia delle Ore e l’Eucaristia. E questo aiuta a comprendere che ciò che spinge al servizio degli ultimi non è un semplice volontarismo, ma l’amore del Signore. Il servizio dei poveri e dei diseredati rimanda a Lui. Il Fondatore delle Case della Carità, Mons. Mario Prandi, aveva intuito molto bene tutto questo. E chiedeva a coloro che prestavano il loro ausiliariato nelle Case della Carità di partecipare alla preghiera che si celebra nelle Case, alla celebrazione dell’Eucaristia e alla adorazione Eucaristica. Anzi diceva spesso: “venite ad aiutarci a pregare; il servizio ai poveri lo farete dopo, se potete, e lo farete certamente meglio, ma aiutateci a lodare il Signore”. Comprendeva molto bene infatti che il servizio ai poveri diventa “vera liturgia” se parte dal Signore e dal mistero immensamente grande del suo amore che è l’Eucaristia. Se si comprende l’Eucaristia si compie necessariamente la carità. Si comprende che la carità non può essere un fatto opzionale e delegabile, ma un “necessario” alla vita cristiana. Diceva, infatti, che se l’Eucaristia si limita al momento liturgico della celebrazione e non si apre alla Carità è incompleta e falsa, perché non rispecchia e non rispetta il progetto d’amore che Gesù vi ha posto nell’Ultima Cena: il dono totale e gratuito di sé. (Cfr. 1 Cor 11,17ss). Nel 1972, con un linguaggio che gli era tipico e che può suonare strano nella sua terminologia, scriveva: “Si serve,si adora, si celebra, si loda Dio in loro (i poveri), con gioia e con premura come per la Parola e l’Eucaristia. E si cerca Dio in loro come si cerca nella Parola e nella Eucaristia. E si “usano” i Poveri come si “usa” della Parola e dell’Eucaristia. Quindi si cerca di mettere tutto il culto e la liturgia che si ha per la Parola e l’Eucaristia anche per i Poveri”.
Facendo famiglia con i poveri e i consacrati della Casa i giovani partecipano a tutti i momenti di preghiera come un momento importante della giornata. E questa l’ascesi che ha portato tanti giovani a riscoprire la bellezza e la completezza della vita cristiana; la necessità inderogabile di scoprire nella propria vita il progetto di amore per il quale Dio li ha chiamati all’esistenza. Li ha aiutati a tornare alla fedeltà della preghiera, della messa domenicale. Li ha educati a guardarsi attorno, ad andare in cerca delle situazioni di povertà, di solitudine e di emarginazione. Ha posto loro l’interrogativo esistenziale sul senso delle cose che stavano facendo. Sono tornati nelle Parrocchie con la coscienza di un dono ricevuto da condividere in un impegno serio verso la Comunità. Inoltre il povero è un eccezionale maestro di vita! Ci ridimensiona! Fa comprendere ai giovani che la pretesa di avere tutto, di essere sempre sulla cresta dell’onda, di essere affascinanti, attraenti, seducenti, ecc. è un inutile affanno. Fa capire loro che altri sono i valor! Fa loro comprendere che la vita è un dono meraviglioso di Dio, e non può essere sciupata nell’esasperata ricerca di se stessi, nell’egoistico inseguimento di un edonismo frustrante che svilisce la dignità dell’uomo. Con la sua disarmante semplicità spesso mette K.O.
Sono tanti gli esempi che si potrebbero narrare! Quanti giovani che, venuti per caso in contatto con i poveri, ne sono rimasti affascinati. Giovani che si dicevano atei perché identificavano la fede, che rifiutavano, semplicemente con lo stile di vita di parenti e conoscenti incoerenti, che si definivano credenti e praticanti. Giovani feriti nell’affettività da situazioni familiari non serene, che hanno ritrovato, nella condivisione con i poveri, il senso e il gusto della famiglia. Quante giovani coppie hanno scoperto, in questo contatto, la pienezza di senso della loro vocazione matrimoniale, aprendo la loro casa all’accoglienza, all’affido o all’adozione anche di bambini handicappati. In altre parole hanno compreso e sperimentato quanto vera è la Parola: “beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3).