La “lettera alle famiglie” di Giovanni Paolo II: una lettura vocazionale
È stato affermato, con ragione, che tra i tanti documenti ufficiali del magistero ecclesiastico sulla famiglia – sia della Santa Sede che dei vari episcopati – probabilmente non c’è niente di altrettanto ricco e persuasivo della recente Lettera alle famiglie del Papa. Ma il riscontro con l’accoglienza effettiva da parte delle famiglie e delle nostre comunità ecclesiali (parrocchia, diocesi) forse non è altrettanto positivo; si tratta di una distorsione in atto già da tempo, di una certa contraddizione tra comunione affettiva e comunione effettiva, calorosa la prima e quasi totale nei confronti del magistero del Santo Padre, più lenta e a volte carente la seconda. Tra le ragioni possibili v’è anche quella di non sapere collegare con sapienza il tema proprio di un documento con i problemi immediati che si devono affrontare. Nel nostro caso, poiché si parla delle famiglie, può venire la tentazione di metterla in disparte perché l’attenzione è incentrata su altri aspetti: la propria vocazione, il servizio ministeriale, ecc. Ciò capita in particolare a preti e persone di vita consacrata.
La Lettera invece riguarda tutti, è diretta all’intera Chiesa. In modo esplicito è rivolta – oltre a sposi e famiglie – alle chiese particolari, ai Vescovi, ai presbiteri, alle famiglie religiose e alle persone consacrate, all’intera famiglia cristiana e umana (cfr. n. 23). A tutti è chiesto di essere testimoni viventi del mistero dell’amore che da Dio passa attraverso le famiglie nella vita delle persone portandole verso la santità. “Attraverso la famiglia fluisce la storia dell’uomo, la storia della salvezza dell’umanità” (n. 23), fluisce dunque il mistero della vocazione con cui Dio chiama ogni persona a vivere in Cristo perché possa crescere nella maturità e nella realizzazione del proprio destino (cfr. Ef 4,15-16).
Vogliamo qui di seguito mettere in luce qualche aspetto della singolare relazione che passa tra famiglia e vocazione/vocazioni; vogliamo anche offrire alcuni criteri per una lettura vocazionale del testo pontificio.
Verità e amore
La Lettera ha una sua tessitura unitaria e uno svolgimento lineare. Due grandi parti rappresentano altrettanti capitoli di un discorso; nella prima (La civiltà dell’amore) è richiamata la dignità della famiglia colta nella sua originale identità e nei suoi compiti; nella seconda (Lo sposo è con voi) è contenuta una meditazione orante sulla presenza di Cristo nel cuore e nella vita degli sposi e delle famiglie. La parola chiave che fa da filo conduttore può essere ravvisata in quella consueta nel magistero di Giovanni Paolo II: verità. È la verità sulla persona, sulla coppia, sulla famiglia, sulla libertà; in un momento in cui sia alcune realtà sia i concetti con cui vengono espresse sembrano aver perso il loro significato essenziale, il Papa con suadente tenerezza e affetto riconduce uomini e donne di oggi alla verità del “principio”, ossia a ciò che Dio ha voluto e realizzato intorno ai “beni” che abbiamo enumerato.
Si nota subito come la parola verità, così espressiva nel pensiero di Giovanni Paolo II, è sempre accompagnata dalla parola amore: l’uomo, il nuovo essere umano, non diversamente dai genitori, è chiamato all’esistenza come persona, è chiamato alla vita “nella verità e nell’amore” (n. 9). Ne segue che ogni persona umana, per comprendere se stessa nella realtà più profonda, deve interrogare l’amore. Nel binomio verità-amore troviamo la luce per cogliere anche la dimensione vocazionale che ci sta a cuore.
Appare necessario qui richiamare il densissimo n. 9 che porta il sottotitolo: Genealogia della persona. Ecco una sintesi di pensieri svolti (ma il lettore legga direttamente il testo, non spaventandosi di qualche difficoltà).
Vocazione a esistere “secondo Dio”
La genesi dell’uomo non risponde soltanto alle leggi della biologia, come se fosse un semplice fatto di costruzione; anche i genitori collaborano con Dio nelle generazioni dei figli non soltanto secondo le leggi biologiche. La persona che viene alla luce risponde direttamente “alla volontà creatrice di Dio… Dio ha voluto l’uomo fin dal principio e Dio lo vuole in ogni concepimento e nascita umana”.
All’inizio, dunque, sta una chiamata alla vita “secondo Dio”, una vocazione della quale l’uomo e la donna, come sposi, diventano corresponsabili in nome di Dio.
Vocazione alla comunione con Dio
“Dio vuole l’uomo come un essere simile a sé, come persona… Nella costituzione personale di ognuno è inscritta la volontà di Dio che vuole l’uomo finalizzato in un certo senso a se stesso. Dio consegna l’uomo a se stesso, affidandolo contemporaneamente alla famiglia e alla società, come loro compito”. La somiglianza con Dio sta nella comunione; Dio Trinità è comunione e la comunione è il contenuto fondamentale della persona umana: “la ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio”[1].
C’è qui un mirabile circuito di verità: Dio – uomo – vocazione – comunione. Ogni persona è chiamata e destinata a esprimere in pienezza la sua umanità, a ritrovarsi come persona; “essere uomo” è la sua fondamentale vocazione a misura del dono ricevuto. Ma “essere uomo” significa “stare in comunione”.
Vocazione al dono sincero di sé
Anche la famiglia ha una sua vocazione congenita, quella di consentire a ogni persona di essere “se stessa”, di ritrovarsi sempre con la sua vocazione fondamentale, la comunione. La famiglia vive la sua vocazione aiutando ogni suo membro a “ritrovarsi” mediante il dono sincero di sé (cfr. n. 14). E il dono, continua il testo, è ovviamente tale se è riferito all’altro che lo riceve. L’altro è essenziale alla persona perché questa possa vivere in pienezza la sua vocazione: la comunione.
Risalta qui una visione assolutamente originale della famiglia: “il modello originario della famiglia va ricercato in Dio stesso… Il ‘Noi’ divino costituisce il modello eterno del ‘noi’ umano” (n. 6). Non un semplice fatto umano, dunque, ma una realtà complessa dove umano e divino s’incrociano e dove Cristo si fa presente in un modo peculiare: questa è la famiglia “cristiana”, portata a compimento della sua vocazione “naturale”.
La famiglia è, dunque, una comunità di persone, ciascuna segnata da una sua irriducibile vocazione; ma la stessa comunità familiare ha una sua vocazione propria, quella di far fluire nella storia dell’uomo la “civiltà dell’amore”, ossia “l’umanizzazione dell’uomo”. Un’umanizzazione che trova in Cristo la sua sorgente e il suo dinamismo, perché è “Cristo che svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (n. 13) [2].
Ogni vocazione è un fatto d’amore
Ci sembra questo il punto focale della Lettera, commovente sigillo di un’intera vita dedicata dal Papa ai “grandi beni che sono il matrimonio, la famiglia e la vita” (n. 23); non solo insegnamento, esortazione e ammonimento ma anche invito a portare allo scoperto nella vita una profonda riconoscenza e gratitudine per un dono ricevuto. Non mancano accenni diretti al tema vocazionale; nel n. 16 ad esempio si parla in modo esplicito dell’educazione come compito della famiglia e, in essa, si chiede di non tralasciare la questione essenziale della scelta vocazionale; si aggiunge, con un tocco prezioso, che “solo le famiglie spiritualmente mature possono affrontare in modo adeguato tale impegno”.
Ma l’orizzonte vocazionale della Lettera è più vasto e, in definitiva, più coinvolgente. Ne è conferma il seguente brano che ci sembra avere accenti stupendi: “È il vangelo dell’amore l’inesauribile sorgente di tutto ciò di cui si nutre la famiglia umana come ‘comunione di persone’. Nell’amore trova sostegno e senso definitivo l’intero processo educativo, come frutto maturo della reciproca donazione dei genitori. Mediante le fatiche, le sofferenze e le delusioni che accompagnano l’educazione della persona, l’amore non cessa di essere sottoposto ad una continua verifica. Per superare quest’esame occorre una sorgente di forza spirituale che si trova solo in Colui che ‘amò sino alla fine’” (n. 16).
L’amore, dunque, è il sigillo rivelatore di ogni vocazione. Ne è anche il segno e criterio di autenticità. Ogni vocazione vive d’amore.
Note
[1] Gaudium et spes, n. 19.
[2] Ivi, n. 22.