Giorni e nuvole
Il regista
Silvio Soldini nasce a Milano nel1958. Si iscrive alla facoltà di Scienze politiche, ma a 21 anni abbandona l’Università e si reca a New York per frequentare un corso di cinema. Dopo alcune esperienze nel campo documentaristico, nel corto e medio metraggio, debutta nel lungometraggio nel 1989 con L’aria serena dell’ovest. Nel 1993 realizza Un’anima divisa in due, presentato in concorso a Venezia. Nel 1997 è la volta di Le acrobate e nel 2000 ottiene un grosso successo anche di pubblico con Pane e tulipani, vincitore di 9 David di Donatello e 5 Nastri d’argento. Nel 2001 dirige Brucio nel vento, in concorso per l’Italia al Festival del cinema di Berlino, e nel 2004 Agata e la tempesta. Giorni e nuvole (2007) è stato presentato alla seconda edizione della Festa del Cinema di Roma.
La vicenda La vicenda è ambientata a Genova ai giorni nostri. Michele ed Elsa sono una coppia non più giovanissima che conduce un’esistenza agiata e tranquilla. Lui è dirigente di una società nautica e lei ha potuto smettere di lavorare per dedicarsi alla sua passione: il restauro e la storia dell’arte, in cui sta per laurearsi. Hanno una figlia di circa vent’anni, Alice, che ha sospeso gli studi per gestire con un amico un bistrot e che convive con il suo ragazzo, Ricky. Un bel giorno la situazione cambia radicalmente: Michele viene estromesso dalla società dagli altri due soci e si trova, alla sua età, senza un lavoro. Elsa lo viene a sapere solo dopo due mesi, proprio il giorno dopo la discussione della tesi e l’ottenimento della laurea.
Dapprima c’è la speranza di poter trovare una soluzione abbastanza rapidamente, ma più il tempo passa più si rendono conto che la situazione è complessa e difficile da risolvere. Elsa è costretta a lavorare in un call center e poi anche come segretaria presso dei broker navali; Michele, dopo aver rifiutato proposte ritenute non adeguate, si adatta a fare un po’ di tutto. Naturalmente il tenore di vita si abbassa enormemente e la coppia si vede costretta a vendere prima la barca e poi anche la casa, e a traslocare in un appartamento preso in affitto.
Tutto ciò produce tensioni e litigi, sia tra i due coniugi, sia tra Michele ed Alice, che già in precedenza avevano un rapporto conflittuale. Poco alla volta le cose precipitano: Michele, avvilito, si chiude in se stesso; Elsa, esasperata, tradisce il marito con il capoufficio. Tra i due è rottura e tutto sembra essere finito. Ma poi, anche con l’aiuto di Alice, i due riescono a ritrovare quei valori semplici ma forti che li avevano sempre sostenuti e capiscono che, con la forza del loro amore, è possibile ripartire daccapo, vivendo una vita più povera, ma serena e dignitosa.
Il racconto
Già il titolo del film è piuttosto significativo: i giorni rappresentano la vita, la vita di ogni giorno che ciascuno di noi vive come meglio può; le nuvole sono le difficoltà, gli imprevisti sgradevoli che di tanto in tanto si abbattono su di noi e che rischiano di farci affondare.
La struttura
La struttura del film è semplice e lineare, ma già dall’incipit è possibile cogliere due elementi strutturali che avranno un peso determinante nella significazione dell’opera.
Le prime immagini, infatti, rappresentano la città di Genova ripresa dall’alto e, con una panoramica verso destra, vanno a mostrare certi aspetti di quella città industriale (i grattacieli, il porto, le strade, ecc.) che diventano emblematici di un certo sistema economico e sociale che caratterizza la nostra epoca. Queste immagini, sempre scure, a volte plumbee e squallide, sono montate in parallelo, per contrasto, con le bellissime immagini delle diapositive che Elsa sta mostrando nel discutere la sua tesi di laurea: una Madonna con bambino, S. Giorgio e il drago, ecc., da lei attribuite ad un certo Boniforte.
Queste ultime immagini sembrano invece rappresentare il richiamo a quei valori di bellezza, di bontà, ecc., che risulteranno determinanti per la positiva conclusione della vicenda. Si è parlato di due elementi strutturali: infatti, essi non sono presenti soltanto all’inizio del film, ma contrappuntano tutta l’opera, che racconta le metamorfosi di una coppia dei nostri giorni. A più riprese, infatti, ritornano le immagini della città di Genova; non la bellissima Genova che si vede in certi scorci paesaggistici e che costituisce lo sfondo narrativo di quella storia, ma di una Genova quasi irriconoscibile, scura e inquietante, che, come si è detto, diventa emblematica del mondo moderno, basato su un sistema di sviluppo caotico e disumano. Per di più, in queste immagini sono quasi sempre presenti delle nuvole, di cui s’è già parlato a proposito del titolo. Ma è significativo che anche l’altro elemento ritorni durante tutto il film: il fatto che Elsa stia lavorando, con due sue colleghe, al restauro di un affresco, diventa occasione per far emergere, poco alla volta e con grandi aspettative, delle forme artistiche sempre più definite fino a raggiungere la pienezza, quell’ Annunciazione dal chiaro valore simbolico. Ed è proprio davanti a quell’affresco finalmente riscoperto che Michele ed Elsa ritroveranno il coraggio e la forza di tornare insieme e di ricominciare daccapo.
Tutto il corpo centrale del film è poi volto a descrivere l’evoluzione dei due protagonisti, travolti da avvenimenti che sembrano più grandi di loro. È importante notare che l’inizio della vicenda vera e propria, dopo l’incipit di cui s’è detto, è costituito da un’immagine che potrebbe, anch’essa, avere un valore simbolico: marito e moglie vanno a festeggiare la laurea appena ottenuta e, prima di arrivare al bar in quello splendido posto a picco sul mare, passano attraverso un tunnel oscuro. Poi si dipanano i vari momenti della loro travagliata esperienza.
All’inizio tutto sembra funzionare nel migliore dei modi: il regalo degli orecchini, la festa a sorpresa degli amici, ecc. Ma si intuisce subito che qualcosa non va: Michele ad un certo punto si isola nel bagno e più tardi, a letto, guarda nel vuoto con un’espressione di angoscia. Il giorno dopo arriva il momento della verità. «Mi hanno fatto fuori – racconta alla moglie – sono due mesi che non lavoro». È importante anche capire il motivo per cui Michele è stato estromesso dalla società: egli possiede certi ideali e non accetta la logica economica che passa sopra le persone in nome del profitto. Morelli, il nuovo socio da poco entrato a far parte della ditta, ha incominciato a «licenziare, a diversificare, a spostare tutta la lavorazione all’estero». Michele non è mai stato d’accordo con questa impostazione e si è opposto ad ogni cambiamento. Per questo è stato messo in minoranza ed ora si ritrova solo. È significativo che quando incontra due ex operai (Vito e Luciano) che erano alle sue dipendenze riceva da loro attestazioni di gratitudine e di stima. «Ho fatto solo quello che mi sembrava più giusto», si schermisce Michele; «E le pare poco?», ribatte con convinzione Luciano. Ma forse questi sono tempi in cui anteporre le persone al profitto non paga, anzi ti taglia fuori e ti penalizza in modo traumatico.
Comunque, all’inizio c’è il tentativo disdrammatizzare, con la speranza di trovare presto una soluzione: «Non ti preoccupare; è solo un momento», ripete Michele ad Elsa che, di fronte a quella notizia, si sente crollare il mondo addosso e si dice terrorizzata. Certo, il nervosismo trapela e le tensioni aumentano. Soprattutto se erano già nell’aria, come nel rapporto con Alice, che Michele non aveva mai approvato per aver sospeso gli studi, investito dei soldi nel bistrot ed essersi fidanzata con Ricky. Due violenti litigi tra padre e figlia producono le prime lacerazioni: Alice abbandona la famiglia e va a vivere con Ricky.
È poi il momento della vergogna. Bisogna far finta di niente ed evitare che gli altri lo vengano a sapere. Ed ecco che Michele vuol pagare il conto al ristorante ad una coppia di amici, perché nessuno s’insospettisca; ed Elsa evita di rispondere alle telefonate dell’amica Nadia per non dover confessare che cosa è accaduto.
Michele si mette a cercare lavoro: fa dei colloqui, ma le offerte sono alquanto modeste e non adeguate alle sue competenze e alla sua esperienza di dirigente. S’incomincia a parlare di flessibilità, di precarietà. Elsa, che non ha posizioni professionali da difendere, si adatta a fare qualsiasi lavoro: tre ore al giorno in un call center per 500 euro al mese; lui, in attesa di ricevere qualche proposta, si adatta a fare i lavori di casa (la donna delle pulizie è stata licenziata e si è dovuto vendere la barca per pagarle la liquidazione). Poi, la reazione: Michele va in un’agenzia di lavoro interinale e accetta qualsiasi lavoro. Dovrà fare il pony express in giro per la città e verrà visto dalla figlia, alla quale finora aveva nascosto tutto per la vergogna.
È il momento dell’umiliazione. In un’immagine particolarmente significativa vediamo Michele nudo, sotto la doccia, in posizione fetale. È la terribile constatazione di aver fallito, di aver sbagliato tutto. Ma c’è ancora qualcosa di buono: la loro unione matrimoniale, che porta Elsa ad abbracciarlo e a consolarlo, incurante di bagnarsi anche lei sotto la doccia.
Prima di fare il grande passo del trasloco c’è spazio anche per un ripensamento. Forse qualche compromesso bisogna pure accettarlo. E Michele si reca da Roberto, il socio che ha contribuito ad estrometterlo, con parole concilianti: «Riconosco effettivamente che le vostre scelte sono state dettate da esigenze imprescindibili… forse i nostri toni si sono alzati troppo… si potrebbe rianalizzare il nostro rapporto». Ma, di fronte all’ipocrito tergiversare dell’ex amico, Michele sbotta e non esita ad offenderlo: i due litigano e vengono persino alle mani.
Le cose peggiorano sempre più. Ma se Elsa reagisce con tutte le sue forze e cerca un altro lavoro (anche a costo di abbandonare l’amato restauro), Michele, dopo aver eseguito alcuni lavori di ristrutturazione nel suo condomino con l’aiuto di Vito e di Luciano, rimasto solo quando questi due finalmente trovano un lavoro, si demoralizza e scappa, abbandonando a metà un lavoro che stava facendo, in preda alla disperazione. La macchina a mano lo segue mentre scappa come un animale ansimante e terrorizzato.
Va poi a vendere alcuni oggetti di casa per poter pagare la retta dell’ospizio all’anziano padre, col quale si confida, sconsolato: «È diventato tutto così difficile, faticoso… Elsa mi guarda e non mi vede… sono come un fantasma». Poi va a casa e si mette a letto, come un automa.
A questo punto le cose precipitano fino in fondo. Elsa cede alle avances del suo capo e poi, titubante, se ne torna a casa e si rifugia nella sua camera, al buio, con la testa tra le mani, mentre Michele continua a schiacciare bottiglie di plastica in modo meccanico e maniacale. Il loro rapporto si spezza: lui l’accusa di essere arrogante perché lei ha un lavoro e lui no; lei ribatte: «Non fai niente di niente… sembri un’ameba, un invertebrato». Vengono alle mani. Si separano. La lacerazione ha raggiunto il suo punto culminante.
Tutto potrebbe finire qui, in modo drammatico e irrimediabile. Ma, come s’è detto, Michele possiede determinati valori che, seppur momentaneamente offuscati dagli avvenimenti, possono riemergere nel momento più critico. Ed anche Elsa, con la sua passione per le cose artistiche (il restauro dell’affresco) non può lasciarsi travolgere fino in fondo. Ed ecco che i due protagonisti incominciano a reagire. Elsa, resasi conto di essere rimasta sola, si mette a pulire la casa con grande energia; poi telefona a Nadia, scusandosi per non essersi fatta viva prima e cercando di riallacciare il rapporto d’amicizia. Inoltre viene a sapere da un coinquilino che Michele, nonostante tutto, si prestava a fargli dei favori, concedendogli l’uso della sua lavatrice. Michele, dal canto suo, va a dormire dalla figlia e ha modo di ricredersi circa Ricky, che si dimostra gentile nei suoi confronti, e circa la stessa Alice, che lo accoglie amorevolmente e lo fa sentire ancora importante chiedendogli una consulenza di tipo economico.
Ed eccoli cambiare entrambi atteggiamento: lui si reca dal padre, che passava le sue ore in ospizio guardando imbambolato un acquario, e lo porta fuori a fare un giro. Poi lo conduce al grande acquario di Genova, dove l’anziano ha una reazione inaspettata: per la prima volta si alza in piedi e, più tardi, ricorderà cose che aveva dimenticato. Il sorriso commosso di Michele di fronte al vecchio padre fa capire che qualcosa si sta muovendo dentro di lui e che sta riassaporando una nuova serenità che nasce dal vivere intensamente e semplicemente certi valori di fondo. Elsa ha il coraggio di dire di no alle proposte del capoufficio e decide di ritornare a vedere il “suo” affresco, proprio nel momento in cui il restauro è stato ultimato. Riceve i complimenti dal professore con cui s’era laureata per aver avuto delle ottime intuizioni circa l’autore dell’opera, finalmente riportata al suo splendore. «Si goda questo momento; se lo merita», le dice il professore. Ed Elsa resta lì, sola, ad ammirare quel capolavoro. Si stende per terra e la macchina la riprende con angolazione a piombo. Le immagini poi si dilungano ad esplorare con varie panoramiche i particolari dell’angelo e della Vergine. Lei li contempla, poi chiude gli occhi. E proprio in questo momento sente i passi di Michele che l’aveva seguita di nascosto. Egli si sdraia accanto a lei, le teste vicine. «Mi vergogno da morire per quello che è successo – inizia lui – pensavo che potesse tornare tutto come prima, ma non è così; è uno sbaglio pensare a prima». Lei ribatte: «Non so neanche come siamo arrivati fin qui». Intanto le immagini, con montaggio parallelo, continuano a soffermarsi sui dettagli dell’affresco. Lui aggiunge: «Non posso perderti, Elsa… dobbiamo ricominciare da qui. Mi inventerò qualcosa, davvero. Partirò da zero, non me ne frega niente, ma senza di te non vado da nessuna parte». E, proprio a questo punto, l’immagine, per la prima, volta mostra la bellissima Annunciazione nella sua interezza. Loro sono sempre vicini, ripresi a piombo. Elsa ammette: «L’unica cosa che volevo era che tu fossi qui… Sei tu?». «Sono io, Elsa», risponde Michele. E lei: «Anch’io». I due si sono ritrovati. Le mani si stringono. Marito e moglie si guardano negli occhi.
La significazione
La significazione nasce, come al solito, dall’evoluzione dei protagonisti quale emerge dal corpo centrale del film appena analizzato. Ma è importante anche tener conto dei due filoni strutturali di cui s’è parlato all’inizio. Il film narra la storia di una separazione e di una riconciliazione. La separazione va vista alla luce del primo filone, quello della città. La riconciliazione è collegata con il secondo, quello dell’affresco. In altre parole, Michele ed Elsa arrivano a separarsi a causa di un sistema economico e sociale che, in nome del profitto, non tiene conto delle esigenze delle persone, provocando guasti e traumi che rischiano di distruggere delle esistenze; si riconciliano, invece, grazie a certi valori umani che appartengono loro e che trovano nell’affresco un simbolo quanto mai efficace, che rappresenta anche un richiamo a valori più specificamente cristiani (l’Annunciazione).
Grazie alla presenza di questi due filoni strutturali i personaggi diventano chiaramente emblematici della vita contemporanea, con le sue brutture, ma anche con le possibilità di riscatto.
L’idea centrale potrebbe pertanto essere così formulata: il sistema socio-economico oggi vigente è disumano e provoca drammatiche lacerazioni nelle persone e nelle famiglie; solo aggrappandosi a certi valori umani (e cristiani) è possibile una riconciliazione che consenta di continuare a vivere in modo sereno e dignitoso.
Silvio Soldini si conferma autore sensibile e delicato. Con una scrittura tradizionale, ma efficace, egli riesce a coniugare l’impegno tematico con quel tanto di spettacolarità che serve per veicolare il suo messaggio. L’attenzione ai problemi e il rispetto delle persone non sono caratteristiche così usuali nel cinema contemporaneo e diventano pertanto ancor più apprezzabili ed encomiabili.
Per quanto riguarda l’utilizzo didattico e la formazione della personalità, il film è adatto per un pubblico di adulti o di alunni delle Superiori e può diventare uno strumento efficace (se letto correttamente) per riflettere sui problemi del lavoro, della flessibilità e della precarietà, oggi così drammaticamente attuali, ma anche su nuovi modelli di vita, che non pongano in primo piano l’aspetto economico, ma la genuinità di certi valori che danno la forza di vivere onestamente e serenamente.