Ricostruire ponti
Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene (Rm 12,21)
Il santuario
La Basilica di Santa Rita di Cascia nasce da un sogno: accogliere i devoti ritiani di tutto il mondo. A realizzarlo, mentre tutto crolla sotto le bombe della Seconda Guerra Mondiale è la Beata Madre Maria Teresa Fasce, Badessa rivoluzionaria del Monastero Santa Rita, che costruisce il futuro. Nel 1937, il Cardinale Enrico Gasparri pone la prima pietra. La consacrazione arriva nel 1947 e l’erezione a Basilica, nel 1955. A renderla un’opera d’arte, il lavoro di tanti artisti. Ad iniziare dal portale, incorniciato dai bassorilievi di Eros Pellini, che raffigurano momenti della vita della santa. L’interno, a croce greca, è costituito da una cupola centrale, affrescata da Luigi Montanarini, e quattro grandi absidi. In quello principale, il presbiterio è impreziosito dalle sculture in bronzo di Giacomo Manzù. Gli affreschi sono di Luigi Filocamo. L’abside d’ingresso è affrescato, invece, da Silvio Consadori e accoglie l’altare laterale di San Giuseppe con il bambino Gesù, di Cesarino Vincenzi. Nell’abside dell’Assunta splende l’affresco di Gisberto Ceracchini. La pala sull’altare di Giuseppe Valerio Egger raffigura la Madonna della Consolazione, mentre, a lato, S. Agostino e S. Monica ricevono la cintura, simbolo della famiglia agostiniana. L’abside di Santa Rita è stato affrescato da Ferruccio Ferrazzi: al centro, il Cristo Giudice seduto in trono e ai suoi piedi Santa Rita poggia dolcemente la testa sulle ginocchia del Salvatore; umile e fiduciosa, intercede grazia per i suoi devoti. Infine, arriviamo alla Cappella di Santa Rita, in stile neobizantino, dietro la grande grata in ferro battuto. L’urna contiene il corpo della santa dei casi impossibili, posto qui il 18 maggio 1947. Lungo le pareti, si ammirano sette tele di Giovan Battista Galizzi, che raffigura la santa dalla nascita fino al transito. Tutte le colonne sostengono il matroneo riservato alla preghiera delle monache agostiniane. Il Monastero Santa Rita, infatti, è l’anima storica della Basilica, con la quale si fonde totalmente. La parte antica risale alla fine del 1200, ma il Monastero che vediamo oggi è frutto di due ampliamenti. Il primo nel 1700 grazie alle offerte del re del Portogallo, guarito di cancro per intercessione della santa. Il secondo con la costruzione della Basilica. Nel Monastero, Santa Rita visse 40 anni, fino alla morte. 06Un esempio al quale, anche dopo secoli, molti devoti si rivolgono, visitando i luoghi della santa, che vivono come la propria casa.
Segni che chiamano
Pensare all’amore è sempre un correre nel calore del grembo in cui senza volerlo ci siamo trovati ad imparare il ritmo del battito del cuore e ad incominciare a far nostri i movimenti del respiro. In quel grembo occorre ritornare per cogliere i tratti del mistero che ci appartiene, di cui siamo plasmati. In quel grembo abbiamo imparato, senza volerlo, a stupirci di ogni rumore che ci sembrava dell’altro mondo. In quel grembo abbiamo imparato, senza volerlo, a cogliere ogni fremito di vita che ci veniva da nostra madre. In quel grembo, senza volerlo, abbiamo imparato l’arte dell’abbandono, gustando la bellezza di lasciarci portare. Ecco perché dovremmo tornare spesso lì, in quel grembo! è il grembo che ci ha insegnato ad ammirare il miracolo della vita che prende forma. È il grembo che ci ha insegnato la gioia del prendersi cura, senza riserve, senza calcoli. È il grembo che ci ha insegnato la tenerezza del perdono, rispondendo con una carezza ad ogni nostro scalciare. È il grembo che ci ha insegnato l’arte di custodire sempre l’altro, riconoscendone la preziosità. Ecco perché ritornare spesso lì, in quel grembo, in cui i silenzi erano canti. E Rita ne è testimone! Testimone di un grembo che si è saputo allargare nell’ospitare i corpi dei suoi figli. Testimone di un grembo che si è saputo stringere nel salvare l’anima dei suoi figli. Testimone di un grembo che si è saputo ri-allargare per far spazio ad una vita tutta immersa nella Bellezza di Dio. Testimone di un grembo che vive in ciascuno di noi, quel grembo della Grazia dove ci alleniamo all’arte della gentilezza. «La gentilezza è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici. Oggi raramente si trovano tempo ed energie disponibili per soffermarsi a trattare bene gli altri, a dire permesso, scusa, grazie. Eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza. Questo sforzo, vissuto ogni giorno, è capace di creare quella convivenza sana che vince le incomprensioni e previene i conflitti. La pratica della gentilezza non è un particolare secondario né un atteggiamento superficiale o borghese. Dal momento che presuppone stima e rispetto, quando si fa cultura in una società trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti» (Fratelli tutti, 224).