«Nessun profeta è bene accetto nella sua patria» (Lc 4,24)
Omelia del 5 luglio 2009
Carissimi Fratelli nell’Episcopato!
Cari Fratelli nel Servizio Sacerdotale!
Sorelle e Fratelli in Cristo!
Abbiamo ascoltato la Parola di Dio. Come ci ha ricordato la nostra Magna Charta della pastorale vocazionale: «“Nuove Vocazioni per una Nuova Europa”, ogni incontro o dialogo nel Vangelo ha un significato vocazionale: quando Gesù cammina per le strade della Galilea è sempre inviato dal Padre per chiamare l’uomo a salvezza e svelargli il progetto del Padre stesso». Come abbiamo appena ascoltato, Gesù è venuto nella sua patria e i suoi discepoli lo hanno seguito. È venuto ad incontrare gli uomini, per insegnare loro e per chiamarli alla conversione e alla salvezza. È venuto, come possiamo scoprire, «tra la sua gente, ma – come scrive Giovanni – i suoi non l’hanno accolto». C’è davanti a noi un mondo che non accetta la novità di Gesù, che chiude davanti a lui i suoi occhi e il suo cuore, che – prendendo le parole del profeta Ezechiele – è «una razza di ribelli, figli testardi e dal cuore indurito». «L’immagine del terreno – ci diceva ieri durante l’udienza il Santo Padre Benedetto XVI – anche oggi può evocare la realtà più o meno buona della famiglia umana; l’ambiente talvolta arido e duro del lavoro», aggiungiamo, anche del nostro lavoro. Ma questa terra – ha detto ancora il Pontefice – «è soprattutto il cuore di ogni uomo, in particolare dei giovani (…), un cuore spesso confuso e disorientato». Abbiamo ascoltato che Gesù, pur sapendo tutto questo, «giunto il sabato a Nazareth, si mise ad insegnare nella sinagoga». Il Papa ci ha spiegato ieri che il Signore, «con abbondanza e gratuità, getta il seme della Parola di Dio, pur sapendo che esso potrà trovare il terreno inadeguato, che non gli permetterà di maturare a motivo dell’aridità (…). Tuttavia, il seminatore non si scoraggia, perché sa che una parte di questo seme è destinata a trovare il terreno buono». Non si scoraggia il Seminatore e non si scoraggiano, anzi, non si possono scoraggiare i suoi discepoli, perché, se esistono tante difficoltà, c’è anche un grande desiderio della Parola, questa Parola che chiama e invia…
Amici miei! In questi giorni di riflessione e di comune preghiera volevamo scoprire – e penso che abbiamo scoperto – soprattutto la grande forza della Parola di Dio. Ovviamente, ci siamo chiesti anche noi, perché questa Parola non viene facilmente accolta? Per quale ragione, per quale motivo, anche oggi il terreno, la nostra terra, cioè i cuori dei nostri contemporanei, dei giovani europei sono spesso chiusi alla chiamata che viene da Dio? Se è vero, come sottolineava in un altro luogo Benedetto XVI, «che la predicazione cristiana non proclama le “parole”, ma la Parola, e l’annuncio coincide sempre con la persona stessa di Cristo», sorge la domanda: «Perché anche oggi i suoi non l’hanno accolto, non vogliono accogliere Cristo, la Parola vivente nella propria vita?». Scoprendo il terreno su cui oggi cade la Parola di vocazione, svelando le difficoltà, decifrandole e individuandole, non ci siamo, però, fermati a dispiacerci. Anche Gesù, nel Vangelo di oggi, non si è fermato a lamentarsi davanti a questa terra arida. Non si è ritirato. È vero, come scrive l’evangelista Marco, egli «si meravigliava della loro incredulità», ma ha perseverato nella sua missione. Gesù, pur non accolto nella sua patria, tuttavia «percorreva i villaggi d’intorno insegnando». E di nuovo, si è aperta la possibilità – ripetiamolo – che «ogni incontro o dialogo nel Vangelo ha un significato vocazionale: quando Gesù cammina per le strade della Galilea è sempre inviato dal Padre per chiamare l’uomo a salvezza e svelargli il suo progetto di Padre misericordioso».
Carissimi Sorelle e Fratelli in Cristo! Uno dei passaggi che mi ha veramente colpito nelle parole del Santo Padre è stato il riferimento ad un’altra parabola di Gesù che utilizza l’immagine del seme: «Se il chicco di grano caduto in terra (…) muore, produce molto frutto». Il Papa ha definito in questo modo la vera fecondità di ogni pastorale vocazionale nella Chiesa. Padre Cencini, nella sua proposta vocazionale, riferendosi alla Seconda Lettera di San Paolo ai Corinzi, ci ha detto che ci vuole proprio una seconda chiamata, come è accaduto a San Paolo, perché, come scrive l’Apostolo, «dimori in me la potenza di Cristo». E il risultato è che la Parola di Dio diventa veramente luce e forza in noi stessi, diventa sorgente di speranza, attraverso la Croce di Gesù, che è pienezza di amore. Noi, quindi, non dobbiamo perdere il coraggio. Non possiamo perdere il coraggio! Gesù sempre ci invita alla sua sequela. Dobbiamo – ancora una citazione dal discorso del Papa – «essere noi stessi per primi “chicco di grano”, che rinuncia a se stesso per fare la volontà del Padre; che sa vivere nascosto dal clamore e dal rumore; che rinuncia alla ricerca di quella visibilità e grandezza d’immagine che oggi spesso diventano criteri e addirittura scopi di vita in tanta parte della nostra cultura».
Amici miei! Vogliamo, quindi, essere portatori della speranza, portatori di questo stile di vita che sa accogliere la Parola di Dio, che ci invita alla conversione del cuore, alla rinuncia a noi stessi, a dedicarci pienamente al servizio e alla salvezza degli altri.
Chiediamo al Signore che nella nostra vita la sua Parola si faccia sempre compagna del nostro viaggio, ci incoraggi, ci incroci per rivelarci l’amoroso progetto del Padre.
Fra poco, anche noi torneremo nella nostra patria. Cosa troveremo? Davanti a quale situazione ci troveremo? Vogliamo che rimanga nel nostro cuore questa immagine del Vangelo che in questi giorni abbiamo avuto davanti ai nostri occhi – il Seminatore che uscì a seminare. E sarà anche possibile che, come ci indicava ancora una volta Benedetto XVI, «la Parola del Signore dimori in noi – prima di tutto in noi stessi – rinnovi i nostri cuori e la nostra mente, ci dia la vera luce, l’amore pieno di dedizione, e la pace, questa pace, che solo Dio può donare». Questo auguro a tutti voi e a me stesso. Amen.