N.06
Novembre/Dicembre 1994

“Ora et labora” : il significato dell’ascesi nel monastero benedettino di Germagno

È sempre delicato parlare d’ascesi, tanto più quando si deve parlare della propria o di quella della propria comunità d’appartenenza: il disagio viene soprattutto dalla distanza esistente sempre tra ideale o programma ascetico e sua pratica quotidiana, e questo anche qualora si andasse molto più in là di quanto previsto poiché al Dio di Gesù Cristo l’ascesi gradita è quella del cuore ed essa s’accompagna all’umiltà, virtù sulla quale il proprio sguardo più difetta di discernimento.Dovendo però, presenteremo dapprima gli elementi che costituiscono il peculiare cammino ascetico nella nostra comunità per darne poi un’interpretazione che ne faccia emergere il significato. Punto di riferimento delle scelte operate negli anni, rimane la Regola di Benedetto di cui san Gregorio Magno e la storia del cristianesimo in occidente riconoscono il carattere precipuo della discrezione 

 

Elementi di ascesi nella giornata monastica

– L’orario

La giornata è scandita sui ritmi delle ore liturgiche canoniche in modo tale che esse siano celebrate il più possibile nel rispetto della “veritas horarum”e con l’attenzione a mai unire diversi momenti liturgici. Il richiamo alla preghiera frammenta non solo la vita diurna, ma anche le ore notturne, poiché le Vigilie si celebrano nel cuore della notte a ricordare la vittoria della Vita sulla morte, di cui il sonno è simbolo. Così si è scelto di anteporre ad ogni attività e alla sua efficacia la preghiera per dichiararne anche con la vita il primato. L’orario poi subisce leggere variazioni nell’arco della settimana ad analogia della Settimana Santa, progredendo verso il giorno nuovo, il giorno del Signore, del quale la Chiesa celebra in festa la Resurrezione.

 

– La preghiera

Nel cammino comunitario la preghiera conosce una forma d’ascesi nella comunione del canto che tutta la pervade: cantare insieme implica una duplice ascesi sotto forma di duplice esodo da sé, quella dell’attenzione al testo che viene cantato – “la nostra mente concordi con la nostra voce” (RB 19,7) – è quella dell’attenzione ai fratelli per modulare e ritmare il canto insieme. Ricca di segni e di gesti precisi che la rendono viva e bella, essa richiede fedeltà attenta ad essi, sia nella preparazione che nell’esecuzione, perché il loro significato non si perda rendendo più scialbo il momento liturgico. Anche alcuni momenti comuni di preghiera silenziosa alla presenza di Dio stanno ad indicare, come la preghiera liturgica, il cammino personale di ognuno verso la preghiera continua, desiderio e meta di tutta la preghiera comune.

 

– La vita comune

Cara a tutta la tradizione cenobitica, la vita comune nel monastero di Germagno si esprime con la sottolineatura d’alcuni aspetti raccomandati dalla Regola di Benedetto: la disappropriazione, attraverso la messa in comune del maggior numero di beni d’uso e la limitazione degli oggetti che ciascuno può conservare nella propria cella; la cura nell’evitare ogni singolarità durante gli atti della vita comune, ciò reso più facile anche dall’ampiezza dei tempi di solitudine che permettono un cammino ascetico più personale e nascosto. Momento comunitario di richiamo alle esigenze della vita comune è l’Aiuto fraterno, riunione in cui ci si esorta alla fedeltà ed insieme s’impara la pazienza dinanzi alle “infermità fisiche e morali dei fratelli”.

 

– La solitudine e la separazione

La giornata conosce ampi tempi, trascorsi preferibilmente in cella, durante i quali i fratelli sono esortati a non ritrovarsi insieme se non per necessità importanti: ognuno può quindi avere un notevole tempo in cui rimanere solo e apprendere ad “habitare secum”. Questo è favorito anche dalla riduzione delle ricreazioni comunitarie limitate a due sere per settimana, per sottolinearne l’aspetto festivo. La preghiera, il ricordo di Dio e il personale e silenzioso confronto che la lettura permette fanno sì che la solitudine non sia un muto ripiegamento su di sé ma un prezioso tempo di crescita e di quiete. Essa è anche sostenuta tanto dalla separazione del luogo da centri abitati quanto dall’esclusione d’attività pastorali esterne e ancora dalla limitazione delle uscite allo stretto necessario per la vita fisica o spirituale dei fratelli.

 

– Il silenzio

Il clima di silenzio richiesto durante tutta la giornata prolunga l’esperienza positiva della solitudine anche ai momenti in cui ci si trova insieme soprattutto per il lavoro manuale. Una particolare attenzione è richiesta perché il parlare sia scelta voluta e non evento subito per scarsa vigilanza. In questo modo silenzio e parola possono diventare ambiti diversificati ma reali di un continuo dialogo fraterno.

 

– Il lavoro

Svolto quasi esclusivamente “intra septa monasterii”, il lavoro è artigianale o agricolo e mette più in risalto la manualità facendo del lavoro un’occasione d’esercizio d’umiltà e di condivisione più eloquente con i poveri. I fratelli sono chiamati a svolgere a turno tutti i lavori domestici, anche i più umili, permettendo così a ciascuno di confrontarsi con tali servizi desueti spesso per gli uomini e nel contempo di servirsi vicendevolmente nel quotidiano più semplice. Nel vivere le varie responsabilità, ciascuno gode di una certa autonomia fondata sul principio di sussidiarietà: così, accanto all’obbedienza al superiore, si è chiamati a vivere l’ascesi dell’obbedienza reciproca in uno sforzo di più ampio esodo da sé.

 

– L’alimentazione

Mantenendo viva l’esitazione confessata dallo stesso san Benedetto circa il misurare il vitto altrui, la comunità ha limitato le regole e le astinenze alimentari, permettendo però, attraverso l’uso della colazione e della cena in libero servizio, una più personale possibilità di pratica del digiuno. L’alimentazione, studiata per permettere un più facile adeguamento all’orario, conosce varianti sensibili tra tempo estivo e invernale e nei tempi liturgici tra loro. L’uso delle carni, limitato a due volte alla settimana, è sospeso nei tempi d’Avvento e di Quaresima.

 

 

Il significato dell’ascesi

Come ogni ascesi cristiana, anche quella derivante dalle scelte operate dalla nostra comunità vuole sostenere e facilitare il cammino di conversione verso una nuova dimensione della vita, verso un’esperienza – e poi una testimonianza – della vita nuova in Cristo. Dono dall’Alto, essa crea e nello stesso tempo chiede le condizioni per poter operare in modo visibile nelle persone. Ci sembra comunque di poter individuare dalle scelte ascetiche sopra elencate alcuni significati più chiaramente sottolineati e che sono specifici del cammino monastico.

 

– Il cammino verso l’interiorità e accoglienza di sé

Solitudine, silenzio, separazione, vita di preghiera: tanti elementi per significare l’urgenza per ogni fratello di un riconoscimento e un approfondimento della propria identità, della propria storia, delle proprie forze, delle proprie fragilità. Anche la larga parte d’autonomia concessa tanto nella vita più personale e ascetica quanto nelle responsabilità affidate – pur sotto l’occhio vigile del superiore e lo sguardo discreto dei fratelli – permettono di confrontarsi con il cammino della propria personale libertà di figli di Dio. Riconoscimenti, approfondimenti, confronti che implicano – dopo eventuali illusioni, disillusioni, scoraggiamenti – la fatica dell’accoglienza di sé senza la quale la vita perde senso e forza e la durata nella fedeltà diventa impossibile.

 

– Il cammino verso l’altro accoglienza del reale

L’assenza d’attività esterne e la stretta vita fraterna che essa implica, l’obbedienza reciproca, la comunione dei beni e la comunitarietà di tante pratiche ascetiche, la stessa vita liturgica e il suo svolgimento, danno all’ascesi un carattere di forte apertura all’altro sia come esposizione di sé ai fratelli, sia come accoglienza dell’altro nelle sue differenze e nei suoi limiti. Anche a causa del piccolo numero -ascesi non voluta, ma non meno reale – questo cammino verso l’altro vuole esser e si rivela una scuola per accogliere umilmente il reale, sempre più bello di ogni ideale pur così bello.

 

– La centralità della Resurrezione

Sono soprattutto le esigenze dell’orario e della liturgia che vogliono dare alla vita ascetica un senso e una prospettiva: la Veglia nella notte e il cammino ben sottolineato verso la Pasqua settimanale stanno ad indicare che tutta l’ascesi non è per una mortificazione, bensì per una vita nuova e più piena. Così come nella vita liturgica, anche nella vita comunitaria, il sacrificio del feriale conosce l’eccedere della festa che mostra il volto pieno della vita, il pregusto del Regno, l’alba nuova – già data ed attesa – del Risorto.